Giorno per giorno – 10 Settembre 2015

Carissimi,
“Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi” (Lc 6, 35). In questo passo del Discorso della Pianura siamo nel cuore della rivelazione di Dio trasmessa e incarnata da Gesù. Non c’è qui una norma morale astratta cui siamo costretti ad obbedire, si tratta invece del “come è” di Dio che siamo chiamati ad imitare. Una nuova, diversa e superiore civiltà è possibile solo a partire da questa immagine inedita e sorprendente di Dio e dal nostro conseguente aprirci ad un’esistenza che, superando le categorie di un amore che delimita i suoi confini, seleziona i suoi destinatari, si lascia guidare dalla logica del dare per avere in cambio, si affermi invece nell’incondizionatezza e gratuità del dono, nel rifiuto di giudicare e condannare, nella generosità del perdono, portandoci a superare unilateralmente la figura del nemico, concepito come colui che ci contrasta nelle nostre idee, mette a repentaglio le nostre sicurezze, attenta al nostro ordine, invade lo spazio dei nostri privilegi. Per riconoscere in lui il fratello da cui siamo stati a lungo separati, figlio con noi dell’unico Padre.

Oggi noi si fa memoria di Hillel, l’Anziano, maestro in Israele, e di Emilio Caan e Policarpo Chem, martiri in Guatemala, Barsoma “El-Erian”, folle per Cristo in Egitto.

Hillel era nato in Babilonia, forse verso l’80 a.C., in una famiglia di ascendenza davidica. Dopo aver studiato la Torah nella cittá natale, si era trasferito, già adulto, a Gerusalemme, dove lavorò duro per mantenere la famiglia e per concedersi di frequentare nel contempo la scuola di Shemaià e Avtalion, rispettivamente presidente del Sinedrio e capo del Tribunale. Verso l’anno 30 a.C., durante il regno di Erode il Grande, Hillel fondò la scuola che prese il suo nome (bet Hillel), contrapposta a quella di Shammai. La scuola di Hillel, assai più liberale della seconda, era basata su un’interpretazione indulgente della Legge, senza tuttavia allontanarsene o tradirla. Divenuto a sua volta presidente del Sinedrio, fu lui che per primo insegnò ad un candidato alla conversione la cosiddetta Regola d’Oro (che Gesù avrebbe fatto sua), una definizione sintetica della Legge: “Non fare agli altri ciò che non vuoi che essi facciano a te. Questa è tutta la Torà, il resto è solo commento”. Seppe coniugare sapienza e umiltà, giustizia e amore profondo alle creature, ragione e religione del cuore. Morì nel 10 d. C., quando Gesù, a Nazareth, era ancora solo un adolescente. Che tutto lascia credere dovesse conoscere bene gli insegnamenti del gran vegliardo. È curioso il fatto che, di tutte le correnti presenti nel giudaismo del 1° secolo, le uniche a sopravvivere sono quelle che hanno la loro origine nel pluridecennale magistero di Hillel e nella parabola fulminea ed efficace del Rabbi di Galilea, che permearono, nei secoli successivi, fino ai nostri giorni, la storia del giudaismo e del cristianesimo.

Emilio Caan era un indigeno pocomchí. Operatore di pastorale, catechista, fondatore della Cooperativa di San Cristóbal, nel Dipartimento di Verapaz (Guatemala), era già stato ripetutamente minacciato e anche sequestrato dalle forze paramilitari della zona di Cobán, ma ogni volta era stato liberato. Salvo l’ultima, quando nulla più si seppe di questo fedele servitore della sua Chiesa. Policarpo Chem, a San Cristóbal, aveva fondato la Legione di Maria, e ne era il presidente. Era conosciuto da tutti per la sua fede, il suo dinamismo, la sua umiltà. Era gerente della Cooperativa di Risparmio e Credito di San Cristóbal. Nel 1982 aveva posto le strutture della Cooperativa a servizio dei rifugiati di Las Pacayas. Il 10 settembre 1984 venne sequestrato, caricato a forza in un auto, alla cui guida c’era un certo Lara, già capo dei servizi di sicurezza della compagnia tedesca Hochtief, costruttrice del complesso idroelettrico di Chixoy, e già implicato in altri sequestri e omicidi delle bande paramilitari operanti nella regione. Il corpo di Policarpo venne ritrovato due giorni dopo con segni di tortura e orribilmente mutilato. Una folla immensa ne accompagnò i funerali. Durante il rito, la vecchia madre si avvicinò all’altare e, a voce alta, implorò il perdono di Dio per gli assassini di suo figlio.

