Giorno per giorno – 08 Giugno 2015

Carissimi,
“Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati” (Mt 5, 1-4). E ci fermiamo qui. Le beatitudini, le sappiamo quasi a memoria, anche se non proprio nell’ordine in cui sono state scritte. La riprova, la si è avuta stasera, a casa di Erci e Genesy, dove ci siamo riuniti. Luca, nella versione che ne dà lui nel suo vangelo, dice semplicemente “Beati voi, poveri” (Lc 6, 20). Che sono, in ogni caso, sempre e comunque, la prima preoccupazione di Dio. E di chi crede in Lui. Matteo, forse anche per allargare le porte di quel regno che Gesù è venuto a inaugurare, aggiunge quella specificazione: “in spirito”, che è come dire “che, del povero, hanno il cuore”. Che, cioè, non hanno (o accettano di non avere) poteri di sorta con cui dominare, sfruttare, manipolare gli altri, né ricchezze, con cui garantirsi, né sicurezze, cui potersi aggrappare. Ma hanno Dio in mezzo a loro: vivono del dono che è Lui, e lo distribuiscono agli altri, nei loro gesti, azioni, parole. Cercano di dire e fare Dio, il Dio di Gesù, magari senza neppure nominarlo, nelle loro funzioni quotidiane, negli stili di vita che adottano, nelle scelte politiche che compiono. Senza che ne risulti sacrificata la radicalità dell’impegno di fede, né la irrinunciabile laicità del contesto civile. Non a caso, le beatitudini non parlano affatto di attività religiose, il culto, lo studio delle cose di Dio, le devozioni, e quant’altro, ma delle esperienze universali, che è dato di vivere o che ci è chiesto di ribaltare o di testimoniare: povertà, sofferenza, nonviolenza, giustizia, solidarietà, trasparenza, pace, e le inevitabili persecuzioni che le scelte su questo piano comportano. Opzioni difficili, sempre più diffcili, soprattutto in un mondo che fino a poco tempo fa neppure si era accorto dei mendicanti che stavano alle sue porte e che, con logiche di rapina, aveva contribuito a ridurre in tale stato. E, tuttavia, questa è la sfida che comporta per noi il nostro essere cristiani. Se no, è meglio sbattezzarsi.

Ricordiamo oggi Matta el Meskin (Matteo il Povero), monaco copto e maestro spirituale; August Hermann Francke, teologo, pedagogo e filantropo pietista; e Mohammed, profeta dell’Islam.

Jussef Scandar era nato a Benha, el Kaliobia (Egitto), il 20 settembre 1919. Laureatosi brillantemente in farmacia all’Università del Cairo, aveva intrapreso con successo la professione, garantendosi uno stile di vita ricco e invidiabile. Ma, a 29 anni, sentendo la chiamata del Signore che gli chiedeva tutto, lasciò ogni cosa ed entrò in uno dei monasteri più poveri dell’Egitto, Deir Amba Samuil, a Qualmun, dove vivevano ormai solo pochi monaci vecchi e malati. Fu allora che prese il nome di Matta el Meskin. Alla fine degli anni cinquanta, decise di compiere una scelta ancor più radicale, optando per la vita eremitica, nel deserto di Wadi El Rayan, dove, qualche anno più tardi cominciarono a raccogliersi attorno a lui giovani monaci desiderosi di vivere come lui la radicalità dell’evangelo. Nel 1969 la piccola comunità rispose positivamente all’invito del papa Cirillo VI che la voleva nel deserto di Wadi El Natroun, per dare nuovo vigore all’antico monastero di San Macario, abitato da soli sei monaci. In pochi anni il centro spirituale avrebbe conosciuto una sorprendente rinascita spirituale e materiale, arrivando ad ospitare oggi oltre cento monaci e richiamando dai luoghi più disparati pellegrini alla ricerca dell’Assoluto. Matta el Meskin è morto come oggi, l’8 giugno del 2006.

August Hermann Francke nacque a Lubecca (Germania) il 22 marzo 1663. Conseguito nel 1686 il dottorato in teologia all’università di Lipsia, vi divenne professore di ebraico due anni più tardi. Convertito assai presto alle idee di Philipp Jakob Spener, il fondatore del movimento pietista, creò, sull’esempio di quello, delle scuole per la spiegazione pratica e devozionale delle Sacre Scritture, aperte ai suoi concittadini. Osteggiato dall’ortodossia luterana, fu dimesso dall’insegnamento e esonerato dall’incarico di pastore. Accettò allora l’invito di Spener di insegnare lingue orientali nell’Università di Halle, e nel contempo assunse l’incarico di pastore in uno dei più miserabili sobborghi della città. L’impatto con la miseria del popolo, lo spinse a dedicare tutte le sue forze nella creazione di scuole per i figli dei mendicanti e diseredati, case di riposo per anziani e laboratori artigiani, seguiti da un orfanotrofio e infine dall’Istituto Biblico Canstein, dotato di una propria tipografia, che stampò e fece distribuire 80.000 Bibbie complete e 100.000 copie del Nuovo Testamento in soli sette anni. Nominato, nel 1715, pastore dell’importante chiesa di St. Ulrich e rettore dell’università di Halle, Francke morì l’8 giugno 1727. Le sue fondazioni, attive ancor oggi, furono decisive per lo sviluppo del missionariato luterano pietista del XVIII e XIX secolo.

