Giorno per giorno – 09 Ottobre 2014

Carissimi,
“Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!” (Lc 11, 11-13). Dio, il suo Spirito santo ce l’aveva insufflato già all’inizio dei tempi (Gen 2, 7), nel racconto genesiaco, e poi all’apparire al mondo di ogni nostra vita. Con il dono della vita, appunto. Ci ha comunicato il Suo respiro. Grande. Troppo grande, per gli esseri piccoli che siamo. Noi, a Dio, siamo abituati a chiedere, quando ancora gliele chiediamo, cose piccole, che valgono niente, anche quando a noi pare che debbano valere molto. Gesù, in questo brano di Luca, ci riporta all’essenziale: chiedete il respiro di Dio, la sua capacità di dar vita alle persone. In questo si ottiene di vivere davvero anche noi. Se no, ci si isterilisce e si muore, o si sopravvive tristemente, facendo di quello che dovrebbe essere lo spazio di una comunione gioiosa e generosa, il campo asfittico di competizioni meschine e di conflitti sordi e velenosi. Svegliati, dunque, Dio! Dacci il tuo Spirito.

Oggi la Chiesa fa memoria del Patriarca Abramo, Padre di tutti i credenti nel Dio unico.

Primo dei Patriarchi e fondatore del monoteismo ebraico, confidando nella parola di Dio, Abramo emigrò con sua moglie Sara nella terra di Canaan (Gen 12, 1ss). Come segno della sua alleanza con Dio, gli fu ordinato, quando era già vecchio, di circoncidersi (Gen 17,10) e, secondo il racconto biblico, fu dopo questo che Sara diede miracolosamente alla luce un figlio, Isacco (Gen 21,2). Una delle dieci prove di fedeltà a cui Dio sottopose Abramo fu la richiesa che gli offrisse in sacrificio proprio Isacco (Gen 22,2). L’episodio, che nell’esegesi ebraica è designato como la ’Aqedah (la legatura), è ricco di interpretazioni suggestive. Abramo è considerato il “guardiano della Torah”, ancor prima che essa fosse stata rivelata da Dio. A lui si deve la pratica della preghiera ebraica del mattino (Gen 19,27). Benevolo e compassionevole, intercedette presso Dio perché Sodoma fosse risparmiata, nonostante la malvagità dei suoi abitanti, chiedendogli quanti uomini giusti fosse sufficiente trovarvi per evitarle la distruzione. Partito da cinquanta, quando arrivò a dieci, ritenne giusto non insistere oltre (Gen 18, 23 ss). Sembra che il minian, il numero minimo di dieci uomini necessario per il culto pubblico, si fondi proprio su questa tradizione. Abramo morì a 175 anni e fu sepolto nella caverna di Macpela (Gen 25,7ss). Gode di una grande considerazione, oltre che nell’ebraismo, anche nel cristianesimo e nell’islamismo, che vedono in lui la figura perfetta del credente, che fonda gli ideali etici e culturali di queste tre religioni.

Bene, i testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Galati, cap.3, 1-5; Salmo (Lc 1, 69-75); Vangelo di Luca, cap. 11, 5-13.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

