Giorno per giorno – 16 Marzo 2017

Carissimi,
“C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe” (Lc 16, 19-21). Forse non c’è nel vangelo racconto che dipinga questo nostro tempo meglio di quello che la liturgia ci ha fatto ascoltare oggi. Tempo in cui il ricco e il povero hanno le dimensioni di interi continenti. O del Nord e del Sud del mondo, che ci raggiunge dentro casa. Beh, non proprio dentro casa, ma sulla sua porta. L’anonimo ricco, forse, chissà, a tempo perso, anche devoto di qualche santuario, ha posto però la base della sua fede nella “ricchezza ingiusta”, accumulata a danno degli altri, nel lusso, nei privilegi, nelle garanzie, negli onori che essa permette di acquisire. Causa e conseguenza di tale ricchezza è la povertà del povero, di cui il ricco neppure si accorge, o si accorge con fastidio e dispetto. Il nome del povero, Lazzaro (Dio-aiuta), non a caso richiama quello di Gesù (Dio-salva), che con quello si identifica. La seconda parte della parabola ci mostra la scena nella prospettiva di Dio, che, da sempre, ha compiuto, per così dire, l’opzione dei poveri, denunciando il baratro che separa il ricco dalla dimensione salvifica, a cui Dio chiama tutti. Risuona qui il severo avvertimento circa l’impossibiltà della salvezza del ricco, del mondo arricchitosi alle spalle del povero, per scuotere il quale non sembra servire neppure l’esperienza del morto risuscitato (“se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”), allusione neanche troppo velata all’annuncio del Crocifisso risorto, dato che, per chi avesse voluto intenderlo, c’era già il messaggio della Bibbia (“Hanno Mosè e i profeti: ascoltino loro”) ad additare il cammino di fede lungo i sentieri dell’attenzione verso il povero e dell’azione volta al suo riscatto e alla sua liberazione. Ciò che è proiettato al di là del tempo, è, così, da leggersi come realtà più vera del nostro tempo. Del disastro che abbiamo creato o accettato, ma anche dell’ultimo appiglio che ci è offerto per non vivere e far vivere una vita sotto il segno della maledizione e della perdizione. “Hanno Mosè e i profeti” è ripetuto anche a noi, perché si riscopra il Dio che libera e salva, anche attraverso noi, gli impoveriti che il sistema ha creato, e salvando loro, attraverso loro, salvi pure noi, ridando al nostro esistere un senso umano, a immagine del divino, nella dimensione del servizio, della cura e del dono di sé, per la vita di tutti. Quaresima deve servire a farci meditare su questa chiamata e ad agire di conseguenza.

Oggi il calendario ci porta la memoria di Jean de Brebeuf e compagni, martiri gesuiti nella terra degli Uroni, e quella di Antonio Olivo e Pantaleón Romero, martiri della giustizia in Argentina.

Jean nasce il 25 marzo 1593 a Conde-sur-Vire. Entrato nella Compagnia di Gesù, è ordinato sacerdote a ventinove anni e, tre anni più tardi, parte missionario per il Canada. Vive per alcuni mesi con la tribù degli Algonchini, apprendendone presto la lingua, al punto di poterne redigere un vocabolario e una grammatica. Nel 1626 si sposta nel territorio abitato dagli Uroni, nella cui lingua (oggi scomparsa) scrive un catechismo. Nel 1633, dopo un forzato ritorno in Francia di tutti i missionari durato quattro anni, è nuovamente al suo posto, tra coloro che sente come la sua gente. Cerca di integrare il Vangelo nella cultura amerinda, sforzandosi di intenderne la saggezza, la spiritualità e l’approccio al sacro. Nel 1637 registra i primi battesimi di adulti. Scrisse a quel tempo: “Dio ci ha dato il giorno per servire al prossimo e la notte per conversare con Lui”, e ancora: “Gesù Cristo è la nostra vera grandezza; è solo Lui e la sua croce che dobbiamo cercare correndo qui tra questa gente”. Negli anni successivi, a partire dal 1642, i missionari si trovano al centro degli scontri che oppongono gli Irochesi, appoggiati e armati dagli olandesi della Nuova Inghilterra, desiderosi di conquistare il monopolio del commercio delle pellicce, e gli Uroni, appoggiati dai francesi. Cadono i primi missionari gesuiti, laici e sacerdoti, che operano nella regione. Il 29 settembre 1642 muore René Goupil, in Quebec dal 1640; Isaac Jogues e Jean de Lalande vengono uccisi il 18 e il 19 ottobre del 1646; Antoine Daniel, il 4 luglio 1648 è crivellato con frecce e pallottole al termine dell’Eucaristia e il suo corpo è gettato nella cappella in fiamme. Il 16 marzo 1649 gli Irochesi aggrediscono la missione di padre Brebeuf. Lo catturano, lo legano ad un palo, e dopo averlo torturato per tre ore, lo uccidono. Il giorno dopo, viene ugualmente torturato e ucciso Gabriel Lalement, giunto in Québec il 1646. In dicembre moriranno Charles Garnier, missionario tra gli Uroni dal 1636, e Noël Chabanel, che lo aveva raggiunto nel 1643.

