Giorno per giorno – 17 Ottobre 2016

Carissimi,
“Uno della folla disse a Gesù: Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità. Ma egli rispose: O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi? E disse loro: Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede” (Lc 12, 13-15). Stasera, a casa di Antonio e Vera, ci dicevamo che è raro assistere tra la nostra gente a liti per l’eredità, dato che in genere c’è poco da spartire e quel che in prospettiva era da dividere, lo si è deciso prima. Questa, comunque, è una parola che ci interpella su qualcosa di più di una semplice ripartizione dei beni che si hanno o a cui si pensa di avere diritto, anche se in senso stretto è a questo che si riferisce. Forse è a tutto ciò che si pretende per sé, in termini assoluti, volendo tirare a tutti i costi Dio, o la verità o la giustizia, dalla nostra parte. Basti pensare alla competizione che esiste anche tra le chiese o nei confronti delle altre religioni: già il porsi su questo piano, ci vede agli antipodi di quello che è l’annuncio del vangelo, il cui fuoco non è l’affermazione di una verità astratta, che ci separa dagli altri, ma la dimensione del servizio a vantaggio della vita di tutti. Questa è la porzione di quell’eredità (che è il Cristo stesso) a cui abbiamo diritto e che nessuno ci può togliere. Dato che è l’esatto contrario di “ogni cupidigia” di potere, di beni o semplicemente di autoaffermazione, destinata a svanire inesorabilmente nel nulla, nel momento in cui ci verrà chiesto conto della nostra vita. Come, allora, costruiamo le nostre relazioni famigliari, sociali, comunitarie? A partire da quale principio?

Oggi la chiesa fa memoria di Ignazio d’Antiochia, pastore, padre della Chiesa e martire, e di Madre Antonia Brenner, “angelo del carcere di Tijuana”.

Forse di famiglia pagana e convertito piuttosto tardi al cristianesimo, Ignazio conobbe personalmente gli apostoli Pietro e Paolo. Tra il 70 e il 107 d.C., fu vescovo di Antiochia, succedendo a Pietro e ad Evodio. Di quest’ultimo, parlando agli antiocheni, avrebbe detto: “Ricordatevi del beato Evodio, vostro pastore, il quale per primo vi ha governato, dopo gli apostoli. Mostriamoci degni figli di un tale padre”. Mentre era Vescovo ad Antiochia, l’imperatore Traiano diede inizio alla sua persecuzione. Arrestato e condannato, Ignazio fu condotto in catene da Antiochia a Roma, con un viaggio lunghissimo e assai penoso, durante il quale scrisse sette lettere, dirette a varie chiese, che costituiscono documenti preziosi sulla Chiesa primitiva e sui suoi fondamenti teologici. Scrivendo ai Romani, che temeva potessero intervenire in suo favore per evitargli il martirio scrisse: “Lasciatemi essere il nutrimento delle belve, dalle quali mi sarà dato di godere Dio. lo sono frumento di Dio”. E, giunto a Roma, intorno all’anno 107, il vescovo di Antiochia fu davvero triturato dalle belve del circo, dando testimonianza a Cristo che aveva appassionatamente amato.

Madre Antonia era nata Mary Clarke, a Los Angeles, il 1º Dicembre 1926, nella famiglia cattolico-irlandese di Kathleen Mary Clarke e di Joseph Clarke, facoltoso uomo d’affari. Benché cresciuta nell’ambiente esclusivo di Beverly Hills (California), fin da giovanissima fu educata a prendersi a cuore coloro che vivevano in situazioni di bisogno e a coinvolgersi in programi di aiuto come l’invio di medicinali in zone povere dell’Africa, India, Corea, Filippine, Sudamerica, o fornire assistenza alle organizzazioni sindacali dei contadini. Sposata e divorziata due volte (Brenner è il cognome del secondo marito), ebbe sette figli. Secondo quanto ella stessa raccontò in seguito, nel 1969, sognò di essere prigioniera al Calvario, prossima a subire la sua condanna a morte, quando Gesù le apparve e si offrì di prenderne il posto. Lei lo toccò sulla guancia, e gli disse che non lo avrebbe mai lasciato, qualunque cosa le potesse accadere. L’anno successivo, maturò la decisione di dedicare la sua vita alla Chiesa, in parte a causa di quel sogno. A cinquant’anni scelse di servire Cristo nei carcerati, trasferendosi armi (spirituali) e bagagli nel penitenziario di La Mesa a Tijuana (Messico), dove occuperà una stanzetta, quasi prigioniera tra i prigionieri, finché la salute glielo permetterà, dispensando aiuti materiali e assistenza spirituale ai detenuti, ma anche alle guardie. Nel 1997, incoraggiata dal suo vescovo, iniziò il processo per la formazione di una comunità che condividesse la sua missione, che si concluse con il riconoscimento nel 2003, delle “Serve dell’undicesima ora”. Madre Antonia è scomparsa il 17 ottobre 2013, all’età di 86 anni.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.2, 1-10; Salmo 100; Vangelo di Luca, cap.12, 13-21.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

