Giorno per giorno – 04 Ottobre 2014

Carissimi,
“Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Lc 10, 18-20). “Non perché i demòni si sottomettono a voi, ma perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”: è importante sottolinearlo. Stamattina, abbiamo celebrato l’Eucaristia alla chácara di recupero. E di serpenti, scorpioni, demòni, i nostri amici ne sanno qualcosa. Ma anche noi, di fuori. E non sempre si è capaci di sottometterli. Ecco perché Gesù ci avverte: siate ugualmente contenti, siete nel palmo delle mani di Dio. Questa è la buona notizia da trasmettere sempre, in ogni occasione, ostinatamente. Anche Francesco, di cui si celebra oggi la memoria, mica ci è riuscito sempre a cacciare i demòni che trovavano modo di insinuarsi nella vita delle sue comunità. Anzi, ha addirittura concluso la sua esistenza emarginato dallo stesso Ordine che aveva fondato, e tuttavia ha lasciato come messaggio quello della “perfetta letizia”, che consiste nel mantenersi allegri, in ogni situazione, soprattutto in quelle più avverse. Domani, comincia a Roma il Sinodo dei vescovi sulla famiglia; qui da noi ci sarà la prima tornata delle elezioni. Lì e qui, i demòni avranno il loro da fare, per evitare che i piccoli, cioè gli ultimi, i soggetti più fragili, quelli a rischio di esclusione o già esclusi, riescano a far sentire la loro voce. I discepoli di Gesù, gli operai del Regno, non potranno demordere, permettendo che il “giogo soave” e il “carico leggero” promesso da Gesù, “mite e umile”, diventino o continuino ad essere gli intollerabili pesi che i dottori della legge di ogni tempo e luogo si dilettano a imporre ai comuni mortali. Non è detto che si vinca, né a Roma, né a Brasilia, né nei differenti Stati di qui. Ma si sarà almeno tentato e si andrà avanti, comunque, nella certezza di quell’Amore che non viene meno e di cui il Signore Gesù ci invita ad essere testimoni, in semplictà, povertà e umiltà.

La Chiesa celebra oggi la memoria di Francesco d’Assisi, fratello dei poveri. Ad essa noi aggiungiamo quella di Carlo Carretto, piccolo fratello del Vangelo.

Giovanni di Bernardone nacque ad Assisi, nel 1182, nella famiglia di un ricco commerciante che, per la simpatia che aveva per la Francia, dove si recava frequentemente per affari, passò presto a chiamarlo Francesco. Il giovane, che non doveva aver una grande propensione per l’attività paterna, preferì correre appresso alle glorie militari. Non ebbe molta fortuna, dato che, durante una guerra tra Perugia e Assisi, fu fatto prigioniero e questa esperienza lo portò a riflettere sulla vanità della vita che aveva condotto fino ad allora. Nel 1206, in un epoca in cui, sempre più, si affermavano gli ideali della ricchezza e dell’autoaffermazione, Francesco visse il suo personale cammino di Damasco, incontrando i lebbrosi e riconoscendo in essi la presenza di Cristo. Scelse allora di lasciare la famiglia, rinunciando ai suoi beni e proprietà, per sposare “madonna Povertà”. Ben presto altri giovani si unirono a lui, con il solo proposito di vivere il Vangelo, nella radicalità e nella libertà dei figli di Dio, facendosi compagni degli ultimi, fratelli minori, nella convinzione che è nelle categorie minori, nella gente povera, umile ed emarginata, che Dio ha da sempre la sua abitazione. Nel 1211, Chiara, una giovane assisiate affascinata dalla predicazione e dall’esempio di Francesco, diede vita a una famiglia di claustrali povere, immerse nella preghiera per sé e per gli altri. In una Chiesa trionfalista e in pieno regime di cristianità e di crociate, Francesco, esente tuttavia da ogni forma di orgoglio spirituale, preferì essere immagine della tenerezza di Dio con tutti, usando le armi del dialogo, della non-violenza, della pace e dell’amore. A 45 anni, malato e quasi cieco, di fatto emarginato dalla fraternità cui aveva dato vita, portando nel corpo i segni della passione di Cristo, morì, nudo sulla nuda terra, cantando la gioia di servire Cristo e le bellezze del creato. Era la sera del 3 ottobre del 1227.

