Giorno per giorno – 01 Febbraio 2015

Carissimi,
“Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi” (Mc 1, 21-22). La prima lettura di oggi, tratta dal libro del Deuteronomio, conteneva una promessa certamente grande, quella per cui Dio avrebbe suscitato in mezzo al suo popolo un profeta pari a Mosè, ma con qualche implicazione inquietante: che chi non lo ascoltasse avrebbe poi dovuto risponderne, e, dati i costumi del tempo, si può immaginare come, e chi si arrogasse arbitrariamente una tale autorità o parlasse per conto di altri dèi, sarebbe dovuto morire. Il vangelo riporta ordine in queste prospettive, presentandoci chi, di fatto, insegna con autorità, persino superiore a quella di Mosè, ma che, tuttavia, pur parlando in nome del Dio vero, essendone, anzi, la stessa Parola, sceglierà Lui di morire, perché nessun altro muoia. Gesù parla e agisce “con autorità”, perché la sua parola e la sua azione, non sono mai, come spesso succede a noi, in contraddizione. Il suo insegnamento proviene “dal suo stesso essere”, come suona l’etimologia della parola greca, che traduciamo con autorità, “ex-ousia”. È questo che atterrisce l’uomo immondo, presente nella sinagoga, di cui parla il vangelo di oggi, che poi siamo tutti noi quando, pur facendo parte della chiesa e delle nostre comunità, siamo in realtà divisi tra una Parola, che ascoltiamo, ripetiamo e studiamo, e comportamenti che la negano ad ogni passo. È da questa nostra doppiezza che Gesù viene a liberarci. È il falso spirito che vive in noi, che parla e agisce a nome e in favore degli idoli del potere, sociale, economico, religioso, ecclesiastico, che deve, ahinoi, morire. Ed è un processo sofferto e difficile. Il vangelo dice che “lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui”. Ma ne sarà sempre valsa la pena, perché quella morte ci consegna alla figura del Crocifisso, cioè del Dio che incessantemente si dona e perdona, e ci restituisce alla dimensione di figli e figlie, risorti a nuova vita. La sua.

I testi che la liturgia di questa IV Domenica del Tempo comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Deuteronomio, cap. 18,15-20; Salmo 95; 1ª Lettera ai Corinzi, cap.7, 32-35; Vangelo di Marco, cap.1, 21-28.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le chiese e comunità cristiane.

Il martirologio latinoamericano ci porta oggi la memoria di Daniel Esquivel, operaio, martire in Argentina.

Daniel Esquivel era un giovane paraguaiano, membro della JOC (Juventud Obrera Cristiana), nel suo paese, e dell’Equipe di Pastorale dei paraguaiani a Buenos Aires, dove, dal 1970, viveva in una “Villa miseria”, cioè una baraccopoli, con migliaia di connazionali immigrati. Scomparve all’alba del 1º febbraio 1977, quando numerose automobili circondarono la sua baracca, ne scesero uomini armati che, dopo averlo picchiato brutalmente, lo portarono via. Furono inutili tutti gli sforzi fatti dal vescovo, dai preti e dai famigliari per averlo di ritorno o sapere almeno che fine avesse fatto. Nella memoria di chi lo conobbe resta un giovane che viveva il Vangelo minuto per minuto, in un servizio permanente ai fratelli, specialmente i più poveri. Avrebbe desiderato essere prete, senza smettere di fare l’operaio, ma non fu accettato per il fatto di non aver concluso neppure gli studi elementari. “Uomo semplice, trasparente, si presentava com’era. Servitore al cento per cento”, disse un suo compagno di lavoro. “Non si lamentava mai della sua situazione, anche se era stanco, affamato o malato… Al contrario, sempre con un sorriso, con una parola di incoraggiamento e molta fede in Dio”, commentava un’amica del luogo in cui abitava. “Noi sacerdoti vedevamo in lui un modello per il nostro sacerdozio”, disse un prete che lo conosceva bene. Quando sparì, Daniel aveva trentun anni.

Anche, per oggi, non avendo a disposizione, di Daniel Esquivel, altri documenti che non siano la sua nuda testimonianza di vita, scegliamo di congedarci offrendovi in lettura una citazione di chi seppe essere a lungo voce profetica di questa nostra America Latina: Arturo Paoli. Tratta dal suo libro “Cercando libertà. Castità-obbedienza-povertà” (Gribaudi), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il discorso della fraternità, quando viene fatto dalla parte degli oppressori, può portare a due decisioni: quella di elargire elemosine, di tendere le mani, esaltando così le differenze e approfondendo in tal modo la separazione, o quella di elaborare progetti di “fraternità universale” idealistici e perciò sterili. L’assumere la forma di schiavo è invece una scelta assoluta; non possiamo capire Gesù se non facciamo questa scelta. Non si capisce Gesù come si capisce Kant, Hegel o Einstein; lo si capisce solo lasciandoci guidare dal suo Spirito a questa scelta, praticamente scendendo con Lui all’ultimo posto e facendo di quest’ultimo posto il punto di partenza verso una fraternità ed una comunione. (Arturo Paoli, Cercando libertà. Castità-obbedienza-povertà).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Febbraio 2015ultima modifica: 2015-02-01T22:49:37+01:00da fraternidade
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