Mohammed era nato alla Mecca verso il 570 d. C., figlio di Abdallah e di Amina. Rimasto orfano ancora bambino, fu accolto dal nonno paterno e in seguito adottato dallo zio Abd al-Muttalib, che lo introdusse nel mondo del commercio. Entrato al servizi della ricca vedova Khadija, accettò, successivamente, di sposarla. All’età di 35 anni, inquieto e insoddisfatto della vita che conduceva, Mohammed prese a rifugiarsi in una grotta del monte Hira vicino alla Mecca, dedicandosi alla meditazione. Dopo cinque anni di questa sua ricerca spirituale, la notte del 27 di Ramadan del 610 d.C. udì una voce che gli recitò e gli fece ripetere questa sura: “Leggi! In nome del tuo Signore che ha creato, ha creato l’uomo da un grumo di sangue. Leggi, ché il tuo Signore è il Generosissimo, Colui che ha insegnato mediante il càlamo, che ha insegnato all’uomo quello che non sapeva” (Corano, XCVI, 1-5). Con questa rivelazione (cui seguirono le altre che costituiranno l’insieme del Corano), iniziava la missione profetica di Mohammed, che fu vista da subito come una minaccia dal potere economico che dominava la società meccana del tempo e come tale avversata duramente. Vedendosi abbandonato dal suo stesso clan hascimita, Mohammed decise di fuggire con i suoi discepoli a Yatrib (la futura Medina). Era l’anno 622, che divenne così il primo anno dell’era egiriana (da Hejira = espatrio). Fu redatto un Patto che, sottoscritto da tutti i gruppi presenti in città, dava vita alla Umma, la comunità politica dei credenti. Dopo una serie di battaglie ad esiti alterni, Mohammed e le sue truppe entrarono nel 630 alla Mecca, ponendo fine ai culti idolatrici che vi erano praticati. Stabilitosi nuovamente a Medina, Mohammed moriva, l’8 giugno 632, poche settimane dopo aver compiuto il suo ultimo pellegrinaggio alla Mecca. Qui aveva pressantemente invitato gli oltre centomila pellegrini presenti a non dimenticare i princípi da lui predicati: l’uguaglianza tra i popoli e le razze di tutto il mondo, il rispetto reciproco tra uomini e donne, la sollecitudine nei confronti dei subalterni, la fraternità tra i credenti, la pratica dei cinque pilastri dell’Islam (la testimonianza di fede nell’unico Dio, la preghiera, l’aiuto ai bisognosi, il digiuno solidale, il pellegrinaggio alla Mecca).

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2ª Lettera ai Corinzi, cap.1, 1-7; Salmo 34; Vangelo di Matteo, cap.5, 1-12.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

È tutto, per stasera. Noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura un brano di Matta el Meskin, tratto dal suo “Consigli per la preghiera”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Se preghi spesso, di giorno e di notte, venti, trenta volte, ogniqualvolta lo Spirito ti ispira parole d’amore, fosse pure per soli cinque minuti o addirittura per un solo minuto, questa preghiera assidua opera, nel più profondo della tua mentalità, del tuo cuore, del tuo carattere e del tuo comportamento, un mutamento fondamentale. Tu stesso non ne prendi facilmente coscienza, ma chi ti è vicino può notarlo senza difficoltà. Quando volgi lo sguardo a Cristo con perseveranza nella preghiera, la sua immagine mistica e invisibile si imprime segretamente nel tuo essere interiore. Ricevi allora le sue qualità, vale a dire il riflesso della sua infinita bontà e dolcezza, e la luce del suo volto” (Sal 4, 7) . È a proposito di questa trasformazione che Paolo dice: “Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi” (Gal 4, 19). La frequenza del tuo dialogo con Cristo nella preghiera fa sì che la sua immagine sublime si imprima segretamente in te senza che tu nemmeno lo sospetti. “‘E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2Cor 3.18). Questo fenomeno trova un suo corrispondente nel mondo materiale. Quando si espone un corpo inerte all’azione di un corpo radioattivo, esso ne riceve la radioattività in proporzione al tempo di esposizione. Quanto più sentiremo l’influsso noi, che ci avviciniamo alla sorgente di ogni luce che sia mai esistita nel mondo e di ogni energia che abbia mai animato sia i corpi celesti che i corpi terrestri: Gesù Cristo, luce del Padre e luce del mondo! (Matta El Meskin, Consigli per la preghiera).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Giugno 2015ultima modifica: 2015-06-08T22:06:21+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo