Giorno per giorno – 04 Marzo 2017

Carissimi,
“I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori? Gesù rispose loro: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano” (Lc 5, 30-32). Stasera, ci dicevamo che di farisei, di “quei” farisei (dato che ce n’era e ce n’è, ovunque, anche di buoni), non ne mancano mai in ogni ambiente. Il problema è quando cominciano a fare sentire la propria voce nella chiesa di Gesù e a pretendere di dettare legge. Quando, invece, sarebbe naturale che la perseguitassero, la chiesa. Dal di fuori. Come la vicenda di Paolo illustra egregiamente. La chiesa di Gesù è quella in cui chi si considera migliore e più meritevole degli altri, se ne esce “non giustificato”. Luca ce lo ricorderà nella parabola del fariseo e del pubblicano (cf Lc 18, 9-14), gli stessi protagonisti del racconto di oggi, dove il religioso e uomo dabbene si scandalizza per vedere che Gesù e i suoi mangiano e bevono insieme a pubblicani e peccatori. Come a dire: non c’è più religione. Perché la religione, nella coscienza se non dei più, almeno di molti, sta proprio a separare: da una parte noi buoni, che ci ritroviamo al culto e in società, dall’altra, quelli dalla dubbia moralità, che teniamo ben lontani. In primo luogo dalle nostre eucaristie. Smentendo così l’operato di Gesù. Che li voleva a tavola con lui. Non per giustificare le loro malefatte (se proprio erano malefatte), ma per fargli sapere che lui gli voleva bene lo stesso, e chissà che si appassionassero di lui e della sua maniera d’essere e che si decidessero a cambiare qualcosa, tanto per cominciare, e poi a seguirlo. Ora, ci sarebbe da chiederci, nel caso qualche grosso peccatore (non di quelli clandestini che siamo anche noi), entrasse in una delle nostre chiese, se davvero finirebbe per restare fulminato dall’accoglienza calorosa che gli riserviamo, del tipo “aggiungi un posto a tavola”, o se invece si accorgerebbe subito che ci si dà di gomito e si mormora: cosa ci fa qui quello lì? Ripetendo così nello spazio, che dovrebbe essere di accoglienza e di inclusione, i meccanismi di emarginazione ed esclusione del mondo là di fuori. La quaresima ci invita a ripensare a questo: siamo chiesa di farisei, che escludono, o chiesa di peccatori perdonati e graziati, che si aprono con gioia a chi arriva?

Oggi facciamo memoria di Gerasimo del Giordano, anacoreta del V secolo. Ricordiamo anche la figura di Alexander Campbell, co-fondatore del Movimento di Restaurazione, che, sorto negli Stati Uniti, all’inizio dell’Ottocento, per iniziativa di alcuni pastori di diverse denominazioni cristiane, intese favorire, senza troppo successo, il ritorno a un’unica chiesa, sulle orme della primitiva comunità apostolica, dando origine a due gruppi diversi, le Chiese di Cristo e le Chiese cristiane (Discepoli di Cristo). Da queste ultime, durante il secolo scorso, un gruppo consistente di congregazioni si separò, dando vita alle Chiese cristiane e Chiese di Cristo, di orientamento più conservatore. Superfluo aggiungere che questa memoria prende spunto dalla fraterna amicizia che ci lega al Pr. Raimundo Aires, della Chiesa di Cristo di Goiás.