I nostri fratelli ebrei sono entrati ieri sera al tramonto nella festività di Sukkoth (le “Capanne”), che si protrarrà per sette giorni. Ricorda i quarant’anni che il popolo ebreo trascorse nel deserto, dopo l’uscita dalla schiavitù in Egitto. In questa occasione ogni famiglia costruisce una capanna (succà), coperta di rami e di frasche, che lascia intravvedere il cielo, a simboleggiare la nostra disponibilità a lasciare che la luce di Dio entri sempre nelle nostre case e nelle nostre vite. Al suo riparo vengono consumate tutte le refezioni. Sukkoth costituisce, assieme a Pesach (Pasqua) e Shavuoth (Pentecoste), la terza delle feste di pellegrinaggio. Rappresentava anche la festa del raccolto autunnale. Il Levitico prescrive a suo riguardo: “Il quindici del settimo mese (ora Tishri è il primo mese), quando avrete raccolto i frutti della terra, celebrerete una festa al Signore per sette giorni; il primo giorno sarà di assoluto riposo e così l’ottavo giorno. Il primo giorno prenderete frutti degli alberi migliori: rami di plama, rami con dense foglie e salici di torrente e gioirete davanti al Signore vostro Dio per sette giorni” (Lv 23, 39-40). In base a quest’ordine si prepara il “lulav”, composto da un ramo di palma, tre di mirto, due di salice e, a parte, un frutto di cedro senza difetto. Tradizionalmente le quattro specie di vegetali del lulav simboleggiano i quattro diversi tipi di persone presenti nella comunità: alcuni sono sapienti e generosi (come il cedro, che è profumato e dà frutti buoni), altri sono sapienti, ma non generosi (come il mirto, che è profumato, ma non dà frutti), altri generosi, ma non sapienti (come la palma, che non profuma, ma dà frutti dolci e nutrienti), altri, infine, che non sono sapienti né generosi (come il salice che non profuma, né dà frutti). Dopo la benedizione in sinagoga, il lulav viene agitato in direzione dei quattro punti cardinali, perché la benedizione di Dio possa raggiungere tutto il mondo. Il settimo giorno della festa è chiamato “Hosha’anah Rabbah” (“Oh salvaci”), una sorta di ultima chance per ottenere il giudizio favorevole di Dio, rimasto eventualmente in sospeso nello Yom Kippur.

È tutto, per stasera. Nel congedarci, vi proponiamo una riflessione sull’identità ebraica (ma, più in generale, umana), proprio a partire dalla figura di Abramo, che troviamo nel libro di André NeherChiavi per l’ebraismo” (Marietti). Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’uomo giudeo è per prima cosa l’uomo ebreo, e l’uomo giudeo, quando è ebreo, è l’uomo delle origini. Origini di che? Origini di ciò che siamo tutti: origini della nostra civiltà occidentale; come pure origini della civiltà dell’Oriente, del giudaismo, del cristianesimo, dell’islam, dell’umanesimo, del marxismo; origini di quella vasta cultura che designiamo col termine generale di cultura biblica e che comprende tutto ciò che è in germe nella Bibbia. L’uomo delle origini: non a titolo di curiosità, ma a titolo efficace ed agente; perché all’origine c’era bisogno di un atto. Un best seller ci insegna che “la storia è cominciata a Sumer”. È esatto, la storia è cominciata a Sumer, ma non con Gudea, non con la costruzione delle ziggurat; tutto ciò è stato inghiottito dalla sabbia, tutto ciò è sparito senza lasciar traccia, senza esercitare influenza; sono oggetti di curiosità archeologica, dei pezzi da museo, ma non sono forze viventi e creatrici della storia. La storia comincia, è vero, a Sumer, ma con quell’uomo che viveva a Sumer, che era ebreo, che si chiamava Abramo l’ebreo, il cui primo atto umano fu quello di rompere con Sumer, di respingere la civiltà sumerica, di protestare contro le torri di Babele. Vi erano molte divinità a Sumer; Abramo l’ebreo aveva nostalgia del Dio unico. Vi era poca giustizia nelle leggi di Sumer; Abramo voleva tutta la giustizia. Vi era grande sviluppo materiale, tecnico, economico nella civiltà sumerica; Abramo aspirava all’etica e alla preghiera. L’uomo ebreo è l’uomo abramita. L’uomo giudeo, quando si sente ebreo, accetta di rivivere la decisione di Abramo e di ripeterla; accetta di strapparsi da ciò che è stabilito, di protestare contro gli idoli, contro l’ingiustizia. L’uomo giudeo, ma anche l’uomo cristiano, l’uomo musulmano, l’uomo marxista, l’uomo umanista, tutti quelli che si sentono fratelli in Abramo. Quando un papa dichiara che siamo tutti spiritualmente dei semiti, vuol dire in realtà che siamo tutti spiritualmente degli ebrei. (André Neher, Chiavi per l’ebraismo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Ottobre 2014ultima modifica: 2014-10-09T22:10:50+02:00da fraternidade
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