Giorno per giorno – 04 Dicembre 2016

Carissimi,
“Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: Abbiamo Abramo per padre! Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco” (Mt 3, 7-10). C’è un tale apparente contrasto tra la lettura di Isaia e il brano di Vangelo che la liturgia ci ha proposto in questa seconda domenica d’Avvento, tra il sogno di una pace cosmica, che abbraccia tutte le creature, e la parola minacciosa del Battista, rivolta proprio alla gente per bene, ai diversamente teorizzanti e praticanti della religione. Quasi si volesse dire anche a noi, oggi: guardate che del vostro battesimo e delle vostre rispettive aggregazioni, il buon Dio se ne fa un baffo, perché di gente che gli piace, la trova in tutte le religioni e nei senza religione, e può tirarla fuori persino dalle pietre. Quello che gli interessa è che cominciate a dare frutti degni di conversione. Non perché Lui possa o ci voglia fare del male. Ma perché continueremo a farlo agli altri e a farcelo noi, come prodotto dell’odio che ci hanno insegnato a vomitarci reciprocamente addosso. Ora, la conversione che Lui ci chiede è quella di convertirci al suo sguardo, sempre che l’abbiamo già incontrato e sperimentato su di noi e di cui, per conseguenza, ci siamo perdutamente innamorati. Saranno gli altri a sapere se questo è avvenuto davvero, anche se, e soprattutto se, diversi, distanti dal nostro modo di essere, pensare, credere, vivere. Fuori casa e, dato che succede sempre più spesso, anche dentro di casa. Perché si sentiranno ugualmente, e persino più, accolti e quasi, la parola è forte, ma questa è la sua natura, amorosamente avvolti da uno sguardo, che originato dal Padre ci fa tutti, indistintamente e ostinatamente, fratelli e sorelle. Allora, progressivamente, “la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare” (Is 11, 9). E il Regno di Dio, di cui impetriamo l’avvento, accadrà.

I testi che la liturgia di questa 2ª Domenica d’Avvento propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.11, 1-10; Lettera ai Romani, cap. 5, 4-9; Vangelo di Matteo, cap.3, 1-12.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

La memoria di oggi cadrebbe in realtà due giorni fa. Se la mettiamo qui, è solo per darle un rilievo maggiore, dato che oggi abbiamo un po’ più di spazio. Noi ricordiamo Ivan Illich, profeta della speranza. Lui avrebbe detto “uomo epimeteico”. Che è la stessa cosa, solo un po’ più difficile.

Ivan Illich era nato a Vienna il 4 settembre 1926 da padre croato e cattolico, e da madre ebrea sefardita. Nel 1941, a causa delle leggi razziali, con la famiglia lasciò l’Austria e si trasferì a Firenze, dove completò gli studi e dove maturò la vocazione al sacerdozio. Dopo gli studi teologici all’Università Gregoriana, fu ordinato prete nel 1951. Assegnato alla diocesi di New York, svolse per alcuni anni il suo ministero in una parrocchia a forte presenza di immigrati portoricani. Amico di Erich Fromm e di Jacques Maritain, nel 1956 fu nominato prorettore dell’Università Cattolica di Portorico, incarico che dovette lasciare nel 1960 per le crescenti incomprensioni con la gerarchia cattolica locale, incapace di una vera inculturazione in una società latinoamericana come quella portoricana. Nel 1961 creò a Cuernavaca, in Messico, il Centro Interculturale di Documentazione (CIDOC), con la finalità di meglio preparare i preti destinati alle missioni in America latina. Illich fu giudice sufficientemente severo per rimandarne a casa la metà, giudicandoli incapaci di rinunciare alla cultura consumista della società industriale nordamericana. Partendo da un’ispirazione radicalmente cristiana, denunciò con convinzione la politica colonialista dell’Occidente. Nel 1968, Illich venne chiamato a Roma per rispondere a un processo intentatogli dal Sant’Uffizio, a causa di alcune sue critiche all’istituzione. Benché ne uscisse prosciolto, nel febbraio del 1969 lo stesso dicastero romano vietò ai preti di seguire i corsi del CIDOC. Due mesi dopo, in una lettera aperta pubblicata dal New York Times, Illich rendeva pubblica la sua rinuncia a tutti i suoi titoli, benefici e servizi ecclesiastici. Non chiese la riduzione allo stato laicale. Restò prete incardinato nella diocesi di New York, conservando l’impegno alla preghiera quotidiana del breviario e mantenendo in tutti gli anni seguenti, fino alla morte, una fortissima tensione morale e religiosa. Dal 1980, Illich fece molti viaggi, dividendo il proprio tempo tra gli Stati Uniti, il Messico, e la Germania, denunciando il neopaganesimo nostro contemporaneo “che ha trasformato la persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, in un essere larvale pieno di bisogni decisi e risolti da esecutori di regolamenti e da tecnostrutture” e additando la necessità di una profonda deistituzionalizzazione della società e di una decrescita economica, in vista di una ritrovata convivialità. Colpito da un tumore al volto, che lo tormentò per quasi vent’anni, preferì cercare di curarlo con metodi tradizionali, senza successo. Morì il 2 dicembre 2002, al suo tavolo di lavoro. Ad un amico che poco tempo prima gli aveva chiesto a bruciapelo: “Ivan, credi in Dio?”, aveva risposto: “Dio danza sul mio naso, da sempre. Se non credessi in Dio niente nella mia vita avrebbe senso”.

