Giorno per giorno – 03 Ottobre 2016

Carissimi,
“Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui” (Lc 10, 31-34). Quel samaritano è prima di tutto Dio. Che, nel Figlio, si è fatto eretico a se stesso. “Abbiamo ragione di dire che sei un samaritano e un indemoniato” (Gv 8, 48) era, infatti, l’accusa rivolta a Gesù dal clero del suo tempo. Che era quanto di peggio si potesse pensare e dire di qualcuno, come oggi, in certi ambienti, dare del comunista o del macumbeiro. Ebbene lo sono, ed ora vi mostro come l’eretico (cioè in questo caso Dio) agisce. Egli, al contrario di tanti preti, religiosi, gente perbene, tutti presi dai loro riti, culti e devozioni, di cui hanno dimenticato il significato più vero, Lui sente compassione, e non solo di qualche famigliare o amico, no, del suo nemico di sempre. Si ferma presso di lui, ferito, perde il suo tempo, lascia gli affari, celebra il rito più vero della vita. Mentre gli altri, devoti, se ne vanno al tempio ad adorare chi, là, non è più, perché è rimasto fuori, a prendersi cura degli ultimi, perduti di una storia che, non sapendo più chi è Dio, ruba, aggredisce, violenta, crocifigge, abbandona ai margini i suoi figli. Noi che facciamo?

Oggi facciamo memoria di George Allen Kennedy Bell, pastore e testimone di ecumenismo, di Maria Magdalena Enriquez, difensora dei diritti dei poveri e martire in El Salvador, e di Antonio Bargiggia, fratello dei poveri, martire in Burundi.

George Allen Kennedy Bell era nato il 4 febbraio 1883 a Hayling Island, nello Hampshire (Inghilterra), maggiore dei figli di Sarah Georgina Megaw e di suo marito James Allen Bell. Dopo gli studi teologici a Oxford, Bell fu ordinato diacono, nel 1907, e presbitero, nel 1908. Nei tre anni che seguirono si dedicò alla cura pastorale di una parrocchia alla periferia di Leed, dove un terzo della popolazione era costituito da immigrati indiani e africani, provenienti dalle diverse regioni dell’Impero britannico. In questa attività ebbe modo di collaborare e di apprendere molto dai metodisti, di cui ammirava la capacità di coniugare fede e impegno sociale. Nel 1914 fu nominato, dapprima, cappellano dell’arcivescovo Randall Davidson, primate d’Inghilterra, poi, nel 1925, decano di Canterbury e, nel 1929, vescovo di Chichester. Dal 1932-34 fu primo presidente di “Vita e Azione”, quando questo movimento confluì nel Consiglio Ecumenico delle Chiese. All’avvento del nazismo, divenne il più importante sostenitore della “Chiesa Confessante” che, in Germania, si opponeva risolutamente all’ideologia hitleriana, denunciando come eretiche le posizioni assunte da settori consistenti della Chiesa Evangelica Tedesca in appoggio alla politica del Fuhrer. In questi anni, Bell strinse amicizia con Dietrich Bonhoeffer, Nathan Söderblom e Wilhelm Visser’t Hooft, ponendo le basi per il cammino di riavvicinamento tra le chiese che ebbe luogo alla fine della seconda guerra mondiale. Negli anni ’50, fu avversario della corsa al riarmo atomico, e appoggiò numerose iniziative contro la Guerra Fredda. I suoi contatti ecumenici lo portarono a stringere amicizia con l’arcivescovo di Milano, Montini, che in seguito sarebbe divenuto papa Paolo VI. Bell morì il 3 Ottobre 1958. Aveva dedicato la sua ultima omelia a commentare la parola di Gesù che dice: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17, 10).

Di Maria Magdalena Enriquez, sappiamo solo che apparteneva alla Chiesa Battista e lavorava a tempo pieno alla “Commissione per i diritti umani”, creata a San Salvador, nell’aprile del 1978, con il compito di coordinare le difese dei prigionieri politici e raccogliere prove e testimonianze sulle sempre più gravi e diffuse violazioni dei diritti umani. Magdalena riceveva le persone per le denunce, raccoglieva la documentazione in merito, teneva i contatti con le autorità e con la Chiesa. Il 3 ottobre 1980 venne rapita e uccisa. Il suo cadavere fu ritrovato alcuni giorni dopo sepolto vicino al mare, a oriente della città e del porto.

Antonio Bargiggia era nato a Milano il 21 giugno 1958, e nel 1979 era andato in Africa, a lavorare come volontario in una missione del Burundi. Ritornato in Italia, maturò la decisione di dedicare tutta la sua vita ai poveri. Entrò così tra i “Fratelli dei poveri”, una famiglia religiosa di laici consacrati che opera in Burundi. Per vent’anni, fratel Antonio lavorò nella bidonville di Buterere, nella periferia più povera di Bujumbura, capitale del Burundi. Viveva, povero come i suoi vicini, in una baracca senza luce e senza acqua, con un suo fratello burundese, volendo bene e rendendosi disponibile a tutti, in qualunque ora del giorno o della notte, quale ne fosse l’etnia, hutu o tutsi, o la religione. Pochi mesi prima di morire, aveva scritto: “Abbiamo molti vicini, quasi tutti musulmani; andiamo d’accordo e ci aiutiamo gli uni con gli altri”. La mattina del 3 ottobre 2000, quattro uomini armati, due in divisa militare e due con abiti civili, bloccarono l’automezzo su cui stava viaggiando e lo uccisero, sparandogli a bruciapelo al volto, a Kibimba. Gli rubarono l’orologio e i sandali e abbandonarono il suo corpo per strada, portandosi via l’auto con il materiale che stava trasportando. Rintracciati poco dopo, furono nei giorni seguenti processati e condannati: l’esecutore materiale alla pena capitale, due complici all’ergastolo e l’autista a venti anni di detenzione. Il giorno prima dell’esecuzione, l’assassino fece chiamare il cappellano del carcere, l’abbé Gakona, per esprimere il suo pentimento e chiedere perdono del suo gesto. Restarono a parlare a lungo, il prete gli parlò di Gesù e della buona notizia dell’amore che Dio ha per gli ultimi e della festa che fa per quanti si convertono da una vita sbagliata. Alla fine del colloquio, il giovane chiese e ottenne di essere battezzato e il giorno dopo affrontò con grande serenità d’animo l’esecuzione della condanna.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Galati, cap.1, 6-12; Salmo 111; Vangelo di Luca, cap.10, 25-37.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

