Giorno per giorno – 20 Maggio 2016

Carissimi,
“All’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto” (Mc 10, 6-9). I farisei avevano interrogato Gesù sulla liceità o meno del ripudio, che la legge mosaica permetteva, e comunque in ballo, nella risposta di Gesù, c’è forse assai più di semplicemente questo. C’è il progetto originario di Dio, che fa della coppia primordiale, immagine dell’ideale che dovremmo avere sempre in mente e a cui dovremmo tendere, una sorta di paradigma della storia umana, capace ogni volta di lasciarsi alle spalle padre e madre, vale a dire, le sicurezze affettive, economiche e culturali, per mettersi in cammino e incontrare l’altro, diverso da me, con cui creare, inventandole, a partire dai rispettivi universi, forme nuove del vivere insieme, che facciano salvi valori, quali libertà, diversità, uguaglianza, complementarietà, fedeltà e soprattutto amore. Quest’ultimo come valore decisivo, perche è ciò che realmente Dio (che è Amore) ha congiunto e che nessuno può osare separare. Mancando il quale, il matrimonio, come ogni altra forma di convivenza umana (nella società, nella chiesa, tra le religioni, Stati e nazioni), si riduce ad una qualche forma di prostituzione, dove gli uni o gli altri sono ridotti a cose, oggetto di sfruttamento, violenza, inganno, sopraffazione, disprezzo, che costituiscono di per sé la negazione del progetto di Dio. Non a caso, l’evangelista Matteo, nel passo parallelo a quello che abbiamo letto oggi, introduce l’eccezione al divieto del divorzio: “salvo il caso di prostituzione” (porneia nell’originale greco). Dio ha troppo a cuore la dignità dei suoi figli e figlie per permettere che venga offesa.

Oggi noi si fa memoria di Pietro di Cordova, missionario difensore degli indigeni, Michael e Margaretha Sattler e compagni, martiri anabattisti, e Paul Ricoeur, cristiano e filosofo.

Nato a Cordova, in Spagna, nel 1460, il giovane Pietro entrò nell’Ordine dei Predicatori e fece parte con Antonio di Montesinos e Bernardo di Santo Domingo, del primo gruppo di domenicani inviato a evangelizzare l’isola Española (l’attuale Repubblica Dominicana), dove giunse nel settembre del 1511. La difesa della popolazione indigena fu il grande compito che questi frati coraggiosi si diedero, da subito, comprendendo bene che non è possibile predicare l’Evangelo, senza denunciare l’ingiustizia e l’oppressione che regnano nella società. Fu così che, a pochi mesi dal suo arrivo sull’isola, la comunità decise di denunciare pubblicamente la situazione drammatica che si presentava ai suoi occhi. Insieme i frati redassero l’omelia della IV domenica di Avvento (21 dicembre 1511), delegando poi il padre Antonio de Montesinos a pronunciarla davanti alla popolazione e alle autorità. Quando l’ammiraglio Diego Colombo, vicere dell’isola, figlio del più celebre Cristoforo, si precipitò per fare le sue rimostranze dal superiore del convento, che era appunto Pietro di Cordova, questi gli rispose fermo e tranquillo: “Signore, mi permetta di ricordarle che noi, avendo posto le nostre parole e le nostre azioni al servizio del Re dei re, non possiamo che conformarci a ciò che è giusto, assolutamente giusto, e d’accordo con le leggi divine. Nulla, né nessuno, per quanto potente, riuscirà a piegare la nostra energia e distogliere da esse i nostri sforzi”. Si deve a Pietro di Cordova la redazione del primo catechismo destinato agli indigeni. Il frate morì a 38 anni, di tubercolosi, conseguenza della grandi penitenze cui si era sottoposto in vita.

