Giorno per giorno – 17 Settembre 2014

Carissimi,
“A chi posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!” (Lc 7, 31-32). Se si era lì, stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, e se ci si continua ad incontrare settimanalmente, o anche a scadenza più ravvicinata, forse, allora, una volta tanto, il rimprovero che Gesù rivolge alla sua generazione, è possibile non sia diretto a noi. O, almeno, a tutti noi, o tutti i giorni. Perché se c’è una cosa che non è ancora venuta meno in queste nostre comunità è il senso di solidarietà umana che le anima e la facilità con cui le persone prendono l’iniziativa o si lasciano coinvolgere nelle diverse situazioni di bisogno. Che si tratti di organizzare una festa, o un mutirão, l’assistenza a un malato, o un funerale. Gesù si riferiva a chi rimaneva insensibile tanto agli inviti a conversione carichi di minacce, presenti nella predicazione del Battista, quanto all’immagine di Dio che il suo agire inaugurava e rendeva visibile; immagine da Lui sintetizzata nella risposta data agli interrogativi sollevati da Giovanni: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella” (Lc 7, 22). Ed è proprio questo antico sogno profetico, incarnato da Gesù, nell’attesa che esso trovi il suo definitivo compimento, che i nostri gesti, devono, in qualche modo e a nostra misura, richiamare, per quanto umile e nascosta possa essere la nostra esistenza quotidiana. Il vangelo, con il monito e con l’esempio di Gesù, vuol dirci solo che è possibile cominciare, o continuare, a scrivere con Lui una storia diversa da quella che il mondo si ostina a proporci. Basata, come accade in Dio, sul servizio, la tenerezza e la cura reciproca e non sullo sfruttamento e sul potere.

Oggi noi si fa memoria di Dom Gianfranco Masserdotti, pastore dei popoli senza voce, di Ildegarda di Bingen, mistica benedettina, e di Adrienne von Speyr, medica e mistica.

Gianfranco Masserdotti era nato a Brescia, il 13 settembre 1941. Entrato nell’istituto dei Missionari Comboniani, fu ordinato sacerdote il 26 marzo 1966. Conseguita la laurea in sociologia all’università di Trento, fu inviato missionario nel Nordest del Brasile, dove restò dal 1972 al 1979, quando fu richiamato a Roma per assumere l’incarico di Assistente generale della congregazione. Ritornato nel 1986, in Brasile, il 2 marzo 1996, fu consacrato vescovo coadiutore di Balsas (Maranhão), diocesi di cui divenne vescovo titolare due anni più tardi. All’interno della Conferenza Nazionale Episcopale del Brasile (CNBB) svolse la funzione di Presidente della CIMI (Conselho Indigenista Missionário) e di Vice-Presidente della Commissione Missionaria. Il 17 settembre 2006 morì vittima di un incidente stradale. È ricordato unanimemente come “religioso dalla grande sensibilità umana e spirituale, un missionario dedito totalmente alla causa dei poveri e un Vescovo illuminato e profondamente impegnato a preparare una Chiesa locale autosufficiente, significativamente presente sul territorio, dialogante con tutti, particolarmente attenta ai “più poveri e abbandonati” e missionaria, aperta a tutti i continenti”. Poche settimane prima, in occasione dei funerali di un altro grande della Chiesa brasiliana, Dom Luciano Mendes de Almeida, aveva detto: “La vera morte avviene quando riponiamo la nostra speranza e il senso della nostra vita nel possesso, nel potere, nel piacere senza limiti, quando chiudiamo il nostro cuore al prossimo e ci lasciamo trasportare dall’egoismo. La vera morte avviene quando ci lasciamo prendere dal timore di perdere la nostra vita a causa di Gesù e del Vangelo”.

Ildegarda nacque nel 1098, ultima di dieci figli del nobile Ildelberto di Bermersheim e di sua moglie Matilda, nella provincia tedesca di Rheinhessen. Forse a causa della salute fragile, o per la precocità dell’intelligenza o, ancora per l’esperienza di involontarie visioni, la famiglia la inviò ancora bambina nel monastero benedettino di Disibodenberg, affidandola alle cure e all’educazione della monaca Jutta di Spanheim. Consacratasi giovanissima, all’età di trentotto anni fu eletta abbadessa. Studiò scienze e teologia e scrisse testi di medicina, biologia, cosmologia. Fu anche pittrice, compositrice, poetessa. Ebbe una serie di visioni e per dieci anni, tra il 1140 e il 1150, scrisse su di esse, illustrandole, fornendone l’interpretazione e commentandone il significato. Una commissione inviata dal papa Eugenio III per indagare su lei e la sua opera, dopo aver ascoltato l’opinione a lei favorevole di Bernardo di Chiaravalle, la considerò ortodossa e ritenne le visioni autentiche. Da parte sua, Ildegarda esortò il papa ad impegnare le sue forze ad una profonda riforma della Chiesa. Scrisse estesamente sull’esigenza della giustizia sociale e della liberazione degli oppressi. Sottolineò l’importanza di ricordare che ogni essere umano, creato a immagine di Dio, deve avere l’opportunità di usare e mettere a frutto i talenti ricevuti da Dio, realizzando in tal modo il progetto che lo stesso Dio ha per ciascuno di noi. Morì il 17 settembre 1179.

