Giorno per giorno – 20 Maggio 2014

Carissimi,
“Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prìncipe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco” (Gv 14, 30-31). Subito dopo, rivolto ai discepoli, Gesù aggiunse: “Alzatevi, andiamo via di qui”. E qui si concludeva, in una prima redazione del Vangelo di Giovanni, il discorso d’addio. Cui faceva seguito quello che, oggi, è ìl capitolo 18. Che, infatti, si apre con questa notazione: “Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò al di là del torrente Cedron” (Gv 18, 1). Solo, in seguito, verranno inserite le parti dell’ultimo discorso che compongono i capitoi 15, 16 e 17. Stasera, ci dicevamo che, benché Gesì dica che il principe di questo mondo non può nulla contro di lui, agli occhi di chi non vede con lo sguardo della fede, il sistema del dominio ebbe (ed ha) la meglio su di lui, perché lo eliminò (e continua ad eliminarlo) dalla scena del mondo. E, tuttavia, anche se è arduo intenderlo e ammetterlo, è nella sua morte, liberamente abbracciata, in obbedienza amorosa alla volontà del Padre – “non sia fatta la mia, ma la tua volontà”, prega Gesù nei sinottici – che si registra l’assoluta impotenza e, perciò, anche la sconfitta, del principe di questo mondo, il quale non può togliere nulla a chi si è già dato per intero. Così dovrebbe potersi dire anche di noi, se fossimo, davvero, discepoli coerenti di Gesù. Il mondo, come si è venuto strutturando, con le sue mode, i suoi incentivi, la sua brama di possesso e di potere, non può più davvero nulla su di noi, perché noi non abbiamo e non siamo più nulla, solo comunione con ogni altra persona e con tutte le cose. Che è sempre il mondo, visto, però con gli occhi di Dio. E da Lui salvato.

Oggi noi si fa memoria di Pietro di Cordova, missionario difensore degli indigeni, Michael e Margaretha Sattler e compagni, martiri anabattisti, e Paul Ricoeur, cristiano e filosofo.

Nato a Cordova, in Spagna, nel 1460, il giovane Pietro entrò nell’Ordine dei Predicatori e fece parte con Antonio di Montesinos e Bernardo di Santo Domingo, del primo gruppo di domenicani inviato a evangelizzare l’isola Española (l’attuale Repubblica Dominicana), dove giunse nel settembre del 1511. La difesa della popolazione indigena fu il grande compito che questi frati coraggiosi si diedero, da subito, comprendendo bene che non è possibile predicare l’Evangelo, senza denunciare l’ingiustizia e l’oppressione che regnano nella società. Fu così che, a pochi mesi dal suo arrivo sull’isola, la comunità decise di denunciare pubblicamente la situazione drammatica che si presentava ai suoi occhi. Insieme i frati redassero l’omelia della IV domenica di Avvento (21 dicembre 1511), delegando poi il padre Antonio de Montesinos a pronunciarla davanti alla popolazione e alle autorità. Quando l’ammiraglio Diego Colombo, vicere dell’isola, figlio del più celebre Cristoforo, si precipitò per fare le sue rimostranze dal superiore del convento, che era appunto Pietro di Cordova, questi gli rispose fermo e tranquillo: “Signore, mi permetta di ricordarle che noi, avendo posto le nostre parole e le nostre azioni al servizio del Re dei re, non possiamo che conformarci a ciò che è giusto, assolutamente giusto, e d’accordo con le leggi divine. Nulla, né nessuno, per quanto potente, riuscirà a piegare la nostra energia e distogliere da esse i nostri sforzi”. Si deve a Pietro di Cordova la redazione del primo catechismo destinato agli indigeni. Il frate morì a 38 anni, di tubercolosi, conseguenza della grandi penitenze cui si era sottoposto in vita.

Michael Sattler era nato nel 1490 a Stauffen, nella regione tedesca del Baden Württenberg. Entrato nel monastero benedettino di San Pietro, nella Foresta Nera, vi aveva compiuto gli studi ed emesso i voti religiosi, ed in seguito era stato eletto priore. Erano gli anni della Riforma e Michael, turbato dalla corruzione che vedeva diffusa nella chiesa e dalle miserabili condizioni di vita dei contadini della regione, e questionato dalla rilettura che Lutero faceva della proposta cristiana, decise di lasciare lo stato religioso. Recatosi a Zurigo nel 1525, apprese e cominciò ad esercitare il mestiere di tessitore. Venuto nel frattempo in contatto con gli anabattisti della zona, chiese di far parte del loro gruppo e di essere ribattezzato. A Strasburgo, l’anno seguente, conobbe e sposò Margaretha, la donna che ne avrebbe condiviso il destino fino alla morte. Il 24 Febbraio 1527, nella cittadina svizzera di Schleitheim, Sattler stilò, per conto della sua chiesa, i Sette articoli di Schleitheim, il documento che sintetizza i fondamenti dell’anabattismo. Poco dopo la conclusione della riunione di Schleitheim, Sattler, la moglie ed altri 18 anabattisti furono arrestati e trasferiti a Rottenburg, nel Baden Württenberg, per esservi processati. Erano ora nelle mani del re cattolico Ferdinando, che aveva dichiarato “il terzo battesimo” (cioè, l’annegamento) il miglior antidoto per l’Anabattismo. Fu imbastito un processo, basato su nove capi d’accusa. Alcuni di essi il Sattler dimostrò falsi, mentre per gli altri, giustificò le sue posizioni, in quanto biblicamente fondate. Dopo soli tre giorni, comunque, gli imputati furono giudicati colpevoli e condannati a morte. Riportiamo qui di seguito il resoconto del martirio di Sattler: “La tortura cominciò al mercato dove un pezzo di lingua di Sattler fu tagliato via. Pezzi di carne furono strappati dal suo corpo e a due riprese con tenaglie roventi, e quindi venne portato su una carretta. Lungo la strada verso il luogo dell’esecuzione le tenaglie strapparono la sua carne ancora altre cinque volte. Alla piazza del mercato ed al luogo dell’esecuzione, ancora in grado di parlare, l’incrollabile Sattler pregava per i suoi persecutori. Dopo essere stato legato ad una scala con funi e spinto nel fuoco, egli ammoniva il popolo, i giudici ed il sindaco a pentirsi ed a convertirsi. Poi pregava: Onnipotente ed eterno Dio, tu sei la via e la verità; io voglio fino ad oggi testimoniare la verità e suggellarla con il mio sangue. Appena le funi intorno ai suoi polsi si furono bruciate, Sattler alzò l’indice delle sue mani per dare ai fratelli il promesso segnale che la morte di un martire era cosa sopportabile. Poi la folla, lì riunita, sentì uscire dalle sue labbra bruciate le ultime parole: Padre, raccomando il mio spirito nelle tue mani”. Era il 20 maggio 1527. Con lui furono giustiziati altri tre anabattisti. La moglie di Sattler, Margaretha, fu uccisa mediante annegamento nel fiume Neckar, due giorni dopo.

