Giorno per giorno – 23 Marzo 2014

Carissimi,
“Le dice Gesù: Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui. Gli risponde la donna: Io non ho marito. Le dice Gesù: Hai detto bene: Io non ho marito. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero” (Gv 4, 16-18). Fosse stato un profeta come si deve, a quella donna, eretica per giunta, dopo aver messo a nudo la sua condizione irregolare, gliele avrebbe cantate come si deve. Ma Lui non era un profeta, Lui era il figlio di Dio. Che si incanta davanti ad ogni creatura. Sia come sia e quante ne possa aver combinate. A Gesù non sarebbe mai venuto in mente di redigere qualcosa come un codice di diritto canonico.Visto che è solo una brutta prosa, che nessuno riuscirebbe a trasporre in poesia. Che importa a Lui dei cinque mariti della donna che ha incontrato, o di quello che è solo un amante temporaneo? Che gli importa di quale religione sia, che chiesa frequenti? In quale Dio creda o non creda? Quella è un’occasione irripetibile, più per Lui che per lei, che lì per lì mica può immaginarsi chi sia il tipo che le sta davanti. Lo saprà poi. Quante volte la Chiesa sbaglia, quante volte sbagliamo. Se gli altri non ci ascoltano più e, sempre più spesso, smettono di credere, è perché il Dio che gli sventoliamo in faccia non gli dice proprio nulla. Ma questo è un brutto segno, vuol dire che neppure noi abbiamo davvero incontrato ancora, al “pozzo” dove eravamo o siamo abituati ad andare per saziare le seti che ci portiamo dentro, il Dio di Gesù. Vuol dire che non siamo stati catturati dal suo sorriso, dal suo “briccone(a) che non sei altro!”, senza nessuna predica di troppo. Perché, in questo caso, saremmo divenuti i missionari dell’allegria e le nostre liturgie sarebbero sempre, solo e per tutti una festa. Non un obbligo, o un’abitudine, da cui non si vede l’ora di scappare. Beh, stamattina, ci dicevano, che la nostra preghiera di oggi potrebbe essere: Torna, una volta di più, al nostro pozzo, Signore. L’altra volta, non ti abbiamo prestato attenzione, non ti abbiamo dato retta, non ti abbiamo risposto quando ci hai chiesto da bere. Ed era di noi che avevi sete. Né hai avuto modo di dirci della tua acqua, che sazia una volta per tutte ogni nostra sete. Dietro alla quale c’è solo l’inconsapevole desiderio di te. Torna, Signore, un’altra volta. E così sia.

I testi che la liturgia di questa 3ª Domenica di Quaresima propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Esodo, cap. 17,3-7; Salmo 95; Lettera ai Romani, cap. 5,1-2.5-8; Vangelo di Giovanni, cap. 4, 5-42.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi, il nostro calendario ci consegna le memorie di Turibio di Mongrovejo, pastore e difensore degli indios, e di Nikolai Berdyaev, filosofo e pensatore religioso.

Turibio Alfonso di Mongrovejo era nato nel 1538 da una nobile famiglia a Leon, in Spagna. Da giovane aveva studiato Diritto canonico all’Università di Salamanca. Quando nel 1580 papa Gregorio XIII lo volle vescovo di Ciudad de los Reyes (l’attuale Lima), Turibio non era neppure prete. Ricevette quindi tutti assieme gli ordini previsti per essere consacrato. In quel tempo la diocesi di Lima era assai grande e importante e la sua giurisdizione si estendeva su gran parte del territorio dell’America Latina. La situazione del Paese che incontrò al suo arrivo gli mostrò in tutta la sua gravità i danni arrecati dalla conquista, soprattutto per quanto riguardava i rapporti instaurati dai coloni bianchi con le popolazioni indigene e con gli schiavi africani. Sicché Turibio ritenne doveroso denunciare tale stato di cose e favorire una migliore qualità del clero, richiamando con severità e durezza quei preti che, per ignoranza o opportunismo, avevano preferito porsi al servizio dei conquistadores piuttosto che testimoniare con coraggio la Parola di Dio. Si premurò di imparare le lingue locali, per comunicare direttamente con la sua gente, ascoltarne le richieste ed i bisogni, e poi evangelizzarla nelle forme ritenute più rispettose della sua dignità. Alieno alle cerimonie di corte e ai rituali sontuosi, che gli sottraevano tempo prezioso al contatto diretto con i fedeli, compì tre lunghissime visite pastorali in tutto il territorio della diocesi. Fu proprio durante il terzo di questi viaggi che Turibio cadde ammalato nel nord del Perù, incontrando la morte a Saña, il 23 marzo 1606, Giovedì santo.

