Giorno per giorno – 23 Gennaio 2017

Carissimi,
“In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna” (Mc 3, 28-29). Parole grosse, tanto quelle in positivo: “Tutto sarà perdonato” e viene specificato: “i peccati e le bestemmie”, quanto quell’unica in negativo, diretta a chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo: “è reo di colpa eterna”. Stasera, ci dicevamo che si tratta di intendere bene cosa sia questa bestemmia contro lo Spirito. Nel senso comune di bestemmia, per esempio, qui da noi non si bestemmia nessuno: né Dio, né la Madonna, né i santi, e tanto meno lo Spirito Santo, che in queste regioni è venerato con una devozione tutta particolare. Bestemmia contro lo Spirito è però un’altra cosa rispetto a ciò che si pensa comunemente. È non riconoscere, non accogliere, non testimoniare che il bene che fa Gesù – l’accogliere, il prendersi cura, il guarire, il liberare ciascuno dal suo male, il perdonare, il restituire ai poveri una vita sotto il segno della benedizione – , e come lo fa, è opera del Padre, la sua verità. Infatti, di lui gli scribi dicevano: “Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni” (v. 22). Ora, noi bestemmiamo contro lo Spirito, ogni volta che facciamo del contrario della prassi di Gesù la verità della nostra vita. Gesù, allora, ci avverte: guardate, finché vi comportate così, siete colpevoli di un peccato imperdonabile. Perché non permettete che la grazia incondizionata del Padre e, con essa, il suo perdono, giunga fino a voi. È bene allora darci una mossa.

Il calendario ci porta la memoria di Nikolaus Gross, martire sotto il totalitarismo nazista, e quelle di Benedetta Bianchi Porro e di Pierre Lyonnet, gesuita, entrambi testimoni seri e gioiosi sull’altare della sofferenza.

Nikolaus Gross era nato il 30 settembre 1898 a Niederweningern, nei pressi della città di Essen, in Germania, nella famiglia di un minatore. Costretto ad abbandonare gli studi, cominciò a lavorare giovanissimo in un laminatoio, poi come manovale e successivamente come minatore in una miniera di carbone, dove per cinque anni svolse il suo lavoro in galleria. Nel 1917 entrò a far parte del Gewerkverein christlicher Bergarbeiter, l’associazione sindacale dei minatori cristiani. Da allora, oltre che al lavoro e agli studi che aveva ripreso, gran parte del suo impegno fu profuso nell’attività sindacale e nella militanza politica, in tempi che si profilavano tempestosi. Sposatosi con Elisabeth Koch, ebbe da lei sette figli. All’inizio del 1927 divenne aiuto redattore, e poi capo-redattore del Westdeutsche Arbeiterzeitung, l’organo del Katholische Arbeitnehmer Bewegung, l’Associazione dei minatori cattolici, a cui Gross aveva aderito nel 1919. Nel 1929, all’affacciarsi del nazismo sulla scena politica, prese subito coscienza del pericolo che esso rappresentava e scrisse che “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini e la disobbedienza diventa un dovere quando ci si domanda qualcosa contro Dio o contro la fede”. Nel 1930, scriverà: “come lavoratori cristiani, rigettiamo il nazismo definitivamente, risolutamente e chiaramente”. Inevitabile che il suo giornale, alla presa del potere da parte di Hitler, fosse dichiarato nemico dello stato e, in seguito soppresso. Gross continuò tuttavia le sue attività come membro di una rete di resistenza, facendo opera di diffusione tra gli operai di pubblicazioni che richiamavano i valori del Vangelo e la responsabilità che deriva dalla fede. Accusato di coinvolgimento nell’attentato a Hitler del 20 luglio 1944, all’organizzazione ed esecuzione del quale non aveva per altro, partecipato direttamente, fu arrestato tre settimane più tardi, rinchiuso a Ravensbrück, e poi nel carcere di Tegel, a Berlino. Condannato a morte il 15 gennaio 1945, per tradimento, fu impiccato nella prigione di Plötzensee, il 23 gennaio. Il suo corpo fu bruciato e le sue ceneri disperse. Nel 1943 aveva scritto: “La maggior parte delle grandi prestazioni nasce dall’adempimento giornaliero del dovere nelle piccole cose quotidiane. E nel far questo il nostro amore va sempre ai poveri e agli ammalati in modo speciale”.

