Giorno per giorno – 19 Ottobre 2016

Carissimi,
“Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo” (Lc 12, 39-40). Vangelo che ha una sua attualità aggiuntiva, dato che, come ci dicevamo stasera, con un pizzico di ironia, da un po’ di tempo a questa parte si moltiplicano i furti. Anche nelle case dove nessuno si sognerebbe di andare a rubare. Ma qualcuno, evidentemente, sì. Lo esige, probabilmente, l’aumentato traffico di droga e il numero dei suoi clienti. E sembra proprio non ci si possa fare niente (con prospettive anche più inquietanti per i drastici tagli alla spesa sociale che il governo golpista sta preparando). Chi “opera i prelievi” sa orari e abitudini delle vittime, mentre queste non immaginano l’orario delle incursioni, né che qualcuno arrivi a rubare proprio da loro. Come, appunto, Gesù dice del Figlio dell’uomo. Che se fosse lui, noi ci si farebbe pure la firma. In fondo è Lui che abbiamo imparato ad aspettare (anche se a volte forse ce ne dimentichiamo, e ci mettiamo ad aspettare altro). Per spiegare in cosa consista la vigilanza che ci è richiesta, Gesù racconta la parabola dell’amministratore (fedele o infedele, dipende da noi), cui è affidata la cura dei suoi conservi. E questo dice già tutto. Il Signore non si aspetta altro. Su questo si gioca la nostra fedeltà a Lui, non su formule di fede, pratiche religiose, pie devozioni. Che vanno pure bene, ma solo se ci rimandano all’essenziale: la cura dell’altro.

Il calendario ci porta oggi la memoria di Daudi Okelo e Jildo Irwa, catechisti e martiri in Uganda, e quella di Aldo Capitini, maestro di nonviolenza.

Daudi Okelo e Jildo Irwa appartenevano entrambi alla tribù Acholi, stanziata ancor oggi nel Nord dell’Uganda. Daudi era nato nel 1902 da genitori pagani e a 14 anni aveva chiesto di ricevere i sacramenti dell’iniziazione cristiana nella missione aperta dai missionari comboniani a Kitgum. Assieme a lui, ricevette il battesimo, l’Eucaristia e la Cresima, anche Jildo Irwa di quattro anni più giovane. Dopo la somministrazione della Cresima, Daudi aveva ottenuto l’iscrizione nell’elenco dei catechisti. Alla morte del catechista di Paimol, un villaggio a 80 chilometri da Kitgum, Daudi chiese di essere inviato al suo posto. I missionari gli fecero presente la pericolosità di tale missione, ma il giovane insistette. Così, a fine novembre 1917, Daudi si trasferì a Paimol, accompagnato dal giovanissimo Jildo, che era stato deciso di affiancargli. I due cominciarono la loro missione, riunendo ogni giorno all’alba i catecumeni per le preghiere del mattino e l’insegnamento dei primi rudimenti di catechesi. Durante il giorno visitavano i villaggi vicini, dove altri catecumeni erano impegnati nella guardia del bestiame o nei lavori dei campi. Poi, al tramonto, ancora un tempo dedicato alla preghiera in comune. Le minacce di quanti non gradivano tali pratiche non tardarono tuttavia a manifestarsi. La mattina del 19 ottobre 1918, prima dell’alba, un gruppo di cinque persone raggiunse la capanna dove abitavano Daudi e Jildo, per indurli a lasciare la zona o concretizzare le minacce. Davanti al sereno rifiuto opposto, presero Daudi, lo trascinarono fuori dal recinto e lo uccisero a colpi di lancia. Poi tornarono da Jildo che protestò: “Non abbiamo fatto niente di male, ma se avete ucciso Daudi, dovete uccidere anche me, perché insieme abbiamo insegnato la parola di Dio”. Lo portarono fuori, lo trafissero con una lancia e lo finirono con una coltellatata alla testa.