Saremmo quasi tentati di dire che questa sera ci ha portato almeno un paio di buone notizie: la vittoria dell’ambientalista Van der Bellen nelle elezioni presidenziali austriache, che vede così l’anno chiudersi con un, forse ancora troppo piccolo, segnale in controtendenza rispetto alle affermazioni di leader e politiche populiste in altre regioni del mondo, e la netta sconfitta della pasticciata (o fin troppo accorta) riforma costituzionale nel Belpaese, che, per dirla con le parole di Raniero La Valle, avrebbe portato a compimento “quel passaggio della sovranità dal popolo ai mercati che da tempo ci chiedono la Trilaterale, Gelli, la banca Morgan, l’Europa, gli ambasciatori americani: una riforma che appunto, come oggi si dice, era attesa da trent’anni e che neanche Berlusconi era riuscito a realizzare. Ma questo transito della sovranità dagli uomini ai mercati, è precisamente ciò che depreca il papa quando denuncia la bancarotta di una società in cui il denaro governa invece di servire e in cui vengono salvate le banche ma non le persone”.

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda, lasciandovi ad una citazione di Ivan Illich, tratta dal suo intervento di apertura al Convegno di Camaldoli del 2002, citato in un articolo di Giannozzo Pucci, che troviamo in rete. Ed è questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Spero di parlare come figlio della Chiesa, non parlo come teologo. Essere teologo nella Santa Chiesa è un mandato, non è una competenza. Io non ho questo mandato. Ho studiato la mia teologia. Sono stato quel teologo nel Concilio Vaticano Secondo che ogni giorno s’incontrava con i quattro cardinali presidenti. Ho rinunciato a questo incarico in mezzo a una sessione quando la Santa Chiesa non poteva decidersi di dire che produrre la bomba atomica è un peccato orribile come produrre i preservativi di gomma. Ho detto “non posso continuare qui”, facendo un piccolo disegno mal fatto, non disegno bene, da un lato un pene semiflaccido con un preservativo, dall’altro un missile che parte con una bomba e sotto la scritta “EST NE CONTRA NATURA?” per far capire semplicemente la mia domanda. Ma ciò non toglie che quello che avrò da dire sulla posizione della Chiesa nella storia dell’occidente, come elemento essenziale di quello che chiamiamo oggi l’occidente, è detto da un figlio triste che vuol essere fedele e che vede nelle macchie della sua madre, la Chiesa, solamente una ragione per credere più fortemente, per ammirare Gesù che nella sua prescienza deve avere saputo che cosa sarà la Chiesa e nonostante questo me l’ha data come madre unica e senza la quale… Dico questo affinché non vi sia un dubbio sulla mia buona volontà di essere un uomo di fede. (Ivan Illich, Intervento di apertura al Seminario di Camaldoli).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Dicembre 2016ultima modifica: 2016-12-04T22:28:13+01:00da fraternidade
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