Benedetta Bianchi Porro era nata l’ 8 agosto 1936, a Dovadola, in provincia di Forlì, secondogenita della famiglia di Guido Bianchi Porro e di Elsa Giammarchi. Colpita a pochi mesi da poliomielite, che le lascerà una gamba un po’ più corta dell’altra, Benedetta visse la sua infanzia, allegramente e senza complessi, “bambina sensibile e delicata, intelligente e volitiva”, studiando prima a Forlì e, successivamente a Desenzano, quando la famiglia, nel 1951 si trasferì a Sirmione. Nel frattempo si erano però manifestati i primi sintomi di una sordità progressiva, che non gli impedirono tuttavia di dedicarsi brillantemente agli studi, ma anche agli interessi e svaghi della sua età: il pianoforte, le nuotate nel lago, le gite in barca, i giochi e gli scherzi. Nel 1953, terminata il secondo liceo, sostenne e superò gli esami di maturità, iscrivendosi così, a soli diciassette anni, alla facoltà di medicina dell’Università di Milano. Già l’anno successivo, tuttavia, cominciarono a manifestarsi i sintomi della malattia che, diagnosticata nel 1957 come neurofibromatosi diffusa, l’avrebbe portata alla morte, lungo “un calvario indicibile, in cui […] si alternarono momenti di sconforto e straordinari slanci di entusiasmo di fronte ai doni dell’amicizia, alle bellezze del creato, alla percezione sempre più intensa della vicinanza di Dio”. A partire dal 1963, sorda, paralizzata e cieca, Benedetta potè comunicare con gli altri solo attraverso un filo di voce e le dita della mano destra, che gli venivano premute sul corpo e sul volto secondo un alfabeto muto convenzionale. E le sue comunicazioni erano spesso messaggi di conforto e di speranza dirette a coloro di cui veniva a conoscere dolore, sofferenza, disperazione. La mattina del 23 gennaio 1964, Benedetta chiese alla madre che le leggesse l’ultima pagina della Storia di un’Anima di Teresa di Lisieux. E lei gliela lesse “attraverso le dita”. Più tardi, stringendo la mano alla madre e all’infermiera, disse: “Grazie”. E si spense.

Del gesuita Pierre Lyonnet, nato in Francia nel 1906, sappiamo solo poche cose. Ma ci bastano. Gravemente malato fin dagli anni del suo noviziato, fu ordinato prete nel 1937. Chi lo conobbe ricorda che “egli frequentava quasi sempre soltanto povera gente, coloro che non avevano nulla o che non si stupivano di nulla. Erano i poveri i suoi veri amici. Erano sempre sulla sua bocca. Così, quando egli si accingeva a predicare, tutti sapevano che avrebbe parlato dei Poveri. La terribile notte che precedette la sua morte, agitato ed immerso in un bagno di sudore, pur privo di forze, ad un certo punto si voltò bruscamente verso coloro che lo assistevano dicendo: “Su, facciamo cinque minuti di ricreazione… parliamo un po’ dei Poveri”. Era solo questo che poteva farlo riposare: parlare dei poveri, essere in mezzo ai poveri, fra tutti coloro che si trovavano nel bisogno: o perchè privi di cibo o di riscaldamento, o perchè ammalati, o perchè abbandonati da tutti, o perchè disperati. Era spietato, invece, con la durezza di cuore e con tutto quanto dimostrava ostinazione, indifferenza, sclerosi, impermeabilità. Allora le sue collere erano terribili. Aveva una spaventosa avversione al denaro, per esso concepiva una specie di odio: egli capiva che il denaro è il grande ostacolo dell’Amore, il grande artefice dell’insensibilità, dell’indurimento dei cuori”. Alternò a lunghi soggiorni in clinica il suo servizio presso lo studentato di Fourvière e nel 1939 presso il collegio di Saint Etienne, a Lione, dove morì il 23 gennaio 1949. Sul letto di morte confesserà di “non aver vissuto, in dieci anni, un ora sola senza sentire atroci dolori”. Conserviamo di lui testi di intensa spiritualità. Come questo, davanti al Crocifisso: “Ora, Signore, non prego più: ti invito ad ammirarmi. No, mio Dio, non vi sono ricchezze in me che tu non ve le abbia poste, nessuna virtù che non sia dalla tua grazia. Custodiscimi umile e forse allora saprò pregare anche nel momento della grande tentazione che è la sofferenza”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap.9, 15. 24-28; Salmo 98; Vangelo di Marco, cap. 3, 22-30.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