Carlo Carretto era nato ad Alessandria, il 2 aprile 1910, da famiglia contadina. Militante dell’ Azione Cattolica, professore e, nel 1940, direttore di scuola, fu presto esonerato dall’incarico a causa della sua opposizione al regime fascista. Nel 1946 divenne presidente della G.I.A.C. (Gioventù Italiana di Azione Cattolica). Nel 1953, per il contrasto con i settori cattolici che progettavano un’alleanza con la destra italiana, si dimise dall’incarico. È in questo periodo di ricerca laboriosa e sofferta che maturò la decisione di entrare nella congregazione di Charles de Foucauld, i piccoli fratelli di Gesù. L’8 dicembre 1954 partì per il suo noviziato in Algeria, dove, per dieci anni, condusse una vita eremitica nel Sahara. Fu questa una profonda esperienza di vita interiore e di preghiera, nel silenzio e nel lavoro, che alimenterà tutta la sua vita e azione posteriore. Nel 1965, tornato in Italia si stabilì a Spello (Perugia), dove, poco prima, in un antico convento disabitato era sorta una comunità di piccoli fratelli. Ben presto, la fama di cui fratel Carlo godeva cominciò a richiamare moltissime persone, credenti o no, che erano comunque in ricerca. Da allora la comunità divenne spazio di accoglienza, preghiera e riflessione. Dopo alcuni anni di malattia, la notte del 4 ottobre 1988, festa di Francesco d’Assisi, di cui, pochi anni prima, aveva steso un’appassionata biografia, fratel Carlo entrò nell’abbraccio di Dio.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Giobbe, cap.42, 1-3.5-6.12-17; Salmo 119; Vangelo di Luca, cap.10, 17-24.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Con il tramonto di ieri sera l’umma islamica è entrata nel decimo giorno di Dhu-l-hijja, l’ultimo mese del calendario egiriano. La data coincide con l’Aid al adha (Festa del Sacrificio), conosciuta anche come Aid el kebir (Festa grande). Essa ricorda l’ubbidienza pronta e generosa di Abramo e del figlio nell’obbedire al sogno, che sollecitava il sacrificio del giovane Ismaele (mentre nella tradizione ebraica è Isacco), ma, più ancora, fa memoria dell’intervento misericordioso di Dio, che glielo impedì, provvedendo in altro modo alla vittima per il sacrificio. Le famiglie di quanti possono si procurano, in ordine di preferenza: un montone, un capretto, un bue, un toro, una mucca o un cammello, e lo sacrificano, condividendo poi il pasto con i vicini di casa, gli amici e i poveri del quartiere. Aid Mubarak! ai nostri amici e amiche musulmani.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui offrendovi in lettura un brano della “Vita seconda di san Francesco d’Assisi”, scritta da Tommaso da Celano, un frate suo contemporaneo. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nessuno fu tanto avido di oro, quanto lui di povertà, né alcuno più preoccupato di custodire un tesoro, quanto lui la gemma evangelica. Il suo sguardo in questo si sentiva particolarmente offeso, se nei frati – o in casa o fuori – vedeva qualcosa di contrario alla povertà. E in realtà, dall’inizio della sua vita religiosa sino alla morte, ebbe come sua ricchezza una tonaca sola, cingolo e calzoni: non ebbe altro. Il suo aspetto povero indicava chiaramente dove accumulasse le sue ricchezze. Per questo, lieto, sicuro, agile alla corsa, godeva di aver scambiato con un bene che valeva cento volte le ricchezze destinate a perire. Insegnava ai suoi a costruirsi piccole abitazioni e povere, di legno non di pietra, e cioè piccole capanne, di forma umile. Spesso, parlando della povertà, ricordava ai frati il detto evangelico: «Le volpi hanno tane e gli uccelli del cielo nidi, ma il Figlio di Dio non ebbe dove posare il capo». Una volta si doveva tenere il Capitolo presso Santa Maria della Porziuncola. Mentre era imminente il tempo fissato, il popolo di Assisi osservò che non vi era una abitazione adatta e, all’insaputa dell’uomo di Dio, assente in quel periodo, costruì una casa per il Capitolo, nel minor tempo possibile. Quando il Padre ritornò, guardò con meraviglia quella casa e ne fu molto amareggiato e addolorato. Subito, per primo, si accinse ad abbatterla. Salì sul tetto e con mano vigorosa rovesciò lastre e tegole. Pure ai frati comandò di salire e di togliere del tutto quel mostro contrario alla povertà. Perché, diceva, qualunque cosa troppo vistosa fosse stata tollerata in quel luogo, ben presto si sarebbe diffusa per l’Ordine e sarebbe stata presa come esempio da tutti. Ed avrebbe demolito dalle fondamenta la casa, se i soldati presenti non si fossero opposti al fervore del suo spirito, dichiarando che apparteneva non ai frati, ma al Comune. (Tommaso da Celano, Vita seconda di san Francesco d’Assisi).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Ottobre 2014ultima modifica: 2014-10-04T22:09:02+02:00da fraternidade
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