Michael Sattler era nato nel 1490 a Stauffen, nella regione tedesca del Baden Württenberg. Entrato nel monastero benedettino di San Pietro, nella Foresta Nera, vi aveva compiuto gli studi ed emesso i voti religiosi, ed in seguito era stato eletto priore. Erano gli anni della Riforma e Michael, turbato dalla corruzione che vedeva diffusa nella chiesa e dalle miserabili condizioni di vita dei contadini della regione, e questionato dalla rilettura che Lutero faceva della proposta cristiana, decise di lasciare lo stato religioso. Recatosi a Zurigo nel 1525, apprese e cominciò ad esercitare il mestiere di tessitore. Venuto nel frattempo in contatto con gli anabattisti della zona, chiese di far parte del loro gruppo e di essere ribattezzato. A Strasburgo, l’anno seguente, conobbe e sposò Margaretha, la donna che ne avrebbe condiviso il destino fino alla morte. Il 24 Febbraio 1527, nella cittadina svizzera di Schleitheim, Sattler stilò, per conto della sua chiesa, i Sette articoli di Schleitheim, il documento che sintetizza i fondamenti dell’anabattismo. Poco dopo la conclusione della riunione di Schleitheim, Sattler, la moglie ed altri 18 anabattisti furono arrestati e trasferiti a Rottenburg, nel Baden Württenberg, per esservi processati. Erano ora nelle mani del re cattolico Ferdinando, che aveva dichiarato “il terzo battesimo” (cioè, l’annegamento) il miglior antidoto per l’Anabattismo. Fu imbastito un processo, basato su nove capi d’accusa. Alcuni di essi il Sattler dimostrò falsi, mentre per gli altri, giustificò le sue posizioni, in quanto biblicamente fondate. Dopo soli tre giorni, comunque, gli imputati furono giudicati colpevoli e condannati a morte. Riportiamo qui di seguito il resoconto del martirio di Sattler: “La tortura cominciò al mercato dove un pezzo di lingua di Sattler fu tagliato via. Pezzi di carne furono strappati dal suo corpo e a due riprese con tenaglie roventi, e quindi venne portato su una carretta. Lungo la strada verso il luogo dell’esecuzione le tenaglie strapparono la sua carne ancora altre cinque volte. Alla piazza del mercato ed al luogo dell’esecuzione, ancora in grado di parlare, l’incrollabile Sattler pregava per i suoi persecutori. Dopo essere stato legato ad una scala con funi e spinto nel fuoco, egli ammoniva il popolo, i giudici ed il sindaco a pentirsi ed a convertirsi. Poi pregava: Onnipotente ed eterno Dio, tu sei la via e la verità; io voglio fino ad oggi testimoniare la verità e suggellarla con il mio sangue. Appena le funi intorno ai suoi polsi si furono bruciate, Sattler alzò l’indice delle sue mani per dare ai fratelli il promesso segnale che la morte di un martire era cosa sopportabile. Poi la folla, lì riunita, sentì uscire dalle sue labbra bruciate le ultime parole: Padre, raccomando il mio spirito nelle tue mani”. Era il 20 maggio 1527. Con lui furono giustiziati altri tre anabattisti. La moglie di Sattler, Margaretha, fu uccisa mediante annegamento nel fiume Neckar, due giorni dopo.

