Giorno per giorno – 06 Giugno 2015

Carissimi,
“In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere” (Mc 12, 43-44). Oggi l’amico Dorvando ci diceva che per lui questo è uno dei punti alti del Vangelo e ci verrebbe di dirlo anche a noi, se non fosse che è ciò che pensiamo quasi ogni giorno dei testi che la liturgia ci viene via via proponendo. E però questo è speciale. Perché ci rivela, più di altri, un Gesù che si mette alla scuola dei poveri. E ne resta incantato e non solo, ma chiama i discepoli e dice: guardate, vedete come sono i poveri? Danno tutto. E se non lo fanno è perché non sono ancora davvero poveri. Come lo è Dio, il Padre che ha dato tutto ciò che conta nella sua vita: il Figlio; e come lo è il Figlio – che deve mostrarci quel Padre che nessuno vede – , che, necessariamente, per la necessità dell’amore, dà anche Lui tutto di sé, e se non ha più nulla, dà la vita. E restano, l’uno e l’altro, poveri. I più poveri di tutti. Svuotati di sé, perché gli altri, tutti gli altri, ne siano colmati. E lo Spirito è questo svuotarsi continuo che si fa dono e che soffia dall’uno all’altro, all’altro ancora, in giro per il mondo. Nella speranza-certezza che un giorno, il mondo, vincendo ogni traccia di male, di egoismo, di morte, sarà solo così: dono.

Oggi il calendario ecumenico ci porta la memoria di Martin Buber, maestro e testimone di dialogo, di György Bulányi, fondadatore delle Comunità di base Bokor, e quella dei Martiri ebrei di Siviglia.

Martin Mordechai Buber nacque a Vienna, l’8 febbraio 1878, in una famiglia ebrea. Nella sua visione filosofica e religiosa è centrale la categoria del “dialogo”: con il mondo e con Dio. Questo segnó profondamente tutta la sua riflessione, il suo lavoro e la sua vita. Oltre alle sue opere più specificamente filosofiche, dobbiamo a lui l’organizzazione e la riformulazione degli insegnamenti dei grandi maestri del chassidismo, nonché di numerosi lavori di critica biblica. Nel 1938, fuggendo dalla dittatura e dalla persecuzione nazista, emigrò in Eretz Israel, dove, coerentemente, fece ogni sforzo per favorire il dialogo tra israeliani e palestinesi. Scrisse: “Uno può credere che Dio esiste e vivere alle sue spalle, ma colui che crede in Lui, vive dinanzi al suo volto”. E ancora: “Fede è provare fede nella pienezza della vita, nonostante il corso sperimentato del mondo”. Morì il 6 giugno 1965.

Prete scolopio (della congregazione dei “Chierici Regolari Poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie”, fondata da S. Giuseppe Calasanzio), György Bulányi era nato a Budapest il 9 gennaio 1919. Alla fine della seconda guerra mondiale, il giovane prete prese a organizzare piccole comunità ecclesiali di base, che consentissero la sopravvivenza e la trasmissione dell’annuncio evangelico, nel clima di persecuzione o di intimidazione instaurato dal regime stalinista nei confronti delle attività religiose. Arrestato per questo, nel 1952, fu processato e condannato all’ergastolo per attività antistatali. Fu liberato nel 1960, ma non essendogli consentito di esercitare il suo ministero nella chiesa, si mise a lavorare come addetto ai trasporti. Nel frattempo curò la stesura dei sei volumi che raccolgono il suo pensiero teologico, dal titolo “Cercate il Regno di Dio!”, dove, analizzando le parole di Gesù nei Vangeli, concluse che Gesù voleva che la società umana – fondata sul dominio e la violenza – si trasformasse già qui, sulla terra, in un mondo basato sull’amore, seguendo gli ideali della nonviolenza, il servizio agli altri, la condivisione e il dono di sé. Ispirandosi al modello della comunità di Gesù, Bulányi operò per ridare vita e slancio alle comunità (più tardi conosciute come Bokor, il “Roveto”), dove la coscienza di ogni membro era rispettata dai suoi compagni, e dove tutti si sentivano impegnati ad approfondire la parola di Dio nelle Scritture e ad applicarla nella vita. Caratteristico di queste comunità fu anche la scelta dell’obiezione di coscienza al servizio militare, la denuncia dell’alleanza fra trono e altare, l’invito alla chiesa ad abbandonare ogni struttura di potere, per rivivere la dimensione originaria della comunità di fratelli. Molti giovani obiettori di coscienza furono, all’epoca, processati e condannati a lunghe pene detentive. Il regime esercitò pressioni sulla Chiesa perché adottasse misure punitive nei confronti di padre Bulányi. Il che, effettivamente, avvenne. Il cardinale László Lékai lo sospese a divinis, forte dei risultati di un processo intentato alle sue tesi dalla Congregazione per la dottrina della fede, non molto dissimile da quelli sperimentati in quegli anni dai teologi latinoamericani. Le misure canoniche furono ritirate soltanto nel 1997. Padre György Bulányi morì il 6 giugno 2010.

Il 6 giugno 1391, gli abitanti di Siviglia, in Spagna, circondarono il quartiere ebreo e lo incendiarono. Massacrarono circa cinquemila famiglie ebree, vendendo poi molte donne e bambini ai musulmani come schiavi. La maggior parte delle 23 sinagoghe di Siviglia furono distrutte o trasformate in chiese.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Tobia, cap.12, 1.5-20;; Salmo (Tb 13, 1-9); Vangelo di Marco, cap.12, 38-44.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Si è svolta oggi nel pomeriggio, nella città di Itapuranga (a circa novanta chilometri da qui), l’ottava edizione della Festa da Colheita, la Festa del Raccolto, promossa dalla Diocesi di Goiás e dalla Commissione Pastorale della Terra, la cui finalità, come accadeva anticamente per la festa biblica delle Settimane, è di celebrare la raccolta dei frutti prodotti nella regione dall’agricoltura familiare, ma anche di fare memoria delle lotte storiche dei lavoratori della terra di qui. Circa 3000 persone (tra cui anche noi, gente delle comunità), provenienti dalle diverse regioni della diocesi e limitrofe hanno partecipato alla festa, aperta nel primo pomeriggio dal saluto di Dom Eugenio, e che si è poi prolungata fino a notte tra liturgie, spettacoli, canzoni, danze, e una generosa condivisione di alimenti e di bevande. Voto massimo agli organizzatori.

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una pagina di Martin Buber, tratta dal suo “Il cammino dell’uomo” (Edizioni Qiqajon), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Rabbi Bär di Radoschitz supplicò un giorno il suo maestro, il Veggente di Lublino: “Indicatemi un cammino universale al servizio di Dio!”. E lo zaddik rispose: “Non si tratta di dire all’uomo quale cammino deve percorrere: perché c’è una via in cui si segue Dio con lo studio e un’altra con la preghiera, una con il digiuno e un’altra mangiando. È compito di ogni uomo conoscere bene verso quale cammino lo attrae il proprio cuore e poi scegliere quello con tutte le forze”. Questo ci dice innanzitutto quale deve essere il nostro rapporto con il servizio autentico che è stato compiuto prima di noi: dobbiamo venerarlo, trarne insegnamento, ma non imitarlo pedissequamente. Quanto di grande e di santo è stato compiuto ha per noi valore di esempio perché ci mostra con grande evidenza cosa sono grandezza e santità, ma non è un modello da ricalcare. Per quanto infimo possa essere – se paragonato alle opere dei patriarchi – ciò che noi siamo in grado di realizzare, il suo valore risiede comunque nel fatto che siamo noi a realizzarlo nel modo a noi proprio e con le nostre forze. Un chassid chiese al Magghid di Zloczow: “È detto: ‘Ognuno in Israele ha l’obbligo di dire: Quando la mia opera raggiungerà le opere dei miei padri Abramo, Isacco e Giacobbe?’. Come si deve intendere? Come possiamo ardire di pensare che potremmo eguagliare i padri?”. Il Magghid spiegò: “Come i padri hanno istituito un nuovo servizio – ciascuno un nuovo servizio secondo la propria natura: l’uno quello dell’amore, l’altro qello della forza, il terzo quello dello splendore – così noi, ciascuno secondo la propria modalità, dobbiamo istituire del nuovo alla luce dell’insegnamento e del servizio di Dio; e non fare il già fatto, bensì quello ancora da fare”. (Martin Buber, Il cammino dell’uomo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Giugno 2015ultima modifica: 2015-06-06T22:04:19+02:00da fraternidade
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