Giorno per giorno – 21 Marzo 2014

Carissimi,
“Da ultimo [il padrone della vigna] mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto per mio figlio! Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità! Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero” (Mt 21, 37-39). È una parabola piena di violenza quella che la liturgia ci ha proposto oggi. Al punto che, ad una prima lettura, si fatica a rintracciare in essa la buona notizia che il Vangelo vuol essere. La vigna, ci dicevamo stasera nella chiesetta dell’Aparecida, può essere il popolo, o anche la terra, il creato. I contadini che l’hanno ricevuta in affitto sono le autorