Giorno per giorno – 03 Marzo 2017

Carissimi,
“Si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano? E Gesù disse loro: Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno” (Mc 9, 14-15). Stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, ci dicevamo che Gesù è “tolto”, ogni volta che noi non siamo come Lui, non agiamo come Lui; muore ogni volta che lo neghiamo, facendo il male, e muore assieme a coloro che sono vittime del nostro male, vuoi della struttura ingiusta della società, di ogni società che non si proponga in primo luogo l’attenzione e la cura degli ultimi, vuoi della connivenza e dell’appoggio, anche nella forma della semplice (!) indifferenza, che noi si riservi al dispiegarsi del male. Il dilagare dell’ingiustizia, della violenza, dell’intolleranza, lo scialo di morte, che si registra ovunque, ci porta a dire che questo è tempo di digiuno per i discepoli di Gesù. Ben al di là dei limiti temporali della quaresima, che si limita a segnalarcene l’urgenza, perché almeno noi si possa essere segno di cammini diversi, di testimonianze coraggiose e controcorrente.

Il calendario ci porta oggi la memoria di Marino di Cesarea, martire in Palestina.

La sua vicenda ci è narrata dallo storico Eusebio. Marino era soldato cristiano a Cesarea, in Palestina, nella seconda metà del 3° secolo, sotto l’imperatore Gallieno. Resosi vacante un posto di centurione, gli fu notificata la promozione ed egli era solo in attesa della cerimonia di investitura. Un collega, tuttavia, che ambiva a quell’incarico, lo denunciò al tribunale, perché, come cristiano, non aveva sacrificato all’imperatore (oggi si direbbe: aveva rifiutato di giurare fedeltà alla patria). Il giudice lo convocò e gli chiese quale fosse la sua religione. Il soldato rispose: “Sono cristiano”. Allora il giudice gli diede tre ore di tempo per riflettere e decidere quale fosse la sua identità: se soldato o cristiano. Dato che non era possibile essere contemporaneamente soldato e cristiano. Uscito dal tribunale, Marino incontrò il vescovo Teotecno e gli chiese: “Che debbo fare?”. Il vescovo lo prese per mano, lo portò in chiesa, poi, mostrandogli la spada che portava al fianco e il Vangelo collocato sull’altare, gli disse: “Tocca a te scegliere”. Marino senza esitazione scelse il Vangelo. “Sii dunque di Dio, gli disse allora Teotecno, sii con Dio e, forte nella grazia, consegui ciò che hai scelto. Va’ in pace!”. (Questa dovrebbe essere la funzione dei cappellani [presso i] militari!). Marino tornò in tribunale e, davanti al giudice, proclamò la sua fede “con coraggio ancora più grande”. Questo bastò perché fosse pronunciata, immediatamente, la condanna alla pena capitale e, subito dopo, eseguita la sentenza.

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap,58, 1-9; Salmo 51; Vangelo di Matteo, cap.9, 14-15.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

Sul tema della nonviolenza, che la figura di Marino di Cesarea richiama, e, più specificamente, sul suo radicarsi nell’evento di Gesù, abbiamo trovato una bella pagina di Minke De Vries, già priora della comunità monastica protestante di Grandchamp (Svizzera), scomparsa nel 2013. Tratta dal suo libro “Verso una gratuità feconda” (Edizioni Paoline), ve la proponiamo, nel congedarci, come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Gesù ha condotto così bene la sua lotta nonviolenta contro il male, contro il peccato, contro la violenza stessa, che tutto questo male gli si rivolta contro per ucciderlo. Con il battesimo Gesù ha preso su di sé il nostro peccato collettivo, strutturale. Poi ne ha denunciato con vigore la presenza e la nocività nelle istituzioni più sacre del suo tempo, come il sabato, la tradizione, la legge, il tempio. Si è così attirato molto presto l’odio di tutti i custodi e i beneficiari delle istituzioni e dell’ordine stabilito. Cristo si scontra con la spirale della violenza, “un razzo a tre stadi”, dice Dom Helder Camara. Infatti, Gesù ha concentrato su di sé tutte le forme di violenza strutturale radicate nel nostro inconscio personale e collettivo. Primo stadio: la violenza dei giusti tocca il parossismo, deve morire per il prossimo (Gv 11, 49-50). Secondo stadio: i poveri e i discepoli delusi nella loro speranza violenta, lo abbandonano, uno di loro è pronto a venderlo. Terzo stadio: la repressione potrà così abbattersi su di Lui, “non ci saranno tumulti in mezzo al popolo”. In quel momento, Gesù dichiara: “La mia vita, nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso” (Gv 10, 18). Porta avanti fino alla fine il percorso iniziato con il battesimo. Come dice Giovanni “li amò sino alla fine” (Gv 13, 1). In uno straordinario atto d’amore, manda in cortocircuito il male, la violenza e il peccato accumulati concretamente su di lui. Li subisce non solo per noi, ma al nostro posto, a nome nostro. Prende il pane e il vino che simboleggiano la collaborazione tra Dio e l’essere umano, “frutto della terra, della vigna e del lavoro dell’uomo”. Gesù si identifica con questo creato adesso in rivolta contro il suo Dio, al punto da costituire con lui un solo corpo. Lui, che trae tutta la sua forza e tutta la sua vita dalla comunione con il Padre, non soltanto sposa la nostra natura, ma prende su di sé quello che ci separa dal Padre. Raggiunge così tutti noi, individualmente e tutti insieme, nelle nostre tenebre personali e collettive, coscienti e inconscie. Acconsente così all’apparente fallimento totale, alla totale solitudine. “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”: sì, Padre, i farisei, i sadducei, gli erodiani, con tutte le loro giustificazioni, sono il mio corpo; Pietro che rinnega, è il mio corpo; Giuda che tradisce e gli altri che scappano, è il mio corpo; i soldati che mi tortureranno sono il mio corpo. Pilato che trama, è il mio corpo; la folla che grida “crocifiggilo”, è il mio corpo. Sì, Padre, tutti, vittime o complici, tutti sono il mio corpo. In me, ti offrono il mio sangue, la mia vita, il mio amore, il tuo amore capace di trasformare tutta la loro violenza cosciente e inconscia in tenerezza, la tua tenerezza. (Minke De Vries, Verso una gratuità feconda).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Marzo 2017ultima modifica: 2017-03-03T23:06:24+01:00da fraternidade
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