I nostri fratelli ebrei sono entrati ieri sera al tramonto nella festività di Sukkoth (le “Capanne”), che si protrarrà per sette giorni. Ricorda i quarant’anni che il popolo ebreo trascorse nel deserto, dopo l’uscita dalla schiavitù in Egitto. In questa occasione ogni famiglia costruisce una capanna (succà), coperta di rami e di frasche, che lascia intravvedere il cielo, a simboleggiare la nostra disponibilità a lasciare che la luce di Dio entri sempre nelle nostre case e nelle nostre vite. Al suo riparo vengono consumate tutte le refezioni. Sukkoth costituisce, assieme a Pesach (Pasqua) e Shavuoth (Pentecoste), la terza delle feste di pellegrinaggio. Rappresentava anche la festa del raccolto autunnale. Il Levitico prescrive a suo riguardo: “Il quindici del settimo mese (ora Tishri è il primo mese), quando avrete raccolto i frutti della terra, celebrerete una festa al Signore per sette giorni; il primo giorno sarà di assoluto riposo e così l’ottavo giorno. Il primo giorno prenderete frutti degli alberi migliori: rami di plama, rami con dense foglie e salici di torrente e gioirete davanti al Signore vostro Dio per sette giorni” (Lv 23, 39-40). In base a quest’ordine si prepara il “lulav”, composto da un ramo di palma, tre di mirto, due di salice e, a parte, un frutto di cedro senza difetto. Tradizionalmente le quattro specie di vegetali del lulav simboleggiano i quattro diversi tipi di persone presenti nella comunità: alcuni sono sapienti e generosi (come il cedro, che è profumato e dà frutti buoni), altri sono sapienti, ma non generosi (come il mirto, che è profumato, ma non dà frutti), altri generosi, ma non sapienti (come la palma, che non profuma, ma dà frutti dolci e nutrienti), altri, infine, che non sono sapienti né generosi (come il salice che non profuma, né dà frutti). Dopo la benedizione in sinagoga, il lulav viene agitato in direzione dei quattro punti cardinali, perché la benedizione di Dio possa raggiungere tutto il mondo. Il settimo giorno della festa è chiamato “Hosha’anah Rabbah” (“Oh salvaci”), una sorta di ultima chance per ottenere il giudizio favorevole di Dio, rimasto eventualmente in sospeso nello Yom Kippur.

“Dove gli uomini e le donne sono condannati a vivere in estrema povertà, i diritti umani sono violati. Unirsi per assicurare che questi diritti siano rispettati è nostro solenne dovere”. Sono le parole che Padre Joseph Wresinski volle incise nella pietra, al termine di una manifestazione che, convocata il 17 ottobre 1987, aveva riunito 100.000 persone a Parigi, nella Place du Trocadéro, dove il 10 Dicembre 1948 era stata solennemente firmata la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”. L’idea di fondo della manifestazione sarebbe stata ripresa in seguito dall’Onu che volle fare del 17 Ottobre la “Giornata internazionale per lo sradicamento della povertà”. La finalità della celebrazione di questa giornata è quella di promuovere la consapevolezza della necessità di sradicare la povertà e la miseria in tutti i paesi del mondo, in particolare nei paesi in via di sviluppo. Una necessità che è diventata il primo degli Obiettivi del Millennio, da raggiungere entro il 2015. Che noi abbiamo desolatamente già alla spalle.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, cedendo la parola a Padre Joseph Wresinski, con una citazione tratta dalla Comunicazione scritta presentata in occasione della 43° sessione della Commissione dei Diritti dell’Uomo dele Nazioni unite, febbraio-marzo 1987, a Ginevra, con il titolo “La grande povertà, sfida posta ai Diritti dell’uomo nel nostro tempo”. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’esclusione, la privazione prolungata delle responsabilità e dei diritti elementari che hanno luogo in una nazione, non lasciano intatti la fiducia e lo spirito di iniziativa agli uomini. I più poveri sono sempre degli uomini, delle donne, dei bambini consapevoli di essere inutili, minati nel loro rispetto di se stessi, senza grande fiducia neanche nelle popolazioni vicine. Resta così da promuovere un altro dovere. Quello dei più poveri di trovare degli uomini e delle donne impegnati e fiduciosi, capaci, mediante l’impegno della loro persona e i rischi che sono pronti ad assumersi, di convincere una popolazione della propria dignità e delle proprie capacità di cambiamento. “Il rimedio dell’uomo, è l’uomo”, dicono gli Africani nel sud del Sahara. E l’uomo rimedio dell’uomo, per delle popolazioni corrose dalla povertà troppo lunga e troppo profonda, non è semplicemente un esperto professionale. Sono degli uomini, delle donne che offrono la loro persona, un tempo significativo della loro vita, pronti a rischiare la loro carriere per il progresso di altri uomini. I più poveri, così, ci ricordano che in definitiva, in ogni caso per loro, i Diritti dell’uomo restano una questione di uomini. Essi contano, anche, sulla Commissione dei Diritti dell’Uomo per essere aiutati a fare intendere questo appello alla fraternità che, sola, assicurerà che i diritti inalienabili penetrino fino in fondo alle zone di miseria. (Padre Joseph Wresinski, La grande povertà, sfida posta ai Diritti dell’uomo nel nostro tempo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Ottobre 2016ultima modifica: 2016-10-17T22:44:13+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo