Giorno per giorno – 06 Agosto 2015

Carissimi,
“Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!” (Mc 9, 2-7). Anche stasera, come già la settimana scorsa, le due comunità vicine, “Evangelho é Vida” e “Padre Pedro” si sono riunite insieme a meditare il vangelo. Questa volta a casa di Ném e Djari, e si era, tra tutti, forse una trentina. Comprese tre giovanissime, tra i cinque e gli otto anni, Giovanna, Letícia e Maria Paula, che se ne sono rimaste tranquillamente per un bel po’ a giocare in fondo alla sala, ma che poi Divina ha riportato all’ordine, nell’ora della condivisione della Parola, perché non mancasse il loro contributo. Cosa che hanno fatto tutte e tre egregiamente, pur spaziando con libertà su altri episodi del vangelo e della vita. Noi, sollecitati da Rafael – che, alla scuola di Valdir, sta diventando un ottimo muratore e che, stasera, conduceva la riunione -, ci siamo chiesti cosa potesse significare l’episodio della trasfigurazione, allora, e oggi, per noi. Lui, di suo, ci ha suggerito che la chiave potesse essere nell’invito pressante, giunto dalla “nube” di ascoltare il “figlio prediletto” e solo lui, senza lasciarci distogliere da altre voci. Dove, il “figlio”, uguale al Padre, è il dono della vita, servire, scegliere l’ultimo posto. Alcuni studiosi pensano che quello fosse un momento cruciale nella vita di Gesù, un momento di crisi, per lui e per i discepoli, per il fatto di non sapere bene come sarebbe finita. E, per i discepoli, in aggiunta, quale fosse davvero il tenore della pretesa di Gesù, di incarnare il progetto di Dio, così diverso da ciò a cui avevano alluso molte delle profezie del passato, che illuminavano e scaldavano le speranze della gente. Beh, se c’era bisogno di una conferma, eccola. Una voce, e, per un momento almeno, tutto coerente: Gesù in dialogo con Mosè (la Legge), ed Elia (la Profezia) – Luca specificherà che ciò di cui parlavano era l’ “esodo” di Gesù, a Gerusalemme, la croce, insomma -, illuminandosi e interpretandosi a vicenda. Ecco, noi ci dicevamo che, forse, non arriveremo mai a vederci così chiaro, però dobbiamo almeno fare il primo passo, che è quello di, ogni tanto, ritrovarci con Gesù, per ascoltarlo e tentare di scoprire come, a partire dal Vangelo, tradurlo nelle nostre vite. Il resto lo farà, o ci aiuterà a farlo, lo Spirito. E anche le nostre vite saranno trasfigurate.

Oggi il calendario delle Chiese d’oriente e d’occidente ricorda la Festa della Trasfigurazione di Gesù.

Istituita, probabilmente nel V secolo, nella chiesa siriaca per ricordare la dedicazione di una chiesa sul Monte Tabor, si estese successivamente alla Chiesa bizantina, nella Spagna mozarabica e nella liturgia monastica dell’Occidente. Il papa Callisto III, ne fissò la data al 6 agosto, per celebrare il fatto che in quel giorno, nel 1456, giunse a Roma la notizia della vittoria a Belgrado contro i turchi. Come dire, uno che non aveva capito nulla del mistero che celebrava. E il Buon Dio, che è misericordia infinita, per non smentirsi, non potè neanche fulminarlo. Come in un primo momento dev’esserGli venuto in mente di fare.

Il calendario ci porta anche la memoria di Paolo VI, il papa del Concilio.

