Giorno per giorno – 05 Novembre 2016

Carissimi,
“Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza” (Lc 16, 9. 13). È la conclusione della parabola che abbiamo ascoltato ieri. Le dimore eterne di cui parla Gesù sono la vita di Dio qui ed ora. Non c’è modo di entrarvi senza rinnegare l’idolo della ricchezza, frutto dell’ingiusta distribuzione dei beni, che fonda e perpetua un sistema di espropriazione, sfruttamento, violenza, esclusione e morte. Gesù è categorico: non potete servire Dio e la ricchezza. Questo richiama il primo comandamento che è anche l’unico, da cui discendono tutti gli altri: Io sono il Dio che ti ha liberato da ogni schiavitù. Non servirai nessun altro dio. Tempo di apostasia il nostro. Di idolatria di massa. Ma c’è speranza.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Bernhard Lichtenberg, presbitero e martire del totalitarismo nazista; del Card. Jules-Géraud Saliège, pastore e “giusto tra le nazioni”, e di Giorgio La Pira, il sindaco santo.

Bernhard Lichtenberg era nato, il 3 dicembre 1875, a Ohlau, cittadina della Bassa Slesia, allora in Prussia (oggi Oława, in Polonia). Desideroso di seguire la vocazione sacerdotale, terminata la scuola superiore, entrò in seminario e, dopo gli studi teologici, fu ordinato prete, nel 1899. Inviato a svolgere il suo ministero a Charlottenburg, un quartiere di Berlino, trovò modo di impegnarsi anche nel partito cattolico. Durante la prima guerra mondiale fu cappellano militare e questa esperienza lo portò ad integrare, nell’immediato dopoguerra, l’Associazione per la pace dei cattolici tedeschi. Dal 1920 al 1930 fu membro del parlamento regionale. Nel 1932 Lichtenberg fu chiamato a ricoprire l’incarico di rettore della Cattedrale di Sant’Edvige. Nel 1933, quando il regime nazista assunse il potere in Germania, egli si fece portavoce delle istanze avanzate dalla comunità ebraica di Berlino. In netto contrasto con la maggior parte delle istituzioni politiche e sociali del suo tempo, riteneva che fosse dovere vincolante del prete cattolico intervenire in soccorso di chiunque si trovasse in pericolo di vita, indipendentemente dal suo credo religioso. La sua opera di sensibilizzazione nei confronti della popolazione ebraica assunse un carattere più istituzionale nell’agosto 1938, quando Lichtenberg venne messo a capo dell’Ufficio di Soccorso dell’episcopato di Berlino, che si dedicò, tra l’altro, ad organizzare l’emigrazione di molte persone di origine ebraica. Quanto accadde nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938, la famosa Kristallnacht, passata sotto silenzio da tutte le Chiese, vide invece la denuncia puntuale, chiara e pubblica di Lichtenberg dal pulpito di Sant’Edvige. Da quella sera e fino al giorno del suo arresto, il prete continuò a predicare impavido a favore degli ebrei e delle altre vittime del regime, denunciandone le deportazioni e le misure volte a criminalizzare chi si accingesse ad aiutarli. Il 23 ottobre 1941, in seguito ad una perquisizione della sua canonica e del sequestro di alcuni appunti per l’omelia della domenica successiva, fu arrestato sotto l’accusa di attività sovversiva. Durante l’interrogatorio, Lichtenberg rifiutò di ritrattare quanto aveva scritto. Affermò con chiarezza che la visione dell’uomo e della storia presente nell’ideologia nazista era inconciliabile con il cristianesimo che egli, come prete cattolico, era tenuto ad opporvisi con tutte le forze. Nel maggio 1942, il tribunale distrettuale di Berlino lo condannò a due anni di reclusione. Rinchiuso nel carcere di Tegel, rifiutò di sottoscrivere la proposta della Gestapo che concedeva la libertà in cambio del giuramento di astenersi dal predicare per tutta la durata della guerra. Il servizio di sicurezza nazista ordinò allora il suo internamento nel campo di concrentramento di Dachau. Nel corso della deportazione, sfiancato dai tormenti sofferti, morì, presso la cittadina di Hof, il 5 novembre 1943. Aveva sessantotto anni. È stato beatificato da Giovanni Paolo II, il 23 giugno 1996, e dichiarato “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem, il 7 luglio 2004.