Barsoma era nato da una nobile e ricca famiglia del Cairo verso 1257. Il padre, El-Wageeh Moufdel, era scrivano della regina Shagaret El-dor, e la madre apparteneva alla famiglia El-Taban. In seguito alle macchinazioni di uno zio, alla morte dei genitori, che avvenne quando era ancora molto giovane, si ritrovò spogliato dell’eredità paterna, povero e abbandonato. Invece di ricorrere alle autorità per far valere i suoi diritti, risolse di abbandonare gli ambienti mondani frequentati fino ad allora, e di darsi ad una vita da asceta girovago e mendicante. Coperto di un solo mantello, fatto che gli valse il soprannome di “El-Erian” (“il nudo”), visse per cinque anni nei quartieri più poveri della città, dove la gente lo considerava una specie di “folle per Cristo”. Poi, per vent’anni abitò in una grotta presso la chiesa di San Mercurio Abu Saifan, nei quartieri vecchi del Cairo. In seguito, per quindici anni, abitò sul tetto della chiesa, dove, pregando giorno e notte, sopportò con indomita pazienza l’estremo caldo dell’estate e il freddo d’inverno. In quegli anni si inasprirono le persecuzioni contro i cristiani, e Barsoma testimoniò coraggiosamente la sua fede, fino ad essere per questo imprigionato. Quando fu scarcerato, si stabilì nel monastero di Sahran, a sud del Cairo, dove visse, tanto per cambiare, sul tetto della chiesa, intensificando la sua preghiera e i suoi esercizi ascetici. Finché lo colse la morte, il 5 del mese benedetto di El-Nasi del 1317 (anno 1033 dell’era dei martiri). Fu seppellito a Sahran, e la fama della sua santità si diffuse presto in tutto il Medio Oriente.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Colossesi, cap.3, 12-17; Salmo 150; Vangelo di Luca, cap.6, 27-38.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Oggi, quanti di noi fanno parte di “Nós…a tenda Dele” (Noi… la Sua tenda), si uniscono alle migliaia di comunità di Fé e Luz (Fede e Luce), sparse nei cinque continenti, in azione di grazie per gli ottantasette anni di Jean Vanier, che, con Marie Hélène Mathieu, ne è l’ispiratore, oltre ad essere fondatore de “L’Arca”. Fede e Luce – che esiste anche in Italia – è, per dirla con le parole di Jean “creazione di legami, di comunità, di amore; è persone in relazione le une con le altre, persone impegnate verso le altre (cosa straordinaria nel nostro mondo di infedeltà); è legame, non solo tra persone che sono forti, sane, in buona salute, ma legame con chi è più debole, legame con chi è normalmente rifiutato”. Coisì, congedandoci, scegliamo di farlo, cedendo la parola a Jean Vanier, con un brano tratto da un’intervista da lui concessa, apparsa con il titolo “Christophe Chaland a rencontré Jean Vanier, fondateur des communautés de l’Arche: Ouvrons nos bras à un Dieu plus vulnérable”, nella rivista francese Panorama n.441 (Mars 2008). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La risurrezione è un’incontro con Gesù risorto. La risurrezione di Gesù è qualcosa di molto povero. Non si manifesta dentro al Tempio. Cosa fa il Risorto? Incontra appena una donna, Maria di Magdala, e alcuni uomini. La trasmissione della fede avviene attraverso incontri personali. Posso benissimo dire: “Ho incontrato Gesù e mi ha cambiato. Avevo un cuore di pietra, avevo paura della relazione e mi ha aperto il cuore”. La trasmissione della fede avviene da me a te, da te ad un altro. Trasmissione che avviene attraverso l’amicizia e la comunione, perché Dio è il Dio della comunione, il Dio della Trinità: il Padre e il Figlio si amano, ci fanno entrare in una relazione trinitaria attraverso la relazione con Gesù. La religione di Gesù non è una religione fatta di dogmi e di riti, ma è l’incontro con un uomo, che si chiama Gesù; e che è anche il Figlio di Dio. Dunque, tutto è fondato su un incontro amichevole, un incontro da cuore a cuore. Il sesto capitolo del Vangelo secondo Giovanni mi colpisce molto. Dapprima Gesù fa grandi cose, moltiplica i pani e tutti lo vogliono fare re. E dopo dice: “Chi mangia il mio corpo e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui”. Gesù rivela che Egli è qui tra noi non per fare grandi cose, ma per dimorare nelle persone affinché entrino in relazione. È il mondo della relazione ed è ciò che viviamo qui all’Arca. Non è questione di essere generosi verso le persone con handicap, di fare per loro grandi cose. Si tratta invece di entrare in relazione con loro. Questo significa mangiare alla stessa tavola con loro, far loro il bagno, vivere, celebrare la vita, danzare con loro. La pedagogia profonda dell’Arca, sta proprio qui: dire alle persone: “Sono molto contento di vivere con te!”. Si scopre allora che diventare amico di qualcuno che è stato rifiutato ci trasforma. Normalmente, nella società, si sta tra compagni, si ha un’amicizia – che Aristotele chiamava “utile” – con le persone che ci sono simili. Ma, spessissimo, tale amicizia fa sì che ci si rinchiuda nel gruppo. Quando invece entro in relazione con qualcuno di più povero, scopro che dono vita e che l’altro, che mi chiama, mi dona vita chiamandomi. (Christophe Chaland, Intervista a Jean Vanier).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Settembre 2015ultima modifica: 2015-09-10T22:28:58+02:00da fraternidade
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