Antonio Olivo e Pantaleón Romero erano entrambi militanti cristiani e dirigenti contadini a Perugorría, nella provincia di Corrientes, diocesi di Goya (Argentina). “Tonito”, di 29 anni, sposato con Margot, era padre di due bambini. “Don Panta”, 50 anni, dalla moglie Elvira aveva avuto otto figli. Lavoravano su terre padronali, pagando tra il 25 e il 40 per cento del magro raccolto di tabacco. “Tonito” e i suoi fratelli “Toti” e Anita, dal 1965, facevano parte dell’Azione Cattolica rurale. Dopo che l’episcopato le ritirò il suo appoggio per il coinvolgimento di questa nelle lotte contadine, il movimento assunse il nome di Leghe agrarie, trovando comunque il sostegno della Diocesi di Goya. “Tonito” sempre allegro, generoso e solidale, era delegato del sito Palmita. L’8 settembre 1975, Giornata dell’agricoltore, le Leghe organizzarono a Goya una grande manifestazione, a cui prese parte anche il vescovo, mons. Alberto Devoto. “Tonito” era tra le presenze più attive. La risposta non si lasciò attendere. Anita, delegata del sito Vaca Paso, venne sequestrata, torturata e abbandonata a 120 chilometri da casa. Alcuni mesi più tardi, il 24 marzo 1976, giorno del golpe militare, fu arrestata nuovamente con alcuni insegnanti solidali con i contadini. In seguito, durante la detenzione nel carcere di Villa Devoto, a Buenos Ayres, venne a sapere che suo fratello “Tonito” e “Don Panta”era stati entrambi sequestrati la notte del 16 marzo 1977. Pochi giorni dopo tre cadaveri affiorarono nel fiume Miriñay. L’esercito ebbe la precauzione di farli sparire prima del riconoscimento ufficiale. Ma secondo alcune testimonianze si trattava proprio di “Tonito”, “Don Panta” e di un altro militante cristiano, Justo José Peloso. A titolo di cronaca, anche “Toti” Olivo, fratello gemello di “Tonito” fu, in quegli stessi mesi, arrestato assieme a Fortunato Curimá e Rogelio Tomasella, anche loro delegati delle Leghe. Restarono in carcere cinque anni, soffrendo orribili torture. Ma ebbero la fortuna di tornare a casa.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Geremia, cap.17, 5-10; Salmo 1; Vangelo di Luca, cap.16, 19-31.

La preghiera del Giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui e, prendendo spunto dalla memoria dei martiri argentini Antonio Olivo e Pantaleón Romero, vi offriamo in lettura un brano dell’argentino Enrique Dussel, filosofo-teologo della liberazione. Tratto dal suo libro “Etica comunitaria” (Cittadella Editrice), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Noi, nella periferia povera del mondo, non ci scontriamo con atei (ce ne sono pochi), ma con feticisti e idolatri. Il problema non è la secolarizzazione atea, ma l’esistenza di molti “idoli”: bisogna fare distinzione fra i tanti feticci e il Dio dei poveri. Rivelazione è l’altro che ci interpella, che irrompe dall’al di là del mondo, dalla totalità. La voce, il lamento, la parola (dabar in ebraico: il Verbo) dell’altro, irrompe nel mio mondo, sconvolgendolo: “Ho fame!”. Quando sento la voce dell’altro (ex auditu, dice il Concilio di Trento), si compie la rivelazione di Dio. Ma Dio può rivelarsi soltanto attraverso colui che è diverso, che è estraneo al sistema di peccato, al mondo. Dio, in sostanza, può rivelarsi “attraverso” e “per mezzo” del povero. Il povero è il luogo dell’epifania di Dio (ancora di più da quando Egli si rivelò in Gesù povero, come Charles de Foucauld ama chiamalo). Udire la voce del povero, qui e ora è la condizione della possibilità di attualizzazione della rivelazione di Dio. La Bibbia può essere interpretata dalla tradizione vivente di una particolare comunità cristiana, se viene vista dalla parte del povero e nella sua prospettiva. Per la teologia della liberazione il problema non è l’eventuale irrazionalità della rivelazione positiva, ma l’impossibilità che Dio si riveli al “ricco”, a colui che domina il povero, a chi non si trova nella concreta situazione storica che gli permette di udire la parola di Dio, perché non ha coscienza etica. (Enrique Dussel, Etica comunitaria).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Marzo 2017ultima modifica: 2017-03-16T22:22:13+01:00da fraternidade
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