Giorno per giorno – 17 Ottobre 2014

Carissimi,
“Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui” (Lc 12, 4-5). Chi e che cosa può ucciderci e gettarci nella Geènna?, ci chiedevamo stasera nella chiesetta dell’Aparecida, commentando il vangelo durante la celebrazione della Parola. La Geènna era la “valle dell’Hinnon”, che separava Gerusalemme dalle colline che sorgevano a sud e a ovest della città, il luogo in cui, anticamente, si sacrificavano vite umane al dio Moloch, e dove, all’epoca di Gesù, venivano bruciati i rifiuti. Che cosa dunque può determinare che la nostra vita sia consegnata all’immondizia della storia, se non la scelta di vivere nella menzogna rispetto alla nostra più vera natura e vocazione? Vivendo ripiegati su noi stessi, aggrappandoci alle cose, per paura di perderci e di perderle, ecco che otteniamo come risultato proprio il contrario, che è di distruggerci alla radice, condannare la nostra vita all’insensatezza, che è negazione della relazione, della comunione, della vita. Consegnandoci invece alla dimensione del dono e della condivisione, ecco che, quand’anche attentassero alla nostra vita e alle nostre cose, nulla possono, perché noi ci siamo già donati per intero a Dio e ai fratelli, e nulla e nessuno può limitare, imbrigliare o attentare alla vita di Dio, che si dispiega irrefrenabilmente nella cura di tutti e di tutto, negli aspetti anche, apparentemente, più insignificanti. È il mistero della croce-morte-risurrezione.

Oggi la chiesa fa memoria di Ignazio d’Antiochia, pastore, padre della Chiesa e martire, e di Madre Antonia Brenner, “angelo del carcere di Tijuana”.

Forse di famiglia pagana e convertito piuttosto tardi al cristianesimo, Ignazio conobbe personalmente gli apostoli Pietro e Paolo. Tra il 70 e il 107 d.C., fu vescovo di Antiochia, succedendo a Pietro e ad Evodio. Di quest’ultimo, parlando agli antiocheni, avrebbe detto: “Ricordatevi del beato Evodio, vostro pastore, il quale per primo vi ha governato, dopo gli apostoli. Mostriamoci degni figli di un tale padre”. Mentre era Vescovo ad Antiochia, l’imperatore Traiano diede inizio alla sua persecuzione. Arrestato e condannato, Ignazio fu condotto in catene da Antiochia a Roma, con un viaggio lunghissimo e assai penoso, durante il quale scrisse sette lettere, dirette a varie chiese, che costituiscono documenti preziosi sulla Chiesa primitiva e sui suoi fondamenti teologici. Scrivendo ai Romani, che temeva potessero intervenire in suo favore per evitargli il martirio scrisse: “Lasciatemi essere il nutrimento delle belve, dalle quali mi sarà dato di godere Dio. lo sono frumento di Dio”. E, giunto a Roma, intorno all’anno 107, il vescovo di Antiochia fu davvero triturato dalle belve del circo, dando testimonianza a Cristo che aveva appassionatamente amato.

Madre Antonia era nata Mary Clarke, a Los Angeles, il 1º Dicembre 1926, nella famiglia cattolico-irlandese di Kathleen Mary Clarke e di Joseph Clarke, facoltoso uomo d’affari. Benché cresciuta nell’ambiente esclusivo di Beverly Hills (California), fin da giovanissima fu educata a prendersi a cuore coloro che vivevano in situazioni di bisogno e a coinvolgersi in programi di aiuto come l’invio di medicinali in zone povere dell’Africa, India, Corea, Filippine, Sudamerica, o fornire assistenza alle organizzazioni sindacali dei contadini. Sposata e divorziata due volte (Brenner è il cognome del secondo marito), ebbe sette figli. Secondo quanto ella stessa raccontò in seguito, nel 1969, sognò di essere prigioniera al Calvario, prossima a subire la sua condanna a morte, quando Gesù le apparve e si offrì di prenderne il posto. Lei lo toccò sulla guancia, e gli disse che non lo avrebbe mai lasciato, qualunque cosa le potesse accadere. L’anno successivo, maturò la decisione di dedicare la sua vita alla Chiesa, in parte a causa di quel sogno. A cinquant’anni scelse di servire Cristo nei carcerati, trasferendosi armi (spirituali) e bagagli nel penitenziario di La Mesa a Tijuana (Messico), dove occuperà una stanzetta, quasi prigioniera tra i prigionieri, finché la salute glielo permetterà, dispensando aiuti materiali e assistenza spirituale ai detenuti, ma anche alle guardie. Nel 1997, incoraggiata dal suo vescovo, iniziò il processo per la formazione di una comunità che condividesse la sua missione, che si concluse con il riconoscimento nel 2003, delle “Serve dell’undicesima ora”. Madre Antonia è scomparsa il 17 ottobre 2013, all’età di 86 anni.