Gerasimo era nato in Licia (sulla costa meridionale dell’attuale Turchia), probabilmente verso la fine del IV secolo. Dopo essere entrato in monastero giovanissimo, l’ardente desiderio di darsi tutto a Dio, lo portò a compiere la scelta di una vita eremitica. Dopo aver trascorso un periodo nei deserti della sua regione natale, si trasferì in Palestina, dove, influenzato dal vescovo Teodosio, che si era impadronito della sede episcopale di Gerusalemme, aderì, con molti altri monaci, all’eresia monofisita eutichiana, condannata dal Concilio di Calcedonia (451). Tuttavia, dopo aver incontrato nel deserto di Rouba, nei pressi del Mar Morto, il santo anacoreta Eutimio, si rese conto del suo errore e tornò alla fede ortodossa. Stabilitosi poi sulle rive del Giordano, nei pressi di Gerico, per vivere lì come anacoreta, fu raggiunto ben presto da un numeroso stuolo di discepoli. Fondò allora un monastero che comprendeva anche una settantina di eremi disseminati nel deserto circostante, provvedendo loro una regola di vita assai severa. I monaci dividevano il loro tempo tra preghiera e lavoro manuale. Consumavano una sola refezione a base di pane, datteri e acqua. Solo il sabato e la domenica, quando si riunivano per partecipare alle funzioni religiose, era permesso loro di consumare cibi cotti e bere poco vino. Osservavano il silenzio più assoluto, dormivano su letti di giunco in celle che non venivano mai riscaldate. La tradizione fissa la morte di Gerasimo il 5 marzo 475. La Chiesa ortodossa ne celebra, però, la memoria il 4 marzo.

Alexander Campbell era nato nella Contea di Antrim (Irlanda), il 12 settembre 1788. Il padre, Thomas, di origine scozzese, era pastore presbiteriano; la madre, Jane Corneigle, discendeva da una famiglia ugonotta, fuggita dalla Francia per sottrarsi alle persecuzioni. Nel 1809 Alexander, con la famiglia, raggiunse il padre che due anni prima si era trasferito in America, per svolgere colà il suo ministero. A partire da allora padre e figlio lavorarono assiduamente, combattendo il settarismo che allignava nelle chiese protestanti e sognando un esodo in massa di fedeli dalle diverse chiese evangeliche allo scopo di formare un solo corpo, la Chiesa del Nuovo Testamento, sulla base della verità della Bibbia come unica autorità in materia di fede e di pratica cristiana. Compagne fedeli e instancabili di questa sua ricerca furono le due mogli, Margaret Brown, che morì nel 1827, e Selina Bakewell, sposata nel 1828, che morirà nel 1897. Alexander Campbell morì il 4 marzo 1866 a Bethany, nel West Virginia.

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap. 58,9b-14; Salmo 86; Vangelo di Luca, cap. 5,27-32.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Prendendo spunto dalla memoria del monaco Gerasimo, vi offriamo, nel congedarci, la citazione di un suo contemporaneo, Nilo Asceta, tratta dal suo “Discorso sulla preghiera” che troviamo nel Primo Volume della “Filocalia” (Gribaudi). E che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Non pregare che si facciano le tue volontà, perché non concordano neppure del tutto con la volontà di Dio. Ma prega piuttosto come ti è stato insegnato dicendo: Si faccia la tua volontà in me. E in ogni situazione chiedi sempre così la medesima cosa, che si faccia la sua volontà. Poiché egli vuole il bene e ciò che giova alla tua anima. Tu invece non cerchi questo del tutto. Spesso pregando chiesi che mi avvenisse ciò che mi era parso fosse bene, e insistevo nella richiesta stoltamente, facendo violenza alla volontà di Dio e non lasciando che egli mi amministrasse piuttosto quello che sapeva mi sarebbe giovato. E per altro, dopo aver ottenuto [ciò che volevo] in seguito dovetti portarlo con molta pena, perché non avevo chiesto, piuttosto, che si facesse la volontà di Dio. Infatti ciò che mi era avvenuto non era come l’avevo pensato. Quale bene se non Dio? Lasciamo infatti a lui tutto ciò che ci riguarda e sarà bene per noi. Infatti colui che è buono è anche in assoluto colui che pocura doni buoni. Non addolorarti se non ricevi subito da Dio ciò che gli domandi. Egli vuole farti un bene ancora più grande mentre perseveri a restare con lui nella preghiera. Infatti che cosa c’é di più alto del conversare con Dio ed essere distratto [da tutto] in sua compagnia? Nella tua preghiera cerca solamente la giustizia e il regno, cioè la virtù e la conoscenza; e tutte le altre cose ti saranno aggiunte. (Nilo Asceta, Discorso sulla preghiera 31-34. 39).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Marzo 2017ultima modifica: 2017-03-04T22:02:32+01:00da fraternidade
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