Paul Ricoeur era nato il 27 febbraio 1913 a Valence (Drôme) in una famiglia di antica tradizione protestante. Rimasto orfano dei genitori ancora bambino (la madre morì poco dopo averlo dato alla luce, il padre nel 1915, al fronte, durante la Prima Guerra mondiale), fu allevato, assieme alla sorella, dai nonni, a Rennes. Nel 1935 sposò Simone Lejas, un’amica d’infanzia, che gli darà cinque figli. Prigioniero di guerra per cinque anni nei lager tedeschi a partire dal 1940, al ritorno in patria fu tra gli animatori della rivista Esprit, tribuna dell’esistenzialismo cristiano, e amico di Emmanuel Mounier, suo fondatore. Insegnò in seguito all’Università di Strasburgo, poi alla Sorbona e presso la nuova Università di Nanterre e, a partire dal 1970, negli Stati Uniti, alle università di Chicago, Yale e Columbia, oltre che a Lovanio (Belgio), Ginevra (Svizzera) e Montréal (Canada). Morì il 20 maggio 2005, nella sua abitazione di Châtenay-Malabry (Hauts-de-Seine). Ebbe a definire l’uomo “la Gioia del Sì nella tristezza del finito”. E propose un’antropologia da cui emerge un uomo fragile, “sproporzionato” e continuamente sul baratro tra il Bene e il Male, capace di peccato e fallimenti. E tuttavia, “per quanto radicale sia il male, esso non è così profondo come la bontà. Qualunque sia il male commesso, in ogni uomo esiste una particella di bontà da tirar fuori. La religione non è fatta per condannare; è una parola che dice: ‘Tu vali più delle tue azioni’. Si può liberare il fondo di bontà che è in ciascuno di noi se si accetta d’essere strutturati dai grandi simboli che sono alla base delle grandi religioni”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera di Giacomo, cap.5, 9-12; Salmo 103; Vangelo di Marco, cap. 10, 1-12.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, lasciandovi al brano di un articolo di Paul Ricoeur, apparso in Revue du Christianisme social n.5 (1946), e pubblicata, in traduzione italiana, con il titolo “Il cristiano e la civiltà occidentale” nel libro “La logica di Gesù” (Edizioni Qiqajon Comunit`di Bose). È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
A prima vista nulla indica che la rivelazione cristiana – la fede nel messaggio centrale della morte e della resurrezione di nostro Signore e l’attesa del suo ritorno – riguardi in qualche modo lo sviluppo storico delle civiltà, e in generale la promozione dei valori umani. Il cristianesimo non è in prima istanza un fattore di civilizzazione: è la rivelazione del fatto che io sono peccatore e mi offre la vita nuova tramite la partecipazione al primo vivente. Eppure la fede cristiana concerne anche la mia civiltà. La concerne in un duplice modo: per un verso il problema della mia responsabilità sociale di cristiano non è sostanzialmente diverso da quello della santificazione del mio corpo, proprio perché la mia civiltà è una specie di estensione della mia carne e si inscrive nella mia vita spirituale, la mia civiltà è come il mio stesso corpo, il “tempio dello Spirito santo” (1Cor 6, 19). Tutti i problemi della mistica e della fede, cioè tutti i problemi che riguardano la santificazione si devono poter percepire attraverso la storia umana conosciuta del corpo umano. Le opere sono nel corpo e nella storia; il “culto razionale” è il sacrificio del nostro corpo e della nostra storia, “sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (Rm 12, 1). Il problema che si pone è sempre quello di esprimere, incarnare la nostra fede in opere che testimonino che siamo delle creature nuove e avanzare nella fede attraverso uno sforzo di santificazione , che è lo stesso per il corpo come per la storia. Per un altro verso, la fede cristiana riguarda la mia civiltà proprio perché annuncia la regalità nascosta di nostro Signore sull’andamento di questo mondo e sull’andamento della storia, regalità che apparirà con evidenza negli ultimi giorni. Credo che, malgrado le apparenze, Cristo regni già su questo sviluppo dei valori, malgrado la presenza del diabolico che lo sfigura, al di là di questa presenza che lo nasconde. Io credo che Cristo viene alla fine della storia e della mia civiltà, e che la sua venuta sarà lo svelamento del suo regno attuale. Incarnazione ed escatologia influiscono in modo determinante su tutto quello che posso pensare della mia civiltà e fare in essa e per essa, sono come due poli tra i quali nasce una tensione vivente, talora dolorosa, ma sempre feconda. Questa tensione vivente non può essere che vissuta e “agita”. (Paul Ricoeur, Il cristiano e la civiltà occidentale).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 20 Maggio 2016ultima modifica: 2016-05-20T22:31:34+02:00da fraternidade
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