Giorno per giorno – 07 Gennaio 2017

Carissimi,
“Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: Non hanno più vino. E Gesù rispose: Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora. La madre dice ai servi: Fate quello che vi dirà”. (Gv 2, 1-5). Anticamente, le chiese d’Oriente richiamavano nella celebrazione dell’Epifania tre diverse manifestazioni della divinità di Gesù: quella alle nazioni pagane, rappresentate dai magi, quella al suo popolo, nel battesimo, e quella alla cerchia dei suoi discepoli, alle nozze di Cana. Di quest’ultima manifestazione, forzata, possiamo dire così, da sua madre, ci parlava il vangelo di oggi. Noi, stasera, ci dicevamo che è abbastanza sorprendente questa rivelazione di un Dio e della Madonna che si preoccupano che non venga meno l’allegria dei loro amici, che, per altro, a giudizio del maestro di sala, sono già cotti (v.10). Qualche anno fa, commentando il miracolo, il fondatore di una delle chiese neo-pentecostali che qui vanno per la maggiore, non mancò di rilevare lo scandalo che gliene derivava: “Che beneficio la trasformazione dell’acqua in vino ha portato al regno di Dio? Avrebbe potuto fare qualcosa di meglio, come primo miracolo”, chiosò. Già, forse dipende solo da cosa noi intendiamo per regno di Dio. Il regno di Dio comincia quando ci si accorge che sta mancando qualcosa alla festa che esso dovrebbe rappresentare. E non si tratta necessariamente del canto dei salmi. C’è un’allegria anche solo terrena a cui Dio tiene, perché l’allegria è un’invenzione del suo Spirito. Da tenere a bada, l’allegria, solo quando rischia di tramutarsi nel suo contrario. Migliore del vino, di quel vino divino, c’è solo l’amore. Non a caso il Cantico dei Cantici che, a giudizio di Rabbi Akiva, è la chiave di lettura di tutta la Scrittura, si apre proprio dicendo: “Mi baci con i baci della sua bocca! Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino” (Ct 1, 2). E dice dell’amore umano, anche come cifra dell’amore divino. Dunque, teniamolo presente, come si manifesta Gesù ai suoi discepoli e agli amici di quella festa. Non siamo troppo arcigni guardiani della legge, della nostra e di quella che pensiamo sia la Sua, a copertura delle nostre frustrazioni. Seminiamo allegria. Non come trovata di un più attraente proselitismo. Ma a imitazione di Dio.

Il martirologio latino-americano ci propone la memoria dei coniugi Felipe e Maria Eugenia Barreda, martiri in Nicaragua, e quella di Pablo Gazzarri, presbitero e martire in Argentina; Italo Mancini, teologo dei “doppi pensieri”.

Felipe Barreda faceva l’orologiaio a Estelí, in Nicaragua. Maria Eugenia García, sua moglie, era parrucchiera. Lui aveva 52 anni, lei 50. Si erano sposati trent’anni prima. Avevano fatto sei figli ed erano nonni di quindici nipoti. Negli anni 70, quando in Nicaragua dominava la dittatura di Anastasio Somoza, erano entrati nei Cursillos de Cristiandad, poi erano diventati animatori delle comunità di base della loro città e si erano impegnati attivamente, a partire dal 1975, nel movimento sandinista, per dare contenuti concreti all’opzione della Chiesa per i poveri. Il trionfo della rivoluzione, nel luglio 1979, aveva aperto grandi speranze, ma scatenò da subito la rivolta dei contras, formazione terrorista, costituita per lo più da ex-membri della Guardia Nazionale somozista, cui si aggregarono presto altri gruppi di scontenti, appoggiati e armati, neanche a dirlo, dai potenti vicini. Maria entrò a far parte della prima giunta dell’amministrazione comunale, mentre lavorava nel quartiere più povero di Estelí. Nel dicembre del 1982, i due coniugi si unirono alle migliaia di volontari che si recavano in montagna per partecipare alla raccolta di caffè. Lavoravano in una piantagione di El Ural, provincia di Nueva Segovia, quando furono sequestrati il 28 dicembre e la coltivazione di caffè distrutta. Sottoposti ripetutamente a torture, percosse e violenze, il 7 gennaio 1983, furono entrambi assassinati.

Pablo Gazzarri era nato il 19 settembre 1944 a Buenos Ayres, da María Zulema Truffa e Silio Mario Enrique Gazzarri. Dodicenne era entrato in seminario, a Villa Devoto e, al termine degli studi, era stato ordinato sacerdote, il 27 novembre 1971. Fu destinato dapprima, alla parrocchia di Santa Rosa da Lima, in un quartiere della capitale, poi, nel 1974, a quella della Madonna del Carmine di Villa Urquiza, dove crebbe ancor più il suo impegno sociale, già maturato negli anni del seminario, a favore dei più poveri. Entrò nel Movimento dei Sacerdoti per il Terzo Mondo, e in quello dei Cristiani per la Liberazione. Nel corso del 1976 aveva deciso di entrare a far parte dei piccoli fratelli del Vangelo della famiglia di Charles de Foucauld, per dedicarsi maggiormente all’apostolato tra i più poveri. Ma non ne ebbe il tempo. Il 27 novembre 1976, anniversario della sua ordinazione, fu sequestrato, su segnalazione di un prete, che sarebbe in seguito divenuto vescovo, nei pressi della casa dei genitori, da uomini che vestivano l’uniforme della polizia. Aveva già ricevuto ripetute minacce, a causa del suo impegno, soprattutto dopo il massacro dei sacerdoti pallottini di san Patricio. Il card. Pironio, che era stato suo direttore spirituale negli anni del seminario, tentò inutilmente di aver sue notizie dalle autorità argentine. Fu visto prigioniero nella Scuola di Meccanica dell’Esercito, dove fu brutalmente torturato. Trasferito nella prima settimana del gennaio 1977, fu imbarcato per un “volo della morte”, narcotizzato e gettato in mare.