La sera del 6 agosto 1978 moriva, a Castelgandolfo, il papa Paolo VI. Nato a Concesio (Brescia) il 26 settembre 1897, Giovanni Battista Montini, dopo aver prestato per molti anni i suoi servizi in Vaticano, fu nominato arcivescovo di Milano, il 1º novembre 1954, e poi eletto papa, il 21 giugno 1963, succedendo così a Giovanni XXIII. Alieno da ogni culto della personalità e, a livello personale, profondamente umile e schivo, seppe nondimeno condurre a termine il Concilio e avviare l’applicazione delle delibere conciliari, nonostante gli ostacoli e le incomprensioni che gli venivano da diversi fronti. Importante fu il suo contributo alla causa dell’ecumenismo e del dialogo, soprattutto con le Chiese orientali (storico fu il suo abbraccio con il Patriarca Athenagoras di Costantinopoli, a Betlemme, nel 1964) e con la Chiesa anglicana. Viaggiò molto per incontrare da vicino l’umanità al cui servizio si era votato. Né sempre ci riuscì, come inevitabilmente accade quando i governi si mettono di mezzo a fare da schermo a realtà scomode. Per loro. Scrisse numerose encicliche, tra cui ricordiamo qui l’Ecclesiam suam e la Populorum progressio, in cui denunciava l’iniquità dell’attuale modello di sviluppo, identificandosi con le speranze e le lotte dei poveri. Al card. Luciani, che gli sarebbe successo sulla cattedra di Pietro aveva confidato un giorno: “Forse il Signore mi ha chiamato a questo servizio non già perché io abbia qualche attitudine o io governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualcosa per la Chiesa e sia chiaro che Cristo, non altri, la guida e la salva. Il Papa ha le pene, che gli provengono anzitutto dalla propria insufficienza umana, quale ad ogni istante si trova di fronte e quasi in conflitto con il peso enorme e smisurato dei suoi doveri e della sua responsabilità. Ciò arriva talvolta sino all’agonia”.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività che celebriamo e sono tratti da:
Profezia di Daniele, cap.7, 9-10.13-14; Salmo 97; 2ª Lettera di Pietro, cap.1, 16-19; Vangelo di Marco, cap.9, 2-10.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Ogni anno, in questa data, noi ricordiamo anche l’evento terribile della bomba atomica sganciata su Hiroshima, il 6 agosto 1945. Segno del potenziale distruttivo che sta nelle mani dell’uomo, della sua capacità di negare il dono di Dio. Idolo dell’odio e della guerra. E richiamo, perciò alla responsabilità che grava su ognuno di noi per la salvaguardia della pace nel mondo. E perciò del mondo.

Oggi sono tredici anni che funziona la Chácara Paraíso, per il recupero/trasfigurazione dei nostri amici tossicodipendenti. Ed è anche la festa della nostra comunità di Fé e Luz, che, proprio per questo, si chiama “Noi… la Sua tenda”: riunisce in una famiglia persone con deficit intellettuale, ma con grande capacità di amare e di ricevere amore, i loro famigliari e i loro amici e amiche di ogni età. Un po’ di anni fa, un nostro amico faceva in questo giorno la sua prima consacrazione a Lui. Di cui non si è ancora pentito. Come vedete, abbiamo un certo numero di motivi per rallegrarci e per pregare.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda, offrendovi in lettura una citazione di Paolo VI, tratta dalla sua Enciclica Populorum Progressio, che non è per nulla invecchiata. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli. Noi non insisteremo mai abbastanza sul dovere della accoglienza – dovere di solidarietà umana e di carità cristiana – che incombe sia alle famiglie, sia alle organizzazioni culturali dei paesi ospitanti. Occorre, soprattutto per i giovani, moltiplicare le famiglie e i luoghi atti ad accoglierli. Ciò innanzitutto allo scopo di proteggerli contro la solitudine, il sentimento d’abbandono, la disperazione, che minano ogni capacità di risorsa morale, ma anche per difenderli contro la situazione malsana in cui si trovano, che li forza a paragonare l’estrema povertà della loro patria col lusso e lo spreco donde sono circondati. E ancora: per salvaguardarli dal contagio delle dottrine eversive e dalle tentazioni aggressive cui li espone il ricordo di tanta “miseria immeritata”. Infine soprattutto per dare a loro, insieme con il calore d’una accoglienza fraterna, l’esempio d’una vita sana, il gusto della carità cristiana autentica e fattiva, lo stimolo ad apprezzare i valori spirituali. È doloroso il pensarlo: numerosi giovani, venuti in paesi più progrediti per apprendervi la scienza, la competenza e la cultura che li renderanno più atti a servire la loro patria, vi acquistano certo una formazione di alta qualità, ma finiscono in non rari casi col perdervi il senso dei valori spirituali che spesso erano presenti, come un prezioso patrimonio, nelle civiltà che li avevano visti crescere. La stessa accoglienza è dovuta ai lavoratori emigrati che vivono in condizioni spesso disumane, costretti a spremere il proprio salario per alleviare un po’ le famiglie rimaste nella miseria sul suolo natale. (Paolo VI, Populorum Progressio, 66-69)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Agosto 2015ultima modifica: 2015-08-06T22:43:15+02:00da fraternidade
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