Adrienne von Speyr nacque a La Chaux-de-Fonds, in Svizzera, il 20 settembre 1902, in una famiglia protestante. Quindicenne ebbe la sua prima esperienza mistica. Completati gli studi secondari, si iscrisse alla Facoltà di medicina, al termine della quale, nel 1931 comincerà ad esercitare la professione medica. Nel frattempo, nel 1927, aveva sposato Emile Dürr, di cui resterà tuttavia vedova sette anni più tardi. Nel febbraio 1936 sposò Werner Kaegi. Nell’aprile del 1940 ebbe l’incontro decisivo per la sua vita con il teologo gesuita Hans Urs von Balthasar, che divenne suo direttore spirituale. Il 1° novembre dello stesso anno, Adrienne ricevette il battesimo “sotto condizione”, entrando a far parte della Chiesa cattolica. Due anni più tardi visse l’esperienza angosciosa e traumatica delle stimmate. A partire dal 1944, benché priva di qualsivoglia formazione teologica, cominciò a dettare quasi quotidianamente a Von Balthasar testi di commento alla Bibbia e su altri argomenti teologici, frutto delle sue esperienze mistiche, che lo stesso Von Balhasar affermerà in seguito assolutamente decisivi in ordine alla sua evoluzione e produzione teologica. Assieme fonderanno nel 1945 l’istituto secolare Johannesgemeinschaft (Comunità di San Giovanni). Da allora continuarono e crebbero in frequenza le esperienze mistiche della Von Speyr. Perduta completamente la vista nel 1964, Adrienne morì a Basilea il 17 settembre 1967, memoria della grande mistica tedesca Ildegarda di Bingen.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1ª Lettera ai Corinzi, cap.12, 31 – 13, 13; Salmo 33; Vangelo di Luca, cap.7, 31-35.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale che ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.

E anche per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, con una pagina di Adrienne von Speyr, tratta da un suo saggio, apparso sulla rivista Communio n.185, con il titolo “Il potere di diventare figli di Dio”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il Figlio in noi è generato dal Padre, egli dispiega la sua vita in noi mediante lo Spirito Santo, e noi torniamo col Figlio nello Spirito al Padre. Ma solo per essere eternamente di nuovo inviati fuori con il Figlio nello Spirito. Nel cammino dal Figlio verso il Padre il Figlio ci trasforma, e il Padre ci accoglie come suoi figli; e nel cammino dal Padre al Figlio il Padre trasforma questa figliazione, facendoci partecipare alla missione del Figlio. Il compito, con cui veniamo inviati, è un’eco del compito trinitario del Figlio. Dopo che la vita trinitaria si è dispiegata nella figliazione, dopo che la Trinità si è impressa nella nostra anima e le tre persone si sono in essa unite sino a formare un’unità, noi veniamo da essa inviati nella missione trinitaria. L’unità della nostra vita e della nostra missione è un’unità dell’amore e quindi un’unità trinitaria. Il modo in cui tale compito può configurarsi nei particolari è del tutto indifferente; esso può essere inapparente, velato, disprezzabile quanto si vuole. Il suo senso trinitario può essere completamente nascosto. Non per questo esso è meno vigoroso e si impone con la stessa forza, con cui si è imposta in noi la missione del Figlio. Né colui che diffonde l’amore, né colui che lo accoglie han bisogno di riconoscere la sua essenza trinitaria. Ambedue hanno forse solo indistintamente sentore che l’opera si compie all’interno dell’amore. Il potere di questo amore è nascosto, ma esso è lo stesso potere infinito, che ci è stato dato per diventare figli di Dio. Nel cammino dal Figlio al Padre il Figlio ci ha dato il potere sul Padre. Nel cammino dal Padre al Figlio il Padre ci dà, quali suoi figli, il potere dato al Figlio sugli uomini all’interno della nostra missione. (Adrienne von Speyr, Il potere di diventare figli di Dio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Settembre 2014ultima modifica: 2014-09-17T22:19:33+02:00da fraternidade
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