Giorno per giorno – 09 Giugno 2015

Carissimi,
“Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 14-16). Luce del mondo, lo si è, se e quando siamo il popolo delle beatitudini. Quando, cioè, siamo come Gesù. Luce, “luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1, 9), infatti, è ciò che di Gesù afferma Giovanni nel prologo del suo vangelo, ed è ciò che lo stesso Gesù dirà di sé: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8, 12). È una missione, che egli trasferisce a noi. Una responsabilità tremenda. Con delle conseguenze terribili, se arrivassimo mai, a cambiarle di segno: “Se la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra” (Mt 6, 23). Che Gesù dirà proprio in relazione alla possibilità concreta che ci è data di smentire le beatitudini, facendoci adoratori della ricchezza, accumulata e non condivisa. Questa luce che siamo chiamati ad essere è una luce che ogni uomo è in grado di ricevere e scoprire dentro di sé. I discepoli di Gesù sono lì solo per richiamarla, per ridestare in cuore la nostalgia del giardino, in cui tutti sono chiamati a godere insieme di ogni frutto e a riconoscere nell’altro, in ogni altro, nella sua diversità, che si fa avanti “carne della mia carne e osso delle mie ossa”, uguale in dignità e complementare. Per poi, tutti insieme, tendere a formare quella città sopra il monte, che diventa l’eutopia (la città bella), sogno e motore di ogni società umana.

Tre sono le memorie di oggi: quella di Efrem di Nisibi, diacono, poeta e innografo; quella di José de Anchieta, “il più piccolo della Compagnia di Gesù” (secondo la sua stessa definizione); e quella di Héctor Gallego, prete e martire della solidarietà in Panama.

Efrem nacque a Nisibi in Mesopotamia (oggi Nusay-bin in Turchia, al confine con la Siria), verso il 306 e, diciottenne, ricevette il battesimo dal vescovo di quella città, Giacomo, che divenne sua guida spirituale ed amico. Al pari di altri asceti di quella regione, Efrem rinunciò al matrimonio e scelse di vivere in solitudine, dedicandosi allo studio delle Scritture e alla preghiera, e ponendo la sua vita al servizio della chiesa e dei poveri. Quando nel 363 la città cadde in mano persiana, Efrem, che nel frattempo era stato ordinato diacono, si stabilì a Edessa, dove gli fu affidata la direzione della cosiddetta “scuola dei persiani”, in cui si insegnava a leggere e a commentare la Sacra Scrittura. Dall’assidua frequentazione dei testi sacri, trasse, con l’aiuto dell’estro poetico di cui era assai dotato, molte liriche e inni, che si diffusero ben presto in tutto l’Oriente. Nel 372, una grande carestia si abbattè sulla città di Edessa, e Efrem ricevette l’incarico di organizzare i soccorsi. Morì il 9 giugno dell’anno successivo. Benedetto XV lo dichiarò dottore della Chiesa nel 1920.

José era nato il 19 marzo 1533 a San Cristobal de la Laguna, nell’isola di Tenerife, arcipelago delle Canarie, da dona Mência Dias de Clavijo Llerena (di famiglia ebrea convertita) e da João Lopez de Anchieta, un esule basco che, dopo una ribellione, si era visto commutata la pena di morte in quella dell’esilio, grazie all’intervento di un capitano suo amico, tal Ignazio di Lojola. Di cui in seguito si sarebbe sentito parlare in altra veste. Ricevuta la prima istruzione nella città natale e mandato, quattordicenne, a Coimbra, in Portogallo, per portare a termine i suoi studi, José maturò lì la sua vocazione religiosa. Entrato nella Compagnia di Gesù nel 1551, fece la sua professione religiosa due anni più tardi e subito dopo fu inviato con altri compagni come missionario in Brasile. Sbarcati a Bahia l’8 luglio 1553, i missionari si spostarono in direzione dell’altipiano. Giunti nei pressi di un villaggio indigeno, nella regione di Piratininga, costruirono la loro prima casa, “una casupola poverissima e strettissima”, che vollero dedicare a san Paolo, dato che era il 25 gennaio [1554], festa della Conversione dell’Apostolo. Fu da quella baracca che negli anni successivi si sarebbe sviluppata quella che oggi è la megalopoli paulista. Ordinato sacerdote nel 1566, il nostro gesuita, che continuerà a firmarsi sempre e soltanto col nome, per timore forse che si scoprissero le sue ascendenze ebree (erano tempi in cui l’Inquisizione perseguitava gli ebrei convertiti, diffidando della sincerità della loro conversione), si distinse per entusiasmo apostolico e per saggezza, nonché per capacità di governo, quando, un decennio più tardi, fu chiamato alla guida della Provincia gesuita del Brasile. Di fronte alla brutalità e all’ignoranza crassa dei colonizzatori, seppe prendere le difese degli indios, studiando le possibilità e percorrendo i cammini di quella acculturazione pacifica che, nei parametri culturali e religiosi dell’epoca, era intesa come unica via alla promozione umana, sociale e morale di quelle popolazioni. Compose in lingua indigena il primo catechismo, dopo averne scritta anche la prima grammatica. Morì il 9 giugno 1597 a Reritiba, chiamata poi Anchieta in suo onore.