Jules-Géraud Saliège era nato a Mauriac il 24 febbraio 1870. Ordinato prete nel 1895, divenne, due anni più tardi, rettore del Seminario Maggiore di Saint-Flour, dove resterà fino al 1914, quando partì per il fronte come cappellano militare. Dopo la Guerra, nell’ottobre 1925 fu nominato vescovo di Gap e, nel dicembre 1928, arcivescovo di Tolosa. Il 12 aprile 1933, poco dopo l’ascesa al potere di Hitler, avvenuta nel gennaio dello stesso anno, mons. Saliège, prese pubblicamente le difese degli ebrei minacciati dall’avanzata del nazismo. Il 19 febbraio 1939 ricordò la condanna, da parte della Chiesa, del razzismo, un errore che PioXI, nella Lettera Enciclica Mit Brennender Sorge aveva dichiarato fondamentalmente contrario agli insegnamenti del Vangelo. Schierato inizialmente, come la quasi totalità dei vescovi francesi, a favore del governo collaborazionista del maresciallo Petain, se ne allontanò decisamente a partire dal marzo 1941, condannandone i principi totalitari e la deriva antisemita. Parrocchie e istituzioni religiose furono da allora sollecitati a ospitare e nascondere gli ebrei perseguitati, a falsificare documenti di identità e redigere falsi certificati di battesimo, a organizzare la fuga dei ricercati in Spagna attraverso i sentieri dei Pirenei. Il 23 agosto 1942 con una Lettera Pastorale che recava la perentoria postilla: “Da leggersi in tutte le chiese senza commenti”, il card. Saliège condannava una volta di più gli orrori a cui si doveva assistere. Sfuggito, il 9 giugno 1944, all’arresto e alla deportazione, per le precarie condizioni di salute che ne impedirono il trasporto, dopo la liberazione fu acclamato come “primo resistente della città” nella piazza del Campidoglio. Ricevette la Croce dell’ “Ordine della Liberazione”. Il Memoriale Yad Vashem gli diede il riconoscimento di “Giusto tra le nazioni” (Hasid Ummot Ha-‘Olam), per le molte vite di ebrei che salvò. Creato cardinale il 18 febbraio 1956, morì il 5 novembre dello stesso anno.

Giorgio La Pira nacque il 9 gennaio 1904 a Pozzallo, in Sicilia, da Gaetano La Pira e Angela Occhipinti, primogenito di sei figli. Giovane studente di Diritto, all’università di Messina, visitava le vecchie baracche della città, portando cibo, medicine, vestiti. Laureatosi a pieni voti, nel 1926, dopo un corso di specializzazione, in Austria, in Diritto Romano, fu chiamato a insegnare all’Università di Firenze. Nel 1928 divenne membro dell’Istituto secolare dei Missionari della Regalità di Cristo, pronunciando i voti religiosi. Nel capoluogo toscano conobbe presto e divenne amico di mons. Elia Della Costa e di don Giulio Facibeni. L’amicizia che contemporanemente instaurò con mons. Montini lo portò a incontrare don Raffaele Bensi, che scelse come suo direttore spirituale. In quegli anni continuò e approfondì il suo impegno sociale, divenendo, durante la dittatura fascista, un coraggioso difensore dei diritti della persona umana. Nell’immediato dopoguerra, eletto Deputato alla Costituente, contribuì, con Moro, Dossetti, Basso, Calamandrei, Togliatti, alla formulazione dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica, affermando le libertà civili e religiose, il diritto al lavoro, il valore della persona umana. Eletto nel 1951 sindaco di Firenze, avviò una politica, le cui priorità erano l’affermazione del diritto alla salute, alla casa, al lavoro e l’instancabile ricerca del dialogo, della pace e dell’amicizia tra i popoli. Abitando, finché la salute glielo permise, in una cella del convento domenicano di san Marco, lavorò senza sosta per abbattere i muri della sfiducia, dell’odio, dell’inimicizia. Incontrò i maggiori leader mondiali dell’epoca, parlando ai cuori e alle menti di tutti, durante le crisi più difficili degli anni 50 e 60. Morì il 5 novembre 1977.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Filippesi, cap.4, 10-19; Salmo 112; Vangelo di Luca, cap.16, 9-15.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Dopo gli incontri di Roma, nel 2014, e di Santa Cruz de la Sierra (Bolivia), nel 2015, ha avuto inizio il 2 novembre e si è concluso oggi, in Vaticano, il Terzo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari, che ha visto la partecipazione di 170 delegate e delegati di 65 Paesi, appartenenti a movimenti in cui si organizzano lavoratrici e lavoratori dell’economia popolare – dei campi e di diversi settori che rappresentano gli esclusi della società -, invitati da Papa Francesco. Nel corso dei quattro giorni dell’incontro si sono svolte discussioni e dibattiti attorno agli assi che ormai segnano storicamente l’evento e che rappresentano le principali preoccupazioni tanto dei movimenti come del Papa: Terra, Casa e Lavoro. In questa occasione, si sono analizzate anche altre tematiche, come Popolo e Democrazia, Territorio e Natura e Rifugiati e Sfollati del Mondo, con l’obiettivo di individuare nuovi strumenti, rafforzati dalla stessa visione dei protagonisti di queste problematiche.

