Giorno per giorno – 14 Novembre 2014

Carissimi,
“Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà” (Lc 17, 28-29). Pagina enigmatica e un po’ tenebrosa, quella del vangelo di oggi. Da lasciare disorientati anche quanti – oggi si era un buon numero – si sono ritrovati nella chiesetta dell’Aparecida per la celebrazione della Parola (e dei compleanni del mese). In essa si intrecciano, forse, tre livelli diversi: la parola originaria di Gesù, gli eventi tragici della distruzione di Gerusalemme che sarebbe avvenuta a distanza di pochi decenni, e, più importante, la maniera con cui noi tutti viviamo gli avvenimenti della nostra storia. Con quale grado di consapevolezza. E, perciò, di maggiore o minore responsabilità. Il messaggio che Gesù ci affida è che, in ogni situazione, qualunque cosa accada, chi cerca di salvare la sua vita, indipendentemente dagli altri, l’ha già perduta; chi, invece, la perde – nel dono di sé agli altri – l’ha già bella e guadagnata, le ha dato il suo senso definitivo in Dio. È già stato, a suo modo, un segno, per quanto piccolo, del giorno del Figlio dell’uomo, che tutti vorrebbero vedere. Quando l’umanità intera, Dio volendo, sarà e si relazionerà nella forma di Gesù: puro dono; libertà per solamente amare.

Oggi ricordiamo Gregorio Palamas, mistico esicasta.

Gregorio Palamas nacque a Costantinopoli l’11 novembre 1296. A vent’anni, assieme ai fratelli Macario e Teodosio, si fece monaco sul Monte Athos, divenendo in seguito abate del monastero di Esfigmenou. Il suo radicalismo e il rigore nelle pratiche ascetiche lo resero però ben presto inviso ai suoi monaci, che preferivano di gran lunga una vita tranquilla e senza troppe pretese. Dato che come spesso accade, la moneta cattiva scaccia quella buona, anche Gregorio fu cacciato dal monastero. Ma non tutto il male viene per nuocere. Recatosi a Salonicco, potè impegnarsi meglio nella sua battaglia a favore della dottrina mistica dell’ “esicasmo” (la ricerca dell’unione con Dio attraverso la preghiera incessante). Ebbe il tempo di farsi scomunicare come eretico e mandare in esilio. Ma poi con l’appoggio insperato dei suoi antichi confratelli, fu richiamato in patria e eletto arcivescovo di quella città (1347). Da allora la sua diverrà dottrina ufficiale della Chiesa bizantina. Contro ogni pericoloso panteismo, ma anche contro ogni dualismo che contrapponga spirito e materia, Gregorio affermò che lo spirito umano è radicalmente differente da Dio, tanto quanto il corpo: ma Dio, concedendo la sua grazia, salva l’intero essere umano, la sua anima e il suo corpo. Questa grazia e salvezza non si situa fuori della storia, ma agisce già qui e adesso, in un’escatologia realizzata, che ci permette di rifare l’esperienza degli apostoli sul Tabor. Ogni cristiano, indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna, laico o consacrato, coniugato o celibe (dato che, come sosteneva san Simeone il nuovo Teologo, “la vita più alta è lo stato a cui Dio chiama ciascuno personalmente”), per raggiungere tale condizione escatologica nel divenire esistenziale dopo il battesimo, deve alimentare incessantemente la propria quotidianità con la pratica sacramentale ed ascetica ed essere così perennemente in comunione con Cristo. Questo il senso anche della “preghiera del Nome”, la ripetizione incessante del nome di Gesù, propria della tradizione esicasta. Gregorio morì il 14 novembre 1359. Fu canonizzato dal patriarca ecumenico Filoteo nel 1368.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2ª Lettera di Giovanni, 4-9; Salmo 119; Vangelo di Luca, cap.17, 26-37.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Noi non ce ne eravamo accorti prima d’oggi: del fatto che sono in realtà due le persone, per diversi motivi, care, che oggi compirebbero, come compiono, gli anni: il nostro vecchio Pedro, che completa le 92 primavere, ma anche Pedro Arrupe, che ne fa 107. Festeggiano tutti e due in cielo, loro così diversi, a testimonianza della fantasia di Dio. Del vecchio Pedro Recroix, ieri sera, durante la memoria che se ne è fatta con la gente del bairro in monastero, frei Mingas, che è un altro dei santini che ci troviamo qui intorno, diceva: “Per me non è né Pedro, né Pedrão, è san Pedro”. Per noi, è tutti e tre. Pedro Arrupe aveva scritto un giorno: “Niente deve importare di più che incontrare Dio, vale a dire, innamorarsi di lui in maniera definitiva e assoluta. Ciò di cui ti innamori afferra la tua immaginazione e finisce per lasciare tracce in tutto. Sarà esso che decide ciò che ti scuote fin dal momento dell’alzata, e quello con cui riempi le tue serate, e spendi i tuoi fine-settimana, e ciò che leggi, quello che conosci, ciò che muove il tuo cuore e ti riempie di gioia e di gratitudine. Innamórati! Rimani nell’amore. Tutto sarà diverso”. Vorremmo fosse vero anche per tutti noi. Ciascuno a modo suo.

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di Gregorio Palamas. Tratta dalla sua Lettera alla monaca Xene, raccolta con altri suoi scritti nel IV volume della Filocalia (Gribaudi), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Uno che sia povero e umile e si sia sforzato di essere vile secondo Dio, se essendo anche progredito verso il meglio, non acquista inoltre l’afflizione, è proclive e facile a riandare con la volontà alle cose che ha abbandonato, desiderando di nuovo ciò che all’inizio aveva lasciato e facendosi trasgressore. Se invece, perseverando con attenzione nella disposizione alla beatissima povertà, suscita in se stesso l’afflizione, diviene inflessibile verso ciò che sta dietro e agisce bene, non rincorrendo di nuovo – malamente – ciò che ha prima fuggito. Infatti, come dice l’Apostolo, la tristezza secondo Dio produce per l’anima una conversione senza pentimento in vista della salvezza. Perciò anche, uno dei padri ha detto che l’afflizione lavora e custodisce. E non è solo questo il guadagno che viene dall’afflizione, che cioè l’uomo non sente quasi più alcun moto verso il male e nessuna volontà di ritornare ai peccati commessi in precedenza, ma è che rende anche quelli come non fossero mai stati, perché, appena l’uomo ha incominciato ad affliggersene, essi gli sono calcolati da Dio come involontari. E i peccati involontari non sono colpevoli. Infatti, come uno che si affligge per la povertà dimostra che essa non gli è volontaria, e perciò anche, cade nei lacci del diavolo insieme con quelli che o desiderano arricchire o sono ricchi e, se non si converte e si studia di sfuggire a questi lacci, sarà mandato con quelli al castigo eterno; così, colui che pecca contro Dio se continuerà ad affliggersi per i peccati, giustamente questi non gli verranno contati come volontari ed egli percorrerà senza ostacoli la via che conduce alla vita eterna insieme con quelli che non hanno peccato allo stesso modo. (Gregorio Palamas, Lettera alla monaca Xene).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Novembre 2014ultima modifica: 2014-11-14T22:40:29+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo