Giorno per giorno – 07 Agosto 2015

Carissimi,
“Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?” (Mt 16, 24-26). Stasera, a casa di Alvino, dove eravamo con la comunità dell’Aparecida, la prima cosa che ci siamo detti, dopo la lettura del brano di vangelo, è stato che è proprio vero: ci sono molti modi di perdere la vita, uno reale e uno solo apparente. C’è, infattii, chi crede di accaparrarsela, accumulando beni, sottraendo vita e dignità agli altri, isolandosi, mettendosi al sicuro, negandosi alla comunione, nascondendosi dietro muri di indifferenza, armandosi di odio, di disprezzo per gli ultimi, qualche volta, persino – e questo è terribile – sotto il manto della religione -, e di costoro non si salverà nulla di ciò che si sono illusi di garantirsi per sempre. Poi c’è chi si appassiona del progetto del Regno – che è Dio come è in se stesso – cioè anche la vita – che si dona in continuazione e si converte al Povero, come avvenne con Gesù Cristo, “il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2, 6-8). È la morte di croce, non si scappa. Chi ama, perde e si perde. Inevitabilmente. Nella figura dell’amato. Questa è però anche la vita di Dio. Perciò, ogni volta, risorge. Ma, noi, sapremo noi, crocifissi alla logica del mondo, che è quella del dominio, dell’egoismo, della rapina, testimoniare servizio, dedizione, dono, in ogni occasione, nella vita di ogni giorno? Stasera, confessiamo che avevamo davanti agli occhi alcuni esempi straordinari.

Oggi è memoria di Rabindranath Thakur (anglicizzato in Tagore), filosofo, poeta e mistico indiano.

Nato a Calcutta, il 6 maggio 1861, figlio di una famiglia di riformatori religiosi e sociali, che in tutte le maniere cercava di liberare l’India dai pregiudizi millenari che opprimevano il popolo, Rabindranath fu mandato, diciassettenne, in Inghilterra, per compiervi gli studi di Diritto; vi rimase un anno e mezzo, studiando però letteratura e musica. Tornato in patria, partecipò ai movimenti per l’indipendenza della India, ma quando questi imboccarono la via della violenza, se ne allontanò. Si rivelò presto poeta, musicista, teatrologo, novelliere e filosofo, profondamente identificato con la natura, innamorato della sua gente e, soprattutto, aperto all’infinito. Una serie di lutti, assai dolorosi lo segnarono profondamente nei primi anni del nuovo secolo: nel 1902 gli morì la moglie ventinovenne, Mrnalini, che gli aveva dato cinque figli, nel 1904 fu la volta di una figlia, l’anno successivo del padre e infine, nel 1907, perse il figlio minore. Notevole fu nella sua formazione l’influsso del misticismo dei sufi islamici e dell’insegnamento di Gesù, oltre che naturalmente del pensiero upanishadico. Per lui, la via migliore all’unione completa con Dio consiste nel donarsi con gioia all’amore e al servizio degli altri. Nel suo capolavoro, Gitanjali, scrisse: “Dammi la forza, o Signore, di non rinnegare mai il povero, / di non piegare le ginocchia di fronte al l’insolenza dei potenti”: vorremmo fosse il nostro programma di vita. Premio Nobel per la letteratura nel 1913, morì il 7 agosto 1941, acclamato da Gandhi come il “grande maestro” e riconosciuto da tutti gli indiani come il “sole dell’India”.

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Deuteronomio, cap.4, 32-40; Salmo 77; Vangelo di Matteo, cap.16, 24-28.

La preghiera del venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi una poesia di Rabindranath Tagore, tratta dalla sua raccolta Gitanjali. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Quando mi comandi di cantare, il mio cuore / sembra scoppiare d’orgoglio / e fisso il tuo volto / e le lacrime mi riempiono gli occhi. // Tutto ciò che nella mia vita / vi è di aspro e discorde / si fonde in dolce armonia, / e la mia adorazione stende l’ali / come un uccello felice / nel suo volo a traverso il mare. // So che ti diletti del mio canto, / che soltanto come cantore / posso presentarmi al tuo cospetto. // Con l’ala distesa del mio canto / sfioro i tuoi piedi, che mai / avrei pensato di poter sfiorare. // Ebbro della felicità del mio canto / dimentico me stesso / e chiamo amico te / che sei il mio signore.// (Rabindranath Tagore, Quando mi comandi di cantare)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Agosto 2015ultima modifica: 2015-08-07T22:44:50+02:00da fraternidade
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