Giorno per giorno – 29 Giugno 2014

Carissimi,
“Gesù disse loro: Ma voi, chi dite che io sia? Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 15-16). Ah, l’intemperante Pietro, come ci somiglia!, ci dicevamo stamattina durante l’Eucaristia, nella chiesa del Monastero. O, forse no, non tutti, qualcuno. Forse si è come gli altri, che se ne sono stati zitti, alcuni perché non sapevano proprio cosa dire in più, rispetto a ciò che pensava la gente, altri, perché, benché sentissero anche loro, in fondo in fondo, la verità di ciò che Pietro si era precipitato a confessare, erano più timidi, meditativi, o timorosi di sbagliare. Di spararla troppo grossa. Di sperare troppo in grande. E non avevano ancora visto niente di quanto sarebbe successo poi. Certo, Lui era, come minimo, un bel sogno. Che seminava Dio dentro di loro come fosse la rugiada del mattino. Ma, la vita è poi così piena di delusioni. E chi poteva dire che Dio fosse proprio così, e non quello tuonato dai predicatori di turno? E che Lui, perciò, si ingannasse, e, senza volorlo, ingannasse anche noi? C’è da dire che Pietro non aveva ancora le idee troppo chiare, e lo avrebbe dimostrato di lì a poco, però Gesù gli piaceva troppo, e quel giorno, quella domanda, gli aveva fatto pensare che si sentisse, solo, incompreso, abbattuto, così era balzato avanti e gli aveva quasi gridato: tu sei tutto per noi, sei un Dio. Come lo si dice al campione del cuore. Ma, senza saperlo, ci aveva azzeccato. Perché Gesù, Dio, la sua immagine sulla terra, lo era per davvero. Tutto quello che questo significava, l’avrebbe capito solo più tardi, a sue spese. Beh, Gesù, cioè, anche Dio, ce lo chiede ancora, anche a noi, ogni giorno: Ma io chi sono per te, per voi? E, forse, avrebbe ragione di sentirsi un po’ solo e abbattutto, perché sono pochi quelli che gli danno credito. Ora, noi sappiamo molte più cose sul suo conto di quante non ne sapesse il povero Pietro. Che cos’è che ci trattiene ancora dal lanciarci in una professione di fede che, sì, ci strapperà a un sacco di cose, vuote e inutili, e ci consegnerà a un destino ignoto, forse, pieno di pericoli, ma pur sempre in sua compagnia? Se gli diciamo il nostro sì, Lui fa di noi rocce, e ci affida come missione quella di unire il mondo nella comunione, e di sciogliere tutti i lacci e tutte le catene che ancora opprimono l’uomo. Che è come metterci nelle mani le chiavi del Regno.

Oggi la Chiesa fa memoria degli Apostoli Pietro e Paolo.

Simone (chiamato Pietro, ovvero Roccia), figlio di un certo Giona, (cf Mt 16,17), fratello di Andrea, (Mt 10,12) e, come questi, pescatore, era, con Giacomo e Giovanni, uno dei discepoli prediletti di Gesù (Mc 5,37; 9,2; 14,33), che, per altro, al momento decisivo, rinnegò (Mc 14,66-72). Fu uno dei primi testimoni della Resurrezione. Dopo la morte di Gesù, divenne figura di riferimento della giovane comunità di Gerusalemme. Una tradizione credibile afferma che morì martire a Roma, durante la persecuzione di Nerone (64-67).

L’ebreo Saulo, (con il nome romano di Paolo), nacque a Tarso, in Cilicia, si recò a Gerusalemme dove per alcuni anni, alla scuola di Gamaliele, studiò la Scrittura, diventando uno zelante fariseo. Persecutore dei cristiani, fu raggiunto dal Signore che lo chiamò a diventare “servo di Dio, apostolo di Gesù Cristo per portare coloro che Dio ha scelti alla fede a alla conoscenza della verità” (Tt 1,1). Partendo da Antiochia di Siria, organizzò, prima con Barnaba, poi con Sila e Timoteo, tre grandi spedizioni missionarie, con l’obiettivo di annunciare il Vangelo ai pagani, fondando numerose comunità cristiane, che, successivamente contribuì a consolidare, visitandole personalmente o inviando loro le sue lettere pastorali. Prima di morire martire a Roma (probabilmente nell’anno 67), potè confessare (secondo la testimonianza dell’autore della lettera a Timoteo): “Ho combattuto la buona battaglia, sono arrivato fino al termine della mia corsa e ho conservato la fede” (2 Tm 4, 7 ).

Bene, le letture proposte dalla liturgia in occasione della Festa dei Santi Pietro e Paolo Apostoli sono tratte da:
Atti degli Apostoli, cap. 12, 1-11; 2a Lettera a Timoteo, cap. 4, 6-8.17-18; Vangelo di Matteo, cap. 16, 13-19

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le Chiese e comunità cristiane.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di André Louf, tratto dal suo commento spirituale al Vangelo di Matteo, apparso con il titolo “Seul l’amour suffirait” (Desclée de Brouwer). Brano in cui riflette sullo sguardo rivolto da Gesù a Pietro, dopo il suo tradimento. È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Di quale natura fu quello sguardo di Gesù che si posò su Pietro, sorprendendolo in flagrante delitto? L’evangelista non lo dice, ma possiamo cercare di immaginarlo un po’. E quanti più anni contiamo al servizio del Signore, più è facile indovinare e riconoscere quello sguardo. Perché anche noi, come Pietro, ci siamo messi al seguito di Gesù, determinati a portare la croce con lui e a bere il calice fino alla feccia. C’è voluto tutto il candore dell’adolescenza per partire, e l’entusiasmo dell’età migliore per sopportare i primi insulti. E abbiamo camminato a lungo, come Pietro, un po’ inebriati dalla nostra generosità e dal rispetto che ci circondava. E tuttavia, senza saperlo ancora, noi eravamo così fragili, così poco consegnati interiormente alla croce che volevamo sollevare dalle spalle di Gesù. Da qualche parte, ad una svolta della sua strada verso la croce, Gesù ci stava aspettando, come aspettò Pietro. E c’è voluto così poco perche il pallone si sgonfiasse e la croce ci scivolasse di mano, e noi vacillassimo sotto di essa. Ed ancora non ci saremmo accorti della crisi o della caduta, se Gesù non avesse improvvisamente posato gli occhi su di noi. E questo sguardo ci ha messi a nudo, ci ha privati delle nostre pretese più sante, ci ha lasciati spogli, completamente poveri, assolutamente indigenti e nello stesso tempo totalmente consegnati alla dolcezza che emanava da lui. C’è stato giudizio, condanna? C’è stato solo un rimprovero? Forse nulla di tutto questo. Ma una sovrabbondanza di dolcezza e di amore, come il balsamo su una ferita, che guarisce senza fare male, che nutre, restaura, e stende proprio al centro della nostra debolezza la dolce violenza dell’onnipotenza di Dio. E da allora noi viviamo sempre sotto l’influsso di questo sguardo di Gesù, certo sconvolti, ma senza nessuna amarezza, senza alcun turbamento, al contrario, perfettamente rasserenati sotto lo sguardo di Gesù. Egli è ansioso di posare gli occhi su di noi, di fissarci, perché non smettiamo di ricordarci della nostra debolezza e della forza della sua risurrezione, per attirarci con Lui in questa morte fino alla luce del mattino di Pasqua. (André Louf, Seul l’amour suffirait).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Giugno 2014ultima modifica: 2014-06-29T22:59:14+02:00da fraternidade
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