Giorno per giorno – 11 Novembre 2014

Carissimi,
“Anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17, 10). Gesù sta parlando per noi. Ma sta anche, e in primo luogo, parlando di Lui. E tratteggiando il ritratto di suo Padre. Anche loro, infatti, e loro per primi, ubbidiscono a ciò che è stato ordinato, da sempre, a quanto costituisce la loro più vera essenza e, perciò, la vocazione di Dio e dell’uomo: essere dono gratuito gli uni per gli altri. Servire, dunque, umilmente, senza pretendere nulla in cambio. Dando, anzi, per scontato, che spesso, per il dono che si è fatto di sé, si riceverà in cambio ingratitudine. E, forse, anche Dio, pur di deresponsabilizzare i suoi figli, finirà per chiedersi: ma dove ho sbagliato? E concluderà, come, non a caso, Gesù ha fatto sulla croce: non sanno mica quello che fanno. Noi ci riusciremo mai?

Il nostro calendario ci porta oggi due belle memorie: Martino di Tours, pastore e difensore dei deboli, e Sören Kierkegaard, filosofo appassionato di Cristo.

Martino nacque in Pannonia (l’attuale Ungheria), nella famiglia di un ufficiale dell’esercito romano nell’anno 330 circa. Giovanissimo si arruolò anche lui nella cavalleria imperiale, e prestò servizio in Gallia. È a questo periodo che potrebbe risalire, se fosse storico, l’episodio del mantello diviso in due per aiutare un mendico a proteggersi dal freddo. Nel 356, divenuto cristiano, decise di lasciare l’esercito, dicendo: “Finora ho servito fedelmente Cesare, adesso lasciatemi servire Cristo”. Accusato di viltà dai suoi ex-commilitoni (i cappellani militari non c’erano ancora a dar loro man forte!), si offrì di restare privo di armi nel bel mezzo di una battaglia. Si diresse poi alla città di Poitiers, dove divenne collaboratore del vescovo Ilario che, nel 360 lo ordinò presbitero. L’anno successivo fondò a Ligugé il primo monastero della Gallia e, nel 371, fu eletto vescovo di Tours. Intraprese un’opera di evangelizzazione piuttosto rozza nelle forme e poco rispettosa delle tradizioni religiose delle campagne, ma seppe, in compenso, conquistarsi il favore delle popolazioni contadine, prendendone le difese nei confronti dell’esoso fisco romano. Reagì inoltre duramente all’uso invalso in quel tempo, di condannare a morte gli eretici. La popolarità che conquistò fu così grande che, alla sua morte, l’8 novembre del 397, la sua salma fu contesa tra gli abitanti di Poitiers e quelli di Tours. La memoria si celebra nell’anniversario della sua sepoltura.

Søren Kierkegaard nacque il 5 maggio 1813, a Copenhagen, in Danimarca. Quando già era un giovane e brillante filosofo, la sua ricerca del senso divino dell’esistenza lo portò a rinunciare all’ideale di sposare Regina Olsen, non volendo esporla all’angoscia della sua ricerca spirituale, né accettando che il matrimonio fosse ad essa di ostacolo. Vittima di ogni genere di aggressività, a causa della sua aspra critica della cultura europea e della filosofia hegeliana allora dominante, soleva dire che il suo tempo si caratterizzava per l’ingenua accettazione di idee borghesi, calate dall’alto, senza alcun serio questionamento. Essere cristiano, per lui, significava seguire concretamente la prassi di Gesù. Il cristianesimo è, pertanto, di una serietà tremenda. E tuttavia dopo duemila anni “tutto è diventato superficiale” e la più sottile e pericolosa delle eresie è quella di “fingere o scherzare al cristianesimo”, come fanno disinvoltamente tanti cattolici e protestanti. Tanto che, affermava, è, oggi, paradossalmente “più difficile divenire cristiani quando già lo si è, che quando non lo si è”. Søren Kierkegaard morì l’11 novembre 1855.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera a Tito, cap.2, 1-8.11-14; Salmo 37; Vangelo di Luca, cap.17, 7-10.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

È tutto, per stasera. Noi ci congediamo qui, lasciandovi alla lettura di un brano di Søren Kierkegaard, tratto dal primo dei suoi “Tre discorsi per la comunione del venerdì”, a commento della “Lettera agli Ebrei IV, 15: Perché noi non abbiamo un sommo sacerdote incapace di avere compassione delle nostre debolezze, ma ne abbiamo invece uno che è stato provato in tutto al nostro stesso modo, ma senza alcun peccato”. Che potete trovare nel libro “Il giglio nel campo e l’uccello nel cielo. Discorsi 1849-1851” (Donzelli Editore). E che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Cristo si è messo fino in fondo al tuo posto. Era Dio e divenne uomo: così si é messo al tuo posto. Questo desidera infatti la vera compassione: mettersi al posto di chi soffre per poter davvero recare conforto. Ma proprio questo la compassione umana non è capace di fare; solo la compassione divina lo può. E Dio divenne uomo. Divenne uomo. E divenne quell’uomo che tra tutti, tutti incondizionatamente, ha sofferto di più; mai è nato, e mai nascerà o potrà nascere l’essere umano capace di soffrire quanto lui. Oh, quale sicurezza per la Sua compassione, quale compassione offrire una tale sicurezza! Compatendo apre le braccia a tutti i sofferenti; venite qui, dice, voi tutti che soffrite e siete oppressi, venite a me. E garantisce per quel che dice, perché – questo è il secondo invito – è stato incondizionatamente colui che più ha sofferto. Per la compassione umana è già segno di grandezza arrischiarsi a soffrire quasi quanto chi soffre: ma, per compassione, per assicurare il conforto, soffrire infinitamente più di chi soffre, quale compassione! La compassione umana di solito si ritrae con un tremito d’orrore, pur nella condivisione preferisce restare sulla riva sicura; oppure, se si arrischia in mare aperto, non si spinge tanto fuori da raggiungere chi soffre: ma quale compassione spingersi ancora più in alto! Tu che soffri, cosa chiedi? Chiedi che chi compatisce debba mettersi fino in fondo al tuo posto: e Lui, la compassione, non solo si mette fino in fondo al tuo posto, ma è arrivato a soffrire infinatamente più di te! Talvolta per chi soffre sembra quasi un tradimento avvilente che la compassione si mantenga sempre un passo indietro: ma qui, qui la compassione ti sta dietro soffrendo infinatamente di più! Lui si è messo, sa mettersi fino in fondo al tuo posto, al posto di te che soffri, chiunque tu sia. (Søren Kierkegaard, Il giglio nel campo e l’uccello nel cielo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Novembre 2014ultima modifica: 2014-11-11T22:19:52+01:00da fraternidade
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