Giorno per giorno – 11 Luglio 2016

Carissimi,
“Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10, 37-39). Stasera, la comunità dell’Aparecida si è ritrovata a casa di Maria Ferreira e nessuno credeva ai propri occhi quando sulla porta è apparso lui. Cioè, Gerson, che, approfittando delle ferie invernali, ha deciso di farci una sorpresa e di venire per qualche giorno a “matar a saudade” con le comunità che animò per tanto tempo. Si promettono giorni ricchi di emozioni per molta gente di qui, che non gli ha ancora perdonato di aver lasciato Goiás per Minas Gerais. Ma veniamo al vangelo di oggi. Parole dure, difficili, impossibili, a prima vista, da vivere. Che, tuttavia, sentiamo vere, se si pensa a una vera, anche se solo comune, storia d’amore. Per vivere la quale ci si sente disposti a lasciarsi dietro ogni altro affetto, a dimenticare persino se stessi. Figurarsi cosa non si è capaci di fare, se l’altro coinvolto in questa storia è Lui in persona, quel Gesù di Nazareth in cui si è dato a vedere Dio. Stasera ci veniva in mente un uomo, di cui ci sembra di poter dire solo che ha speso la vita servendo Dio e che si è visto piano piano morire la figlia, prima del tempo (come è sempre quando una figlia muore prima del padre), e che sconsolato ripeteva, lui che si ritendeva uomo dalla fede provata: eppure non riesco a dire di sì a Dio. Lo diceva, sì, a Dio, che non gliela rapiva, la figlia, ma semplicemente l’accoglieva, in una casa più grande e sicura. Ma il cuore sanguinava ugualmente. Come sanguinava a Dio. Del resto anche Gesù aveva pianto davanti alla tomba dell’amico, non perché amasse l’amico più che Dio, sapendo anzi che il Padre gli era porto sicuro. Noi tutti, se si ama davvero, non di un amore egoista e possessivo, si ama in Dio e nel suo figlio Gesù ogni altra persona e cosa come anche la nostra vita. Questo darsi nell’amore è il significato della croce che abbiamo accettato di portare. E che Lui ci aiuta a portare.

La Chiesa ricorda oggi Benedetto da Norcia, padre del monachesimo occidentale, nonché patrono della vostra povera Europa. Il martirologio latinoamericano ci ricorda anche Mons. Carlos Horacio Ponce de Léon, pastore e martire in Argentina.

Poco sappiamo della sua vita. Nato a Norcia, in Umbria, nel 480 circa, dopo aver studiato a Roma, il giovane Benedetto si ritirò sul Monte Subiaco, dedicandosi ad una vita di preghiera e penitenza. Venne, in seguito, a contatto (lo si deduce da quanto è detto nella Regola) con diverse esperienze di vita monastica, da quelle più serie e motivate (anacoreti e cenobiti), a quelle più opportuniste e depravate (sarabaiti e girovaghi). Alcuni monaci, che lo avevano voluto come abate, tentarono persino di eliminarlo, non sopportandone il rigore. A Monte Cassino, fondò infine il suo monastero. Lí, uomini di ogni ceto ed estrazione, cui Benedetto seppe comunicare l’entusiasmo per il cammino evangelico e la sua radicalità, presero a vivere la vita del lavoro duro dei campi (condiviso con le classi basse della società), alternata a tempi di studio e scandita dai momenti forti della preghiera e dell’ascolto della Parola di Dio, in una comunità egualitaria e fraterna, retta dall’autorità e dall’esempio dell’abate, con l’aiuto e la guida di una Regola, che Benedetto dovette redigere ispirandosi anche a normative più antiche. Il patriarca del monachesimo occidentale morì il 21 marzo 547. O giù di lì. Duecento anni dopo la sua morte, erano già più di mille i monasteri che si riconoscevano e si ispiravano alla sua norma di vita.