Aldo Capitini era nato a Perugia il 23 dicembre 1899 e la sua avventura esistenziale fu segnata dall’incontro con la Bibbia, la figura di Cristo, Francesco d’Assisi, Mazzini, Tolstoj e Gandhi. Nel 1924, ottenne una borsa di studio alla Normale di Pisa per la facoltà di Lettere e Filosofia, dove si laureò nel 1928. Seguì la vicenda politica di quegli anni con un crescente distacco critico nei confronti del fascismo. Rifiutata la tessera del Partito Nazionale Fascista, fu allontanato, nel 1933, dal posto di segretario della Scuola Normale, dove nel frattempo si era impiegato. Risale a quegli anni la scoperta del pensiero di Gandhi che portò Capitini a cogliere nella non-collaborazione la via della resistenza nonviolenta alla guerra, la sola forza capace di sconfiggere l’oppressione. Scelta che esige necessariamente una buona dose di amore per la persona che compie il male. Del resto, la lotta violenta alle strutture ingiuste e violente presenta “un difetto molto grave, che per guarire il male uccide spesso il malato, e allora il male risorge in noi”. E, in ogni caso, “dove si semina morte, non può nascere vita”. La critica severa dell’istituzione ecclesiastica, di cui Capitini denunciava la perdita della carica profetica ed evangelica, e il rifiuto, sul piano civile, della forma partito, cui imputava l’obiettivo della ricerca del potere, spiegano l’isolamento, il disinteresse e l’ignoranza in cui Capitini fu volutamente lasciato per molti anni. Nel giugno del 1944 fondò a Perugia il primo C.O.S. Centro d’Orientramento Sociale) e, successivamente, il C.O.R. (Centro d’Orientamento Religioso). Soprattutto il primo rappresentò un’esperienza fondamentale di democrazia dal basso, per la discussione dei problemi amministrativi e sociali. Dove dal basso “vuol dire esattamente di muovere dai singoli esseri, nella loro esistenza e molteplicità”. Per dare spazio a quella che lui chiamò l’omnicrazia, l’unica forma di potere in cui tutti abbiano davvero la parola e vivano in solidarietà. Importante fu la sua attuazione sul fronte della pace. Presidente della Consulta per la pace, fondatore del Movimento Nonviolento per la Pace e del suo mensile Azione nonviolenta, nel 1961, organizzò la prima Perugia-Assisi, la marcia per la Pace e la fratellanza dei popoli. Nel 1965 ottenne la cattedra di Pedagogia all’Università di Perugia. E, nella sua città, Aldo Capitini morì il 19 ottobre 1968, per complicazioni insorte a seguito di un intervento chirurgico.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.3, 2-12; Salmo (Is 12, 2-6); Vangelo di Luca, cap.12, 39-48.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Aldo Capitini, tratto dall’opuscolo “Teoria della nonviolenza” (Edizioni del Movimento Nonviolento), che ne raccoglie vari scritti. È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Non posso accettare come veramente mio il mondo dove le persone cadono come oggetti, ma quello dove tutti sono soggetti, vivono, si svolgono. Se non sentissi sempre questo, se avessi fatto qualche eccezione a questo, oggi dovrei moltiplicare la mia tensione per riparare al passato. E realmente io debbo riparare al passato, che oltre che mio, è di tutte le civiltà trascorse; e, istruito da questa insufficienza, oggi non sono tanto disposto a farmi sorprendere dall’indifferenza, e sto attento perchè non perda questa passione fondamentale ad ogni momento in cui la morte si manifesta in questa realtà. Perciò è inutile che io raccolga armi vicino a me e mi addestri ad usarle, se so già quale sarebbe la mia posizione domani. Da questo si riflette uno stimolo ad atteggiare il mio fare in modo che senta di non poter far conto su mezzi violenti, e che a mia disposizione non c’è che il prestigio dell’esempio, l’intima trasparenza, la razionalità della persuasione, la forza dell’anima. Potrò, a parte il ripudio della uccisione, ricorrere a dei mezzi che diminuiscano l’effetto della violenza dell’altro, specialmente se in uno stato di furia; ma sempre tali che non lo mettano in uno stato di tortura né in uno stravolgimento della sua possibilità di razionalità. L’importante è che in quel momento io mi immedesimi col problema dell’altro, e della sua formazione verso la libertà, la razionalità, la bontà; e che, assicurate queste dalla parte mia, mi rifiuti ai mezzi che la turbino nell’altro. La tortura, cioè che io provochi in te il dolore per ottenere qualche cosa da te, che senza la tortura mi rifiuteresti, non è per me giustificata da nulla, perché io non voglio mai provocare il dolore, ma riparare al dolore: essere non al punto in cui si causa il dolore (che è questa realtà e il mondo della limitatezza), ma al punto in cui si supera il dolore, che è la realtà autentica, il mondo del valore. Se questo mondo è la mia croce, io sono più del mondo, sono dall’infinito. Come davanti alla morte, cosi davanti alla sofferenza di un altro, ho la passione di essere non dalla parte del mondo ma del sopramondo eterno che qui si apre, non dalla materia ma dalla forma, non dall’esteriorità ma dall’interiorità, non con un Dio che batte, ma con un Dio che porta nel valore dell’amore che sempre si accresce, e che, come la libertà, non esiste, se non si fa ancora più amore, ancora più libertà. (Aldo Capitini, Teoria della nonviolenza).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Ottobre 2016ultima modifica: 2016-10-19T22:23:40+02:00da fraternidade
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