Giorno per giorno – 16 Maggio 2014

Carissimi,
“Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” (Gv 14, 1-3). Siamo alle prime battute del lungo discorso d’addio, che l’evangelista Giovanni pone nel contesto dell’ultima cena, subito dopo l’annuncio del tradimento di Giuda e del rinnegamento di Pietro. E, stasera, ci dicevamo che è come se Gesù si rivolgesse a noi, avvertendoci: guardate che succederà questo e quest’altro, e voi, che oggi vi sentite tanto sicuri, verrete meno, mi tradirete, butterete il mio vangelo al macero, violerete le vostre promesse di amicizia e fedeltà, è tutto già previsto, che volete farci? E, tuttavia, non turbatevi, né oggi, né quando accadrà, o, meglio ancora, quando vi renderete conto dell’enormità che avete commesso. Io verrò a cercarvi. Vi riporterò a casa, che non è ancora il cielo, ma siete voi stessi, resi di nuovo figli, abitati da me e dal Padre (cf Gv 14, 23). Al servizio del Regno. E le case saranno tante, quanti siete voi, ciascuno con i suoi doni e carismi, liberamente e generosamente distribuiti dallo Spirito, messi finalmente da voi al servizio della causa dell’unità, della fraternità e della pace.

Il calendario ci porta anche le memorie di Teodoro di Tabennesi, monaco, e di Teodosio delle Grotte di Kiev, fondatore della vita cenobitica in Russia.

Teodoro era nato verso il 314 da una ricca famiglia a Shne, in Egitto. Si racconta che, quattordicenne, tornando a casa da scuola, vedendo la famiglia riunita a banchettare, fu colpito da un pensiero improvviso: “Se ti perdi dietro a questi cibi e a questi vini, non conoscerai mai l’allegria vera della vita di Dio”. Il giovane si ritirò allora in un angolo tranquillo della casa, si prostrò a terra e, piangendo, disse: “Signor mio Gesù Cristo, tu sai che non desidero nulla, ma solo te e la tua grande misericordia che amo”. Il giorno seguente lasciò la sua casa e la sua città e si recò in monastero a Tabennesi, dove Pacomio (lo abbiamo ricordato ieri) aveva dato vita alla prima comunità monastica in terra d’Egitto. Pacomio fece di lui, ben presto, il suo discepolo prediletto, ma questo non gli evitò di dover combattere per molti anni la tentazione dell’orgoglio e del potere, che accompagnò da subito il suo radicalismo ascetico. Pacomio percepì la sua fragilità e non lo volle perciò a succedergli nell’ufficio di abate. Solo dopo la morte di quello, il monaco Orsiesi, che gli era subentrato, non riuscendo a mantenere l’unità nella comunità lacerata da antagonismi e divisioni, chiese a Teodoro di prendere il suo posto. Cosa che egli fece, mettendo a frutto la lezione dell’umiltà e della mitezza appresa dal suo maestro. Mantenne questo incarico dal 350 al 368, anno della sua morte. Teodoro è definito dalla liturgia “il santificato”, per mettere in rilievo le difficoltà incontrate e il lungo cammino che gli fu necessario per arrivare a vivere in conformità con l’Evangelo. Il che ci consola non poco.

Teodosio era nato nel 1029 in una famiglia benestante di Vasilev, nelle regione di Kiev, in una famiglia benestante. Ancor giovane, desideroso di abbracciare la vita religiosa, si era unito ad Antonio (cf il 23 luglio), un santo monaco che, sull’esempio degli antichi padri del deserto, era andato a vivere in una grotta sulle colline nei pressi della città di Kiev, ed era così divenuto uno dei suoi primi discepoli. Quando Antonio decise di stabilirsi in una grotta ancora più lontana, in completa solitudine, separato anche dai suoi discepoli, Teodosio trascorse alcuni anni sotto il governo spirituale del suo successore l’egumeno Barlaam. Nel 1062, tuttavia, egli stesso divenne egumeno della comunità monastica. Questa poi, con l’incremento del numero dei monaci, aveva visto aumentare anche donazioni, possedimenti e costruzioni. Per organizzare più adeguatamente la vita del monastero, Teodosio fece tradurre e adottò la regola di S. Teodosio Studita, che da allora reggerà tutta la vita cenobitica del monachesimo russo. Guidato per tutta la vita dai princípi di un ascetismo austero, e animato da uno spirito di semplicità e di amore per la povertà, il lavoro e la preghiera, Teodosio morì il 3 maggio 1074 (data del calendario giuliano, corrispondente al 16 maggio del nostro calendario). Fu canonizzato nel 1108.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.13, 26-33; Salmo 2; Vangelo di Giovanni, cap.14, 1-6.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Per stasera è tutto. Noi, congedandoci, vi lasciamo alla lettura di un brano della “Vita copta di Pacomio e Teodoro”, scritta da un anonimo monaco che ebbe la sorte di conoscere entrambi. È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Avevano una vecchia barca tutta rovinata. Nostro padre Teodoro la fece riparare, per ordine del nostro padre Orsiesi. Quando giunse il momento di vararla, i fratelli si misero a gridare, come carrettieri che disputano tra loro, dicendo gli uni: «Tocca a noi attaccare i nostri cavalli», gli altri: «No, tocca a noi». Nostro padre Teodoro, al vedere l’alterco e la grande confusione, alzò la voce e proibì loro di disputare per una faccenda inutile alle loro anime, ma essi non lo ascoltarono. Allora, molto triste, Teodoro tacque, rimettendosi completamente al Signore. Si allontanò e si mise a sedere, in attesa che avessero finito di mettere la barca in acqua. Poi, sedutosi, rivolse loro la parola di Dio fino a sera, e fece la seguente dichiarazione: «Quando voi facevate tutto quel gran chiasso, non vi ho più guardati, soprattutto a causa dei secolari che ci osservavano e che ascoltavano le vostre grida. Ora, se volete perseverare in questa strada, piangerete, sarete afflitti e sospirerete, in compenso del piacere che vi siete presi. E che nessuno, sentendomi parlare, dica nella sua superficialità: Se morirai, forse che per questo il mondo diventerà deserto? In verità, sappiamo tutti che Dio non abbandona le sue creature. Il Signore d’altronde sa che, se vorrete perseverare in questa grande fatuità, piangerete, piangerete, e piangerete ancora. Dov’è dunque ora il timor di Dio, che si è allontanato da alcuni di voi? Non mi ascoltavate quando mi sgolavo a forza di gridare? Ebbene, fratelli miei, che potremo fare con una barca, con un carro, o con qualunque altra cosa di questo mondo, in cui non c’è profitto per l’anima? Sono cose temporanee e destinate a perire, se viene a perire l’anima nostra, inebriata di queste vanità! Che differenza c’è tra noi e quelli che, a Choreb, si divertirono davanti al vitello, mangiarono, bevvero e l’adorarono, abbandonando il Dio che li aveva creati? Del resto, se non mi obbedite e non accettate il mio insegnamento, ci pensi Dio: qual è, infatti, il mio potere?».Dopo che Teodoro ebbe parlato, la maggior parte dei fratelli si mise a piangere, sapendo quale cura si desse per il bene e la salvezza delle anime. Poi egli si alzò e pregò molto tristemente, a causa dei fratelli che trascuravano la salvezza della propria anima. Ciascuno tornò alla propria dimora, avendone tratto un gran vantaggio per sé. (Vita copta di Pacomio e Teodosio, 192).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Maggio 2014ultima modifica: 2014-05-16T22:02:32+02:00da fraternidade
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