Carlos Horacio Ponce de Léon era nato il 17 marzo 1914 a Navarro (Buenos Aires). Fu ordinato prete il 17 dicembre 1938. Nominato vescovo ausiliare della diocesi di Salta (Argentina), il 9 giugno 1962, fu consacrato il 15 agosto dello stesso anno. Il 28 aprile 1966 fu nominato vescovo di San Nicolás de los Arroyos. Durante il regime dittatoriale dell’autodenominato Processo di Riorganizzazione Nazionale, instaurato nel 1976, e che costò un altissimo numero di vittime, fu uno dei pochi membri della gerarchia della Chiesa cattolica argentina a criticare apertamente le violazioni dei diritti umani, gli abusi e i crimini della dittatura. A partire dal 24 marzo 1976 cominciò a ricevere sistematicamente i famigliari dei desaparecidos. Riceveva famiglia per famiglia, dedicando loro il tempo necessario per ascoltarne le preoccupazioni, annotare i dati, assicurare il suo interessamento. Ripetutamente minacciato di morte, ai preti che gli chiedevano perché non se ne andasse, rispondeva: “Perché andarmene se non faccio niente di male?”. L’11 luglio 1977, mentre alla guida della sua Renault 4S, accompagnato dal suo collaboratore Victor Martinez, si stava recando a Buenos Ayres trasportando alcuni dosssier scottanti sulle violazioni dei diritti umani (sequestri e torture), uno strano incidente mandò la vettura fuori strada. Trasportato alla clinica San Nicolás, vi morì qualche ora píù tardi, senza che fosse permesso al suo medico di entrare nell’unità di terapia intensiva. Aveva 63 anni.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.1, 10-17; Salmo 50; Vangelo di Matteo, cap.10, 34-11,1.

La preghiera del luned{i è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

È tutto, per stasera. E noi ci si congeda, offrendovi in lettura una citazione della monaca benedettina statunitense Joan Chittister, tratta dal libro “Fermati e ascolta il tuo cuore – Vivere oggi la Regola di San Benedetto” (Effatà Editrice), di cui in passato ci è già capitato di proporvi qualche brano. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Al giorno d’oggi, le mode riempiono la vita spirituale. Un anno ci viene detto che la panacea sono le novene, un altro anno i ritiri e un altro ancora i luoghi di meditazione. Alcuni credenti convinti ci assicurano che il culto da loro scelto è la sola risposta alle battaglie della vita. Gli amanti dell’occulto promettono una salvezza che viene dalle stelle o da un’antica tradizione orientale. Le comunità terapeutiche offrono maratone di incontri o laboratori per liberare la nostra anima dall’ira. Più e più volte, cure, culti ed esercizi psicologici vengono regolarmente provati e regolarmente abbandonati, mentre le gente cerca qualcosa che la faccia sentire bene, che rafforzi la sua visione della realtà e che dia un senso e un orientamento alla sua vita. Tuttavia, se non ci comportiamo in modo spirituale là dove ci troviamo e così come siamo, a nulla valgono i nostri sforzi. Stiamo semplicemente consumando l’ultima moda spirituale che intorpidisce la nostra confusione ma non riempie mai i nostri spiriti né libera i nostri cuori. Diversamente dalle mode spirituali che vanno e vengono con i loro maestri o le culture che le hanno generate, la Regola di San Benedetto guarda il mondo con occhi interiori e dura nel tempo. In essa, senza considerare chi siamo o cosa siamo, la vita e il suo scopo si incontrano. La Regola di San Benedetto è stata una guida per la vita spirituale della gente comune a partire dal VI secolo. […] La spiritualità benedettina offre proprio ciò che manca ai nostri tempi. Essa cerca di riempire il vuoto e di comporre la frammentarietà nelle quali molti di noi vivono e lo fa in modo sensato, umano, completo e accessibile in un mondo che è oppresso dal lavoro, eccessivamente stimolato e programmato. (Joan Chittister, Fermati e ascolta il tuo cuore – Vivere oggi la Regola di San Benedetto).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Luglio 2016ultima modifica: 2016-07-11T22:30:15+02:00da fraternidade
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