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.1, 11-14; Salmo 33; Vangelo di Luca, cap.12, 1-7.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

Le comunità ebraiche della diaspora celebrano oggi, 23 del mese di Tishri, Simchat Torah, ovvero la “Gioia della Legge”. Entrando nella festa, la sera della vigilia, i rotoli della Torah vengono prelevati dall’aron-ha-kodesh (“arca santa”), e consegnati agli uomini che, a turno, abbracciati ad essi, compiono le sette hakafot (“giri”), cantando e danzando intorno alla bimah (la piattaforma da cui viene letta la Torah). Il rituale è ripetuto la mattina seguente, quando viene anche proclamato l’ultimo brano del Deuteronomio, subito seguito da alciuni versetti del primo di Genesi, dando così inizio al nuovo ciclo annuale delle letture liturgiche. Chi legge l’ultimo brano della Torah è chiamato Chatan Torah (“Sposo della Torah”), mentre colui che ne ricomincia la lettura è il Chatan Bereshit (“Sposo del Principio”). Che anche noi si possa sempre gioire del dono della Parola che ci viene fatto e si sappia danzarla con la nostra vita. Oltre tutti i possibili acciacchi della vecchiaia.

“Dove gli uomini e le donne sono condannati a vivere in estrema povertà, i diritti umani sono violati. Unirsi per assicurare che questi diritti siano rispettati è nostro solenne dovere”. Sono le parole che Padre Joseph Wresinski volle incise nella pietra, al termine di una manifestazione che, convocata il 17 ottobre 1987, aveva riunito 100.000 persone a Parigi, nella Place du Trocadéro, dove il 10 Dicembre 1948 era stata solennemente firmata la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”. L’idea di fondo della manifestazione sarebbe stata ripresa in seguito dall’Onu che volle fare del 17 Ottobre la “Giornata internazionale per lo sradicamento della povertà”. La finalità della celebrazione di questa giornata è quella di promuovere la consapevolezza della necessità di sradicare la povertà e la miseria in tutti i paesi del mondo, in particolare nei paesi in via di sviluppo. Una necessità che è diventata il primo degli Obiettivi del Millennio, da raggiungere entro il 2015.

Bene, per stasera è tutto. E noi ci si congeda qui con un brano di Ignazio d’Antiochia, tratto dalla sua Lettera ai Cristiani di Filadelfia. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Figli della vera luce fuggite la faziosità e le dottrine perverse. Dove è il pastore ivi seguitelo come pecore. Molti lupi degni di fede con lusinghe malvagie seducono chi corre nel Signore. Ma essi non avranno posto nella vostra unità. State lontani dalle erbe cattive che Gesù Cristo non coltiva, perché non sono piantagione del Padre. Non ho trovato divisione in mezzo a voi, ma selezione. Quanti sono di Dio e di Gesù Cristo, tanti sono con il vescovo. Quelli che pentiti rientrano nell’unità della Chiesa saranno di Dio perché vivono secondo Gesù Cristo. Non lasciatevi ingannare fratelli miei. Se qualcuno segue lo scismatico non erediterà il regno di Dio. Se qualcuno marcia nella dottrina eretica egli non partecipa della passione di Cristo. Preoccupatevi di attendere ad una sola eucarestia. Una è la carne di nostro Signore Gesù Cristo e uno il calice dell’unità del suo sangue, uno è l’altare come uno solo è il vescovo con il presbiterato e i diaconi miei conservi. Se ciò farete, lo farete secondo Dio. Fratelli miei, ho grande amore per voi e giulivo cerco di rafforzarvi. Non io ma Gesù Cristo, nel quale incatenato ho ancora molto timore, perché sono ancora imperfetto. Ma la vostra preghiera in Dio mi perfezionerà per raggiungere misericordiosamente l’eredità, rifugiandomi nel vangelo come nella carne di Gesù e negli apostoli, come nel presbiterato della Chiesa. Amiamo i profeti perché anch’essi annunziarono il vangelo e sperarono in lui e lo attesero, e credendo in lui furono salvi. Essi uniti a Gesù Cristo, santi degni di amore e di ammirazione, hanno ricevuto la testimonianza di Gesù Cristo e sono stati annoverati nel vangelo della comune speranza. (Ignazio di Antiochia, Lettera ai cristiani di Filadelfia).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Ottobre 2014ultima modifica: 2014-10-17T22:31:55+02:00da fraternidade
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