Ed è tutto, per stasera. Nel congedarci, scegliamo di proporvi un brano del discorso conclusivo, tenuto da Papa Francesco ai partecipanti di tale Incontro. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ci sono forze potenti che possono neutralizzare questo processo di maturazione di un cambiamento che sia in grado di spostare il primato del denaro e mettere nuovamente al centro l’essere umano, l’uomo e la donna. Quel “filo invisibile”, quella struttura ingiusta che collega tutte le esclusioni che voi soffrite, può consolidarsi e trasformarsi in una frusta, una frusta esistenziale che, come nell’Egitto dell’Antico Testamento, rende schiavi, ruba la libertà, colpisce senza misericordia alcuni e minaccia costantemente altri, per abbattere tutti come bestiame fin dove vuole il denaro divinizzato. Chi governa allora? Il denaro. Come governa? Con la frusta della paura, della disuguaglianza, della violenza economica, sociale, culturale e militare che genera sempre più violenza in una spirale discendente che sembra non finire mai. Quanto dolore e quanta paura! C’è un terrorismo di base che deriva dal controllo globale del denaro sulla terra e minaccia l’intera umanità. Di questo terrorismo di base si alimentano i terrorismi derivati come il narco-terrorismo, il terrorismo di stato e quello che alcuni erroneamente chiamano terrorismo etnico o religioso. Ma nessun popolo, nessuna religione è terrorista! È vero, ci sono piccoli gruppi fondamentalisti da ogni parte. Ma il terrorismo inizia quando «hai cacciato via la meraviglia del creato, l’uomo e la donna, e hai messo lì il denaro». Tale sistema è terroristico. […] Nessuna tirannia si sostiene senza sfruttare le nostre paure. Questo è una chiave! Da qui il fatto che ogni tirannia sia terroristica. E quando questo terrore, che è stato seminato nelle periferie con massacri, saccheggi, oppressione e ingiustizia, esplode nei centri con diverse forme di violenza, persino con attentati odiosi e vili, i cittadini che ancora conservano alcuni diritti sono tentati dalla falsa sicurezza dei muri fisici o sociali. Muri che rinchiudono alcuni ed esiliano altri. Cittadini murati, terrorizzati, da un lato; esclusi, esiliati, ancora più terrorizzati, dall’altro. È questa la vita che Dio nostro Padre vuole per i suoi figli? La paura viene alimentata, manipolata… Perché la paura, oltre ad essere un buon affare per i mercanti di armi e di morte, ci indebolisce, ci destabilizza, distrugge le nostre difese psicologiche e spirituali, ci anestetizza di fronte alla sofferenza degli altri e alla fine ci rende crudeli. Quando sentiamo che si festeggia la morte di un giovane che forse ha sbagliato strada, quando vediamo che si preferisce la guerra alla pace, quando vediamo che si diffonde la xenofobia, quando constatiamo che guadagnano terreno le proposte intolleranti; dietro questa crudeltà che sembra massificarsi c’è il freddo soffio della paura. Vi chiedo di pregare per tutti coloro che hanno paura, preghiamo che Dio dia loro coraggio e che in questo anno della misericordia possa ammorbidire i nostri cuori. (Papa Francesco, Discorso ai partecipanti al III Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Novembre 2016ultima modifica: 2016-11-05T22:05:04+01:00da fraternidade
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