Italo Mancini era nato a Schieti, il 4 marzo 1925. Entrato in seminario, fu ordinato sacerdote nel 1949. Vincitore di una borsa di studio, si iscrisse nello stesso anno al corso di laurea in filosofia all’Università cattolica di Milano, dove avrebbe poi insegnato per dieci anni come assistente e docente di Filosofia della religione. Nel 1965, Carlo Bo lo volle all’Università di Urbino, dove insegnò prima Filosofia della religione e Storia del cristianesimo, poi Filosofia teoretica e, infine, Filosofia del diritto. Studioso dei massimi teologi del Novecento, curò le edizioni italiane degli scritti di Karl Barth, Rudolf Bultmann e Dietrich Bonhöffer. A Urbino inaugurò, in cattedrale, una serie di omelie domenicali, che, per rigore e profondità, attirarono la presenza di centinaia di giovani studenti universitari. Seguì con attenzione e partecipazione i movimenti di contestazione studentesca, sempre più a contatto con le culture che animavano l’impegno delle nuove generazioni. Entrò a far parte della rivista Bozze diretta da Raniero La Valle, espressione di un gruppo di intellettuali cattolici profondamente legati all’esperienza del Concilio Vaticano II. Mancini fu per anni un punto di riferimento per le comunità cristiane impegnate nel rinnovamento della teologia e della prassi a partire dalle premesse indicate dal Concilio. La riflessione degli ultimi anni si concentrò sull’elaborazione di una teologia che egli chiamava “dei doppi pensieri” (l’espressione era tratta da L’idiota di Dostoevskij) capace di esprimere la condizione normale del pensare umano: la compresenza in esso di istanze tra loro opposte e inconciliabili, per impedire che la trasbordante ricchezza di Dio fosse ridotta a un termine univoco. “Questa teologia simbolica è, al tempo stesso, teologia del concetto, perché aspira a parlare di Dio e teologia della speranza perché sa che questa aspirazione è destinata a non acquietarsi”. Italo Mancini è morto a Roma il 7 gennaio 1993.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1ª Lettera di Giovanni, cap.5, 14-21; Salmo 149; Vangelo di Giovanni, cap.2, 1-11.

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto, per stasera. E in omaggio alla memoria di Italo Mancini, nel congedarci, vi offriamo in lettura un brano del suo libro “Tornino i volti” (Marietti) . Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Se si vuole davvero la pace, la domanda sul futuro, del terzo millennio, o del quarto se si mette in conto anche quello greco, non può essere quella del passato, che è stato terra di morti. La domanda del futuro non può essere di nuovo una ricerca generale sull’essere e sulle sue leggi che inchiodano l’uomo alla medesimezza, senza possibilità di svuotamento o di uscita da sé. La domanda sul futuro non può essere di nuovo il problema della riconciliazione puramente dialettica, che risulta una riconciliazione verbale e non reale, voluta ma non fatta, e quindi mistificata. Il sudore della gente e il sangue degli assassinati non entra nella lucida sfera della riconciliazione hegeliana. Marx ha potuto ribellarsi per questo, promuovendo peraltro un’altra dialettica della chiusura e della burocratizzazione. Il gruppo in fusione rivoluzionaria si è illanguidito nella serie del pratico inerte. La domanda sul futuro è quella legata alla comunione dei volti, a cosa ci sia da fare e da patire nel vivere faccia a faccia con il volto degli altri. Sarà una strada lunga: ma è già certo che se nel faccia a faccia prevale la faccia mia, allora è confermato il mondo della sopraffazione e della prevaricazione; se invece, come dovrebbe, prevale, per essere umani e cristiani, la faccia dell’altro e il suo diritto senza reciproca, fino alla soppressione di me, fino alla sostituzione completa di me in lui, allora è un’altra cosa, quell’altra cosa sempre intravista e mai posseduta. La coesistenza dei volti, risolta nell’amore del prossimo e nello svuotamento di sé, ha una patria: la patria della pace. Il nome della cosa, che è poi il più antico, non è l’essere, non è l’io, non è il conoscere, ma l’altro, il prossimo. Questo è il “porro Unum”. Il resto, compresa la conoscenza e la carezza, sarà dato in sovrappiù. (Italo Mancini, Tornino i volti).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Gennaio 2017ultima modifica: 2017-01-07T22:18:37+01:00da fraternidade
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