Da ieri sera al tramonto, per i nostri fratelli ebrei, è il 1° di Tishri dell’anno 5777 (dalla creazione del mondo), e perciò Rosh haShanah, Capodanno. È una festa che dura due giorni e ricorda la creazione di Adamo ed Eva, e, in essi, di ciascuno(a) di noi: occasione per chiederci che cosa abbiamo fatto finora della nostra vita e, più specificamente, dell’anno che abbiamo alle spalle. Il precetto centrale che riguarda questa festa è il suono dello shofar, il corno d’ariete, che chiama i fedeli a pentirsi e a imboccare la strada del ritorno, la teshuvah. Rosh haShanah è anche il primo dei cosiddetti iamim noraim”, i dieci “giorni terribili”, una specie di full immersion nella preghiera e nella penitenza, che culmineranno nello Yom Kippur, il Giorno dell’Espiazione, la maggior festa del calendario ebraico. In cui Dio, augurabilmente, pronuncerà la sua parola di perdono.

E, coincidentemente, ieri sera, anche i nostri fratelli mussulmani hanno celebrato il loro Capodanno 1438. Lasciandosi alle spalle il 30 di Dhul-hijja, sono entrati nel 1° giorno del mese di Muharram, anniversario dell’Egira. Così è chiamata la fuga del profeta Mohammed e dei suoi compagni dalla Mecca verso Yathrib, chiamata in seguito Medina (da Madinatu-n-Nabi, città dell’Inviato), avvenuta il 16 luglio 622. Tale data fu scelta in seguito come punto di partenza del calendario islamico (detto “egiriano”), che venne fatto coincidere con il 1° giorno del mese di Muharram dell’anno 1. Trattandosi di un calendario lunare (di soli 354 giorni), comporta, ogni anno, uno sfasamento di 11-12 giorni rispetto al nostro calendario solare.

Sui risultati delle elezioni amministrative, svoltesi ieri qui, ci soffermeremo domani, se ci resta il tempo. Per il momento è, perciò, tutto. Noi ci si congeda, lasciandovi a un brano del discorso pronunciato da Papa Francesco, ieri, durante l’Incontro interreligioso con lo Sceicco dei musulmani del Caucaso e con rappresentanti delle altre comunità religiose del Paese, svoltosi nella moschea “Heydar Aliyev”, a Baku, in Azerbaijan. Ed è questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La fraternità e la condivisione che desideriamo accrescere non saranno apprezzate da chi vuole rimarcare divisioni, rinfocolare tensioni e trarre guadagni da contrapposizioni e contrasti; sono però invocate e attese da chi desidera il bene comune, e soprattutto gradite a Dio, Compassionevole e Misericordioso, che vuole i figli e le figlie dell’unica famiglia umana tra loro più uniti e sempre in dialogo. Un grande poeta, figlio di questa terra, ha scritto: “Se sei umano, mescolati agli umani, perché gli uomini stanno bene tra di loro” (Nizami Ganjavi, Il libro di Alessandro, I, Sul proprio stato e il passare del tempo). Aprirsi agli altri non impoverisce, ma arricchisce, perché aiuta a essere più umani: a riconoscersi parte attiva di un insieme più grande e a interpretare la vita come un dono per gli altri; a vedere come traguardo non i propri interessi, ma il bene dell’umanità; ad agire senza idealismi e senza interventismi, senza operare dannose interferenze e azioni forzate, bensì sempre nel rispetto delle dinamiche storiche, delle culture e delle tradizioni religiose. Proprio le religioni hanno un grande compito: accompagnare gli uomini in cerca del senso della vita, aiutandoli a comprendere che le limitate capacità dell’essere umano e i beni di questo mondo non devono mai diventare degli assoluti. Ha scritto ancora Nizami: “Non stabilirti solidamente sulle tue forze, finché in cielo non avrai trovato dimora! I frutti del mondo non sono eterni, non adorare ciò che perisce!” (Leylā e Majnūn, Morte di Majnūn sulla tomba di Leylā). Le religioni sono chiamate a farci capire che il centro dell’uomo è fuori di sé, che siamo protesi verso l’Alto infinito e verso l’altro che ci è prossimo. Lì è chiamata a incamminarsi la vita, verso l’amore più elevato e insieme più concreto: esso non può che stare al culmine di ogni aspirazione autenticamente religiosa; perché – dice ancora il poeta –, “amore è quello che mai non muta, amore è quello che non ha fine” (ibid., Disperazione di Majnūn). (Papa Francesco, Discorso nella Moschea “Heydar Aliyev” – Baku).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Ottobre 2016ultima modifica: 2016-10-03T22:00:31+02:00da fraternidade
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