Il colombiano Jesús Héctor Gallego era giunto, per la prima volta a Santa Fé de Veraguas, in Panama, da seminarista, nel febbraio 1967. Ed era tornato in patria, solo per esservi ordinato prete, il 16 luglio dello stesso anno, per mano del profetico vescovo Mons. Marcos Gregorio McGrath. Rientrato in agosto, in Panama, avviò subito un’intensa attività pastorale per impiantare quella che sarà la sua futura parrocchia. Con un gruppo di seminaristi prese a percorrere tutta la regione, visitando i villaggi disseminati sulle sue montagne. Si trattava di un distretto completamente abbandonato, per l’assoluta mancanza di vie di comunicazione. I contadini erano quasi tutti analfabeti, poveri, in cattive condizioni di salute e isolati. Padre Héctor organizzò la popolazione in 64 comunità di base, in cui si approfondiva la conoscenza delle Scritture, si discutevano i problemi della comunità, si celebrava l’Eucaristia. Una volta al mese si celebrava la Messa di tutte le comunità; oltre mille contadini, macinando molti chilometri a piedi, convergevano allora a celebrare la loro fede, scoprire insieme le cause dell’oppressione e della miseria, divenire solidali nella lotta, organizzare il lavoro in cooperativa. Il lavoro di coscientizzazione si basava su un “pericoloso libello rivoluzionario”: l’enciclica Populorum Progressio di Paolo VI. Se la gente sentiva di potersi fidare di quel prete, che vestiva e abitava poveramente come loro, che, come loro, a volte, pativa la fame, altri invece presero a guardarlo con sospetto e stizza. Le minacce contro il “prete estremista”, che era venuto a turbare l’ordine e la sicurezza dei latifondisti, si moltiplicarono, così come gli avvertimenti, i dispetti, gli attentati, i fermi. Finché, il 9 giugno 1971 fu prelevato a forza di casa e fatto sparire. Numerosi testimoni riconobbero nei sequestratori alcuni membri della Guardia Nazionale, che nei giorni precedenti il sequestro avevano chiesto di lui. Tre di loro saranno in seguito condannati a quindici anni di prigione per coinvolgimento diretto nella sparizione di padre Héctor. Lui però vive.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2ª Lettera ai Corinzi, cap.1, 18-22; Salmo 119, 129-135; Vangelo di Matteo, cap.5, 13-16.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura un brano di Efrem il Siro, che troviamo in un’antologia dei suoi scritti, consultabile in rete. E che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Conduci la tua vita nella pace ed equipaggiala di un buon viatico, perché si raccolga in Dio! Là ti troverai dopo la sua fine, quando dovrai rendere conto. Ma se vivi male, la tua vita ti verrà strappata e andrà perduta: la cercherai, ma non la troverai più. L’acqua versata in terra non la puoi più bere; se la versi invece in un bicchiere, ecco, l’hai pronta per berla. Non trascorrere la tua vita nell’ira e nell’odio, non dissiparla nella rapina e nell’ingiustizia; non renderla, con l’impurità e la ladroneria, simile ad acqua fetida, che la terra ingoia e nessun occhio più vede. Non mandare in rovina la tua vita con l’invidia e l’inganno, col cruccio e l’astio, con la cattiveria di qualsiasi specie: saresti altrimenti un morto vero che ha perso la sua vita. Nulla all’uomo è più caro del vivere suo, e per esso darebbe il mondo intero, se gli fosse possibile. Persegui l’impegno migliore, perché ti serva come canale in cui la tua vita, pur trascorrendo, possa giungere alla fine a quietarsi in Dio. Orienta il fiumicello del vivere tuo verso il Signore, affinché, dopo aver vinto quaggiù, tu ti possa trovare lassù nel mare della vita! Vi è un torrentello di vita, in questo mondo transitorio, che tu chiami tuo: conducilo lassù a Dio, perché diventi un oceano di vita. Giorno per giorno la tua vita scorre e se ne va: riversala in Dio, perché tu la possa ritrovare per l’eternità! (Efrem il Siro, Tutto è vanità e afflizione di spirito 5-6)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Giugno 2015ultima modifica: 2015-06-09T22:07:24+02:00da fraternidade
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