Giorno per giorno – 03 Ottobre 2014

Carissimi,
“Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi” (Lc 10, 13-14). Abbiamo già detto altre volte che quel “guai a te”, con cui si traduce abitualmente il “uai soi” dell’originale greco, non ne rende appropriatamente il significato, che vuol essere esclamazione di lamento e dolore, forse di delusione, e non di minaccia. Delusione per un incontro mancato. Il vangelo di oggi concludeva il discorso con cui Gesù invia in missione i settantadue discepoli. In esso, assieme alle istruzioni circa il che dire e il che fare e il come farlo, Gesù li avverte della possibilità concreta di vedersi rifiutare l’annuncio e la pratica del Regno. Non dalle città pagane, ma proprio da quelle in cui è gia risuonata la sua parola e in cui si è assistito ai suoi segni. Oggi diremmo l’Occidente, il Nord del mondo, ma, anche, più in generale, le nostre chiese, noi stessi. E quindi è un vangelo che cade a puntino. Perché è in queste nostre “città del lago” che, più che altrove, anche senza voler generalizzare, si è assistito a un progressivo svuotamento del significato della croce e dell’evento di Gesù, che da rivelazione del carattere di servizio, dono, cura universale nei confronti dei fratelli, proprio dell’esistenza e della vocazione umana, si è visto trasformato in una religione, spesso, solo esteriore – religione civile -, che si propone come identità culturale, cemento sociale, quando non ideologia “contro”, che accetta, giustifica e vive di relazioni di dominio. In cui, spesso, noi stessi non esitiamo a inserirci come piccoli despoti, nei rapporti che instauriamo con il mondo che ci circonda. Ahime, ahivoi, ahinoi, dove siamo mai finiti?!

Oggi facciamo memoria di George Allen Kennedy Bell, pastore e testimone di ecumenismo, e di Antonio Bargiggia, fratello dei poveri, martire in Burundi.

George Allen Kennedy Bell era nato il 4 febbraio 1883 a Hayling Island, nello Hampshire (Inghilterra), maggiore dei figli di Sarah Georgina Megaw e di suo marito James Allen Bell. Dopo gli studi teologici a Oxford, Bell fu ordinato diacono, nel 1907, e presbitero, nel 1908. Nei tre anni che seguirono si dedicò alla cura pastorale di una parrocchia alla periferia di Leed, dove un terzo della popolazione era costituito da immigrati indiani e africani, provenienti dalle diverse regioni dell’Impero britannico. In questa attività ebbe modo di collaborare e di apprendere molto dai metodisti, di cui ammirava la capacità di coniugare fede e impegno sociale. Nel 1914 fu nominato, dapprima, cappellano dell’arcivescovo Randall Davidson, primate d’Inghilterra, poi, nel 1925, decano di Canterbury e, nel 1929, vescovo di Chichester. Dal 1932-34 fu primo presidente di “Vita e Azione”, quando questo movimento confluì nel Consiglio Ecumenico delle Chiese. All’avvento del nazismo, divenne il più importante sostenitore della “Chiesa Confessante” che, in Germania, si opponeva risolutamente all’ideologia hitleriana, denunciando come eretiche le posizioni assunte da settori consistenti della Chiesa Evangelica Tedesca in appoggio alla politica del Fuhrer. In questi anni, Bell strinse amicizia con Dietrich Bonhoeffer, Nathan Söderblom e Wilhelm Visser’t Hooft, ponendo le basi per il cammino di riavvicinamento tra le chiese che ebbe luogo alla fine della seconda guerra mondiale. Negli anni ’50, fu avversario della corsa al riarmo atomico, e appoggiò numerose iniziative contro la Guerra Fredda. I suoi contatti ecumenici lo portarono a stringere amicizia con l’arcivescovo di Milano, Montini, che in seguito sarebbe divenuto papa Paolo VI. Bell morì il 3 Ottobre 1958. Aveva dedicato la sua ultima omelia a commentare la parola di Gesù che dice: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17, 10).