Nikolai Alexandrovich Berdyaev era nato in una famiglia aristocratica il 6 marzo 1874 a Kiev (Ucraina). Educato in un collegio militare, era passato successivamente all’Università di Kiev, dove prese progressivamente coscienza dell’ingiustizia che regnava nella società. Aderì al marxismo, impegnandosi nelle attività dei movimenti clandestini rivoluzionari. Condannato a tre anni di esilio, li scontò nella provincia di Vologda, dove potè comunque proseguire i suoi studi. Aiutato dalla lettura di Dostoevsky, scoprì i limiti della filosofia materialista, e al suo ritorno a Kiev abbracciò il cristianesimo ortodosso. Ma non ebbe vita tranquilla. Animato com’era dall’esigenza di un radicale cambiamento sociale e profondamente deluso dall’identificazione della gerarchia ortodossa con il potere zarista, nel 1913 scrisse un articolo in cui denunciava apertamente tale atteggiamento del Santo Sinodo. Questo gli valse l’arresto, per essere incorso nel reato di bestemmia. Solo lo scoppio della guerra e il suo esito rivoluzionario gli evitarono la condanna all’esilio perpetuo in Siberia che tale accusa prevedeva. Il regime bolscevico gli offrì una cattedra di filosofia all’Università di Mosca, ma, conoscendo il nostro, la cosa non poteva durare. Dopo essere stato imprigionato due volte, nel 1922 fu arrestato e bandito dall’Unione Sovietica, sotto pena di morte. Si stabilì prima a Berlino, dove fondò un’Accademia Russa di Filosofia e Religione, e, successivamente a Clamart, nei pressi di Parigi, dove insegnò in un’istituzione analoga, partecipando a dibattiti ecumenici e offrendo preziosi contributi sulle tematiche filosofiche e religiose. Berdyaev seppe guardare con lucidità al processo di disumanizzazione che il materialismo, nelle sue varianti capitalista e collettivista, aveva innestato. Tuttavia, il peggio era per lui rappresentato dalla resa del cristianesimo allo spirito “borghese”, che si dà là dove le chiese sostituiscono la sicurezza dell’istituzione alla proposta sovversiva del “regno di Dio”, con cui Cristo sfida la storia di ogni tempo. Berdyaev morì il 23 marzo 1948.

Ieri pomeriggio si è tenuta a São Paulo, la seconda edizione della “Marcia della Famiglia con Dio per la libertà”. La prima si era tenuta cinquantanni fa, lungo lo stesso percorso, da piazza della Repubblica alla Cattedrale, e aveva visto riunite, dicono le cronache, centomila persone, organizzzate dall’allora prima dama dello Stato, precedendo di pochi giorni il golpe, che avrebbe deposto il presidente João Goulart e avrebbe regalato al Brasile i ventanni di dittatura militare. Quella di ieri, grazie a Dio, si è risolta in un fiasco solenne, che ha visto la presenza di solo poche centinaia di persone, militari della riserva e i loro famigliari, skinheads e altri ragazzotti aderenti alle diverse sigle della destra estrema, organizzazioni massoniche, e persino due seminaristi lefebvriani a bestemmiare rosari. Tutti, organizzati, senza troppo successo, dalle reti sociali, scandivano slogan, del tipo: patria, fede e famiglia. E invocavano isterici un nuovo golpe militare. Poi, dato che nessuno li ha presi sul serio, quando si è fatto tardi, se ne sono tornati, un po’ seccati, a casa.

Anche per stasera è tutto. Noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura il brano di un articolo di Nikolai Alexandrovich Berdyaev dal titolo “La verità dell’ortodossia”, che troviamo nel sito di Ortodossia cristiana. E che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’Ortodossia ha una natura cosmica che non è sufficientemente espressa né dal Cattolicesimo né dal Protestantesimo. La Cristianità occidentale è principalmente antropologica. Invece la Chiesa è anche il cosmos cristianizzato; in essa l’intero mondo creato è soggetto all’effetto della grazia dello Spirito Santo. L’apparizione di Cristo ha un significato cosmico, cosmogonico; è e significa una nuova creazione, un nuovo giorno della creazione del mondo. La comprensione giuridica della redenzione, come se fosse un processo giuridico avvenuto tra Dio e l’uomo è piuttosto estraneo all’Ortodossia. Essa ha una comprensione ontologica e cosmica dell’apparizione di una nuova creazione e di un’umanità rinnovata. Ciò che soggiace a questa visione è l’idea centrale e corretta di theosis, di divinizzazione dell’uomo e dell’intero mondo creato. La salvezza non è che la deificazione (theosis). L’intero mondo creato, l’intero cosmo è soggetto alla deificazione. La salvezza è l’illuminazione e la trasfigurazione della creazione, non una giustificazione giuridica. L’Ortodossia si volge al mistero della Risurrezione come al sommo e finale scopo del Cristianesimo. È per questo che la festa centrale nella vita della Chiesa ortodossa è la festa di Pasqua, la Resurrezione gloriosa di Cristo. I raggi lucenti della Resurrezione pervadono il mondo ortodosso. La festa della Resurrezione ha un incommensurabile e grande significato più nella liturgia ortodossa che nel Cattolicesimo nel quale l’apice è visto nella festa della nascita di Cristo. Così mentre nel Cattolicesimo s’incontra principalmente il Cristo crocefisso, nell’Ortodossia si vede il Cristo risorto. Il percorso della Croce è il percorso dell’uomo ma esso porta l’uomo stesso e il resto del mondo verso la Resurrezione. (Nikolai Alexandrovich Berdyaev, La Verità dell’Ortodossia).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Marzo 2014ultima modifica: 2014-03-23T22:50:07+01:00da fraternidade
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