Giorno per giorno – 10 Giugno 2014

Carissimi,
“Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; […] non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa” (Mt 5, 13-15). Nel pomeriggio, ci siamo ritrovati alla chácara di recupero per il congedo di Aldeci, giunto al termine dei suoi nove mesi di trattamento, e lui stesso ha detto che se avessimo dovuto scegliere un brano di vangelo per l’occasione, non sarebbe potuto essere migliore di questo proposto dalla liturgia del giorno. Già, essere sale. Per dar gusto alla vita, non per privarla di ogni sapore. Non per sottraci ad essa, come una droga, in cui rifugiarci e da offrire agli altri, quando ci si senta incapaci di far fronte agli eventi. Essere lampada, che è cosa da niente, ne basterebbe anche una, o solo poche, per illuminare dentro casa, compresa la nostra casa che è il mondo. E permettere a noi e agli altri di distinguere i nostri volti e le attese e i bisogni che esprimono, e mostrare i gesti e scoprire le cose che servono per rispondere loro. Il cristiano è chiamato a vivere in funzione degli altri. Senza alcuna presunzione, senza pretendere nulla in cambio. Come il sale non esige un “salario” (che, curiosamente, era, originariamente, la “razione di sale” con cui si veniva pagati), né la luce brilla a suo proprio vantaggio. Gli altri, poi, che cristiani non sono, proporranno i loro sapori e noi-sale li valorizzeremo adeguatamente; o ci sveleranno i loro tratti, e noi si potrà godere ogni volta della loro bellezza. O scoprire e far scoprire qualcosa che non va e potervi porre così, assieme, rimedio. Già, ma che tipo di comunità sono le nostre: comunità-saliere rinchiuse ermeticamente in se stesse? Lampade collocate sotto il moggio, che è come se non ci fossero? Gli altri ci cercano per dar sapore e luce alla festa (o alle tristezze) della vita? O, invece, ci evitano con timore?

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di Abraam di al-Fayyoum, pastore, amico e padre dei poveri, e il ricordo dei Martiri ebrei delle milizie cosacche.

Abraam, il cui nome era Boulos (Paolo), nacque a Gilda, nel distretto di Mallawi (governatorato di al-Minya, Egitto), nel 1829 (1545 dell’Era dei Martiri), da genitori cristiani. Ordinato diacono da Anba Yousab, vescovo di Sunabbo, a diciannove anni entrò nel monastero di al-Muharrak, e subito si distinse per la grande umiltà, la purezza e l’amore alla preghiera. Quando Anba Yakoubos, vescovo di al-Meniah, ne udì parlare, lo volle alla sua residenza, e dopo qualche tempo lo ordinò prete, rimandandolo poi in monastero. Lì, nel 1866, i monaci lo elessero quale loro abate. Durante i cinque anni che mantenne questo incarico, fece di tutto per incrementare la vita spirituale dei monaci, migliorare la produzione dei loro terreni agricoli, ma soprattutto per andare incontro alle necessità dei poveri della regione, che, a migliaia, presero a bussare alle porte del monastero. Ma fu proprio questo suo atteggiamento che suscitò l’ira di un gruppo di monaci, che lo accusarono presso Anba Morcos, vescovo di al-Behira, facente le funzioni del patriarca dopo la morte di papa Demetrius II. Questi accolse le proteste dei monaci e depose l’abate. Dal monastero di al-Muharrak, con altri monaci, più vicini alla sua spiritualità, Boulos si trasferì al monastero di al-Baramous, dove era abate Youhanna lo Scrivano, che nel 1874 sarebbe diventato il 112º papa di Alessandria, col nome di Kyrillos V. Nel 1881 Kyrillos consacrò Boulos vescovo di al-Fayyoum e di al-Giza. Il monaco, assunse allora il nome di Abraam e, nel suo servizio episcopale, continuò con lo stile di sempre, semplice e povero, facendo della sua residenza il rifugio dei poveri, alimentandosi alla loro stessa mensa, rifiutando ogni segno di distinzione esteriore. Abba Abraam morì il 10 giugno 1914 (corrispondente al 3 Baouna 1630 dell’era dei martiri). Oltre diecimila persone, cristiane e musulmane, accompagnarono i suoi funerali. La sua tomba, nel monastero della Vergine Maria a al-Elzab, è ancora oggi meta di continui pellegrinaggi.

Il 10 giugno 1648 le milizie dei cosacchi di Bodan Chmielnicki, sotto la guida del comandante Ganja, assediarono la città fortificata di Nemirov, in Polonia, dove avevano trovato rifugio seimila ebrei. Spazzata via ogni resistenza, i cosacchi entrano in città, sterminando tutta la popolazione ebraica. Nemirov rappresenta solo una delle centinaia di comunità ebraiche annientate dalle orde cosacche. Anche se resta difficile avere un quadro preciso sul numero delle vittime, le statistiche oscillano da un minimo di centomila a oltre seicentomila morti. Il tutto nel quadro di una rivolta dei cosacchi (di fede ortodossa), contro il dominio dei polacchi (cattolici), al fine di unificare l’Ucraina con la Russia.

I testi che la litugia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1° Libro dei Re, cap.17, 7-16; Salmo 4; Vangelo di Matteo, cap.5, 13-16.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali dell’Africa Nera.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una pagina della vita di Abraam di al-Fayyoum, tratta dal libro di William A. Hanna, “Anba Abraam, The Bishop of Fayoum, “Friend of The Poor””, che potete trovare in rete e che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Anba Abraam fu chiamato un giorno nella sede del Patriarcato per partecipare ad un incontro che riguardava la riduzione allo stato laicale di un prete disobbediente. Il povero prete aveva permesso ad un vescovo scomunicato di celebrare nella sua Chiesa. I vescovi e i maggiorenti laici decisero che il prete era colpevole e che doveva perciò essere spretato. Anba Abraam la pensava diversamente, capiva che un semplice parroco difficilmente poteva sentirsi in condizione di far fronte a un vescovo. Non era perciò d’accordo con i presenti sul provvedimento da prendere. Accanto a lui era seduto un copto di primo piano, che si chiamava Quallini Pasha. Quallini Pasha firmò il decreto. Ma, quando arrivò la volta di Anba Abraam, questi rifiutò di firmare, e rivolto a Quallini Pasha, lo rimproverò per la durezza che manifestava verso il povero prete. Una dei presenti gli disse: “Anba Abraam, Lei sa a chi si sta parlando? È Quallini Pasha”. Anba Abramo rispose: “Il Signore vive per sempre! Mosè ha parlato a Dio Onnipotente!”. Detto questo, Anba Abraam lasciò la sala e scese al piano terra. Poi, mentre usciva, disse: “Il Signore vive per sempre! Non entrerò più in questa casa, se un qualche male colpirà questo povero prete”. Alcuni presenti lo raggiunsero, pregandolo di non mantenere quello che aveva detto. Anba Abraam rispose: “Se mi portate qui il decreto per farlo a pezzi, dimenticherò tutto ciò che ho detto”. Essi tornarono nella sala della riunione e, terminato il dibattito, fecero come avve detto lui e gli portarono il decreto. Una volta fattolo a pezzi, anch’egli tornò alla riunione come niente fosse successo. Così il prete fu salvato da un grande danno. (William A. Hanna, Anba Abraam, The Bishop of Fayoum, “Friend of The Poor”).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Giugno 2014ultima modifica: 2014-06-10T22:50:22+02:00da fraternidade
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