Oggi pomeriggio, all’ospedale São Pedro, è nata Maria Alice, figli di Jakeline e di Lucas, figlio di Lúcia, figlia di dona Alice e di seu Bernardino e, così le “toledot” (generazioni) della Comunità continuano ad arricchirsi di nuovi membri, segno che la grazia e la benevolenza di Dio non si sono fermate, ma scendono abbondanti su di noi. Complimenti ai genitori!

Ed è tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una citazione di Pierre Lyonnet, tratta dai suoi “Scritti spirituali” (Borla), che troviamo in rete e che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Un giorno venne al mondo un bambino povero: sua madre si chiamava Maria, discendente da nobile famiglia decaduta. Maria, il giorno in cui doveva partorire, si trovava in viaggio. Si chiusero loro in faccia tutte le porte; per loro non c’era posto da nessuna parte… Davano fastidio: “Figurarsi, tutti hanno già trovato da sistemarsi. Avrebbero dovuto prevederlo, no? E poi avrebbero dovuto pensare a fare qualche economia! Del resto che cosa potremmo fare? Non pretenderanno che per loro abbandoniamo il nostro appartamento e andiamo a coricarci sulla paglia! Siamo nel nostro diritto, siamo persone oneste e tutto ciò che abbiamo è stato guadagnato onestamente! Del resto, essi troveranno certamente posto da qualcuno. In questo momento, anche noi abbiamo le nostre difficoltà… prima dobbiamo pensare a noi…”. Così mentre le porte si chiudevano, e anche i cuori, per un attimo semiaperti, si serravano nella loro durezza iniziale, e tutto rientrava nell’ordine, pure per ordine – per ordine divino – il Figlio di Dio si coricava sulla paglia e nasceva in una stalla. In quel giorno, il Figlio di Dio fece la sua prima esperienza umana del cuore del ricco. In quel giorno, assunse definitivamente la parte del povero entrando egli stesso nelle file dei poveri; quel giorno incominciò la maledizione dei ricchi. Essi avevano scacciato Gesù Cristo, questo strano fanciullo che discende solo tra i poveri. E la maledizione continua… Gesù Cristo vive nei suoi poveri e agonizza tutti i giorni, e muore nei suoi poveri… mentre i ricchi organizzano le loro feste e trovano tutto questo molto naturale. Essi fanno provviste, mangiano, bevono, si vestono e arredano la casa e a caro prezzo si divertono spendendo patrimoni; ballano e si mascherano perfino da sembrar poveri per divertirsi! Ma nel giorno del giudizio, quando ogni uomo si troverà davanti a Dio con il solo bene e il male fatto, verrà chiesto se, nel corso della vita, si è servito Dio nei suoi poveri, nei suoi infelici. (Pierre Lyonnet, Scritti spirituali).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Gennaio 2017ultima modifica: 2017-01-23T22:46:37+01:00da fraternidade
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