Paul Ricoeur era nato il 27 febbraio 1913 a Valence (Drôme) in una famiglia di antica tradizione protestante. Rimasto orfano dei genitori ancora bambino (la madre morì poco dopo averlo dato alla luce, il padre nel 1915, al fronte, durante la Prima Guerra mondiale), fu allevato, assieme alla sorella, dai nonni, a Rennes. Nel 1935 sposò Simone Lejas, un’amica d’infanzia, che gli darà cinque figli. Prigioniero di guerra per cinque anni nei lager tedeschi a partire dal 1940, al ritorno in patria fu tra gli animatori della rivista Esprit, tribuna dell’esistenzialismo cristiano, e amico di Emmanuel Mounier, suo fondatore. Insegnò in seguito all’Università di Strasburgo, poi alla Sorbona e presso la nuova Università di Nanterre e, a partire dal 1970, negli Stati Uniti, alle università di Chicago, Yale e Columbia, oltre che a Lovanio (Belgio), Ginevra (Svizzera) e Montréal (Canada). Morì il 20 maggio 2005, nella sua abitazione di Châtenay-Malabry (Hauts-de-Seine). Ebbe a definire l’uomo “la Gioia del Sì nella tristezza del finito”. E propose un’antropologia da cui emerge un uomo fragile, “sproporzionato” e continuamente sul baratro tra il Bene e il Male, capace di peccato e fallimenti. E tuttavia, “per quanto radicale sia il male, esso non è così profondo come la bontà. Qualunque sia il male commesso, in ogni uomo esiste una particella di bontà da tirar fuori. La religione non è fatta per condannare; è una parola che dice: ‘Tu vali più delle tue azioni’. Si può liberare il fondo di bontà che è in ciascuno di noi se si accetta d’essere strutturati dai grandi simboli che sono alla base delle grandi religioni”.

I testi che la liturgia odierna odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.14, 19-28; Salmo 145; Vangelo di Giovanni, cap.14, 27-31a.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, lasciandovi al brano di un’intervista concessa da Paul Ricoeur a Bertrand Révillon, apparsa sulla rivista francese Panorama n.340 (1999), e pubblicata, in traduzione italiana, con il titolo “Dio non è onnipotente” nel libro “La logica di Gesù” (Edizioni Qiqajon Comunit`di Bose). È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Essere testimone dell’evangelo è innanzi tutto una scelta di vita, e non c’è bisogno di essere credenti per dirlo. Con Kant posso affermare che il modello dell’uomo gradito a Dio e che dona la sua vita per gli altri è Gesù in croce. Ma poi bisogna approfondire il significato che è stato attribuito a questa storia esemplare, che potrebbe essere paragonabile a quella di un saggio, come Socrate, ad esempio. Ciò che rende Gesù differente da Socrate è il fatto che la chiesa ha letto la sua storia come quella di Dio in persona, che diventa “niente”. Questa kenosi, questa spogliazione di Dio, costituisce allora per me, filosofo, un monito: non sono io all’origine del senso. Non posso farmi carico del problema del fondamento ultimo, e a partire da questo fatto mi impegno in una comunità storica di interpretazione, con tutte le varianti storiche di queste interpretazioni. Quindi il tipo di coinvolgimento che posso avere a livello prettamente locale in una confessione cristiana costituisce un aspetto del tutto particolare, singolare, empirico del caso: un caso assunto e trasformato in progetto di vita da una scelta continua. Ma la linea direttrice, secondo me traversa anche le altre confessioni: quella cattolica, qulla ortodossa o tutte le forme marginali che sono state represse dal cristianesimo nel corso dei secoli. A partire da qui, si cerca di rendere fecondo questo caso coltivando la generosità nei confronti del pensiero degli altri, di color che hanno fatto un’altra scelta, e anche nei confronti della condizione umana, che viene considerata con benevolenza invece di essere scrutata con sospetto. Direi che per me la testimonianza dell’evangelo è lo sguardo di benevolenza sugli sforzi e sui fallimenti delle società umane, lo stesso sguardo che ha avuto Cristo sulla peccatrice. Sì, per me essere testimone dell’evangelo significa avere questa attitudine di compassione e di indulgenza per la fragilità umana. (Paul Ricoeur, La logica di Gesù).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 20 Maggio 2014ultima modifica: 2014-05-20T22:08:35+02:00da fraternidade
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