Antonio Bargiggia era nato a Milano il 21 giugno 1958, e nel 1979 era andato in Africa, a lavorare come volontario in una missione del Burundi. Ritornato in Italia, maturò la decisione di dedicare tutta la sua vita ai poveri. Entrò così tra i “Fratelli dei poveri”, una famiglia religiosa di laici consacrati che opera in Burundi. Per vent’anni, fratel Antonio lavorò nella bidonville di Buterere, nella periferia più povera di Bujumbura, capitale del Burundi. Viveva, povero come i suoi vicini, in una baracca senza luce e senza acqua, con un suo fratello burundese, volendo bene e rendendosi disponibile a tutti, in qualunque ora del giorno o della notte, quale ne fosse l’etnia, hutu o tutsi, o la religione. Pochi mesi prima di morire, aveva scritto: “Abbiamo molti vicini, quasi tutti musulmani; andiamo d’accordo e ci aiutiamo gli uni con gli altri”. La mattina del 3 ottobre 2000, quattro uomini armati, due in divisa militare e due con abiti civili, bloccarono l’automezzo su cui stava viaggiando e lo uccisero, sparandogli a bruciapelo al volto, a Kibimba. Gli rubarono l’orologio e i sandali e abbandonarono il suo corpo per strada, portandosi via l’auto con il materiale che stava trasportando. Rintracciati poco dopo, furono nei giorni seguenti processati e condannati: l’esecutore materiale alla pena capitale, due complici all’ergastolo e l’autista a venti anni di detenzione. Il giorno prima dell’esecuzione, l’assassino fece chiamare il cappellano del carcere, l’abbé Gakona, per esprimere il suo pentimento e chiedere perdono del suo gesto. Restarono a parlare a lungo, il prete gli parlò di Gesù e della buona notizia dell’amore che Dio ha per gli ultimi e della festa che fa per quanti si convertono da una vita sbagliata. Alla fine del colloquio, il giovane chiese e ottenne di essere battezzato e il giorno dopo affrontò con grande serenità d’animo l’esecuzione della condanna.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Giobbe, cap.38,1,12-21; 40, 3-5; Salmo 139; Vangelo di Luca, cap.10, 13-16.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Da stasera, al tramonto, i nostri fratelli ebrei sono entrati nel 10 del mese di Tishri,quando si celebra Yom Kippur, il “Giorno del Perdono”, Shabbat shabbaton, il “Sabato dei sabati”, la maggior festività giudaica, quella di cui il libro del Levitico dice “In quel giorno si compirà il rito espiatorio per voi, al fine di purificarvi; voi sarete purificati da tutti i vostri peccati, davanti al Signore” (Lv 16, 30). È durante questa festa, che, nel kodesh ha-kodashim, il “Santo dei santi” del Tempio, per una sola volta durante l’anno, il sommo sacerdote, pronunciava il Nome di Dio (Jhwh), invocando per tutto il popolo il perdono dei peccati. L’intera giornata, ancora oggi, è caratterizzata dall’astensione da ogni tipo di lavoro, dal digiuno e dalla preghiera che, in sinagoga, dura quasi senza interruzione da mattina a sera. L’augurio che ci si scambia oggi è: “G’mar Hatimah Tovah” letteralmente “Un buon sigillo finale”, intendendo: “Possa tu essere inscritto nel Libro della Vita”. Amen!

E, prendendo spunto da Yom Kippur, nel congedarci, vi proponiamo un aneddoto che la riguarda proprio questa festa. È tratto da “I racconti dei Chassidim” (Garzanti) di Martin Buber, ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Alla fine del Giorno del Perdono il Rabbi di Berditschev disse a uno dei suoi chassidim: “Io so per che cosa hai pregato in questo giorno. La vigilia hai pregato che Dio ti dia al principio dell’anno tutti in una volta i mille rubli di cui hai bisogno durante l’anno e che tu guadagni nel corso dell’anno, così che le fatiche e le preoccupazioni degli affari non ti distolgano dallo studio e dalla preghiera. Ma la mattina hai pensato che se tu avessi mille rubli tutti in una volta inizieresti con essi un nuovo grande affare e allora sì che ti daresti pensieri; così hai pregato di poter ricevere la metà del denaro due volte all’anno. E prima della preghiera finale anche questo ti sembrò pericoloso e preferisti un pagamento trimestrale per poter studiare e pregare indisturbato. Ma perché pensi che in cielo si abbia bisogno del tuo studio e della tua preghiera? Forse si ha proprio bisogno della tua fatica e dei tuoi grattacapi!”. (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Ottobre 2014ultima modifica: 2014-10-03T22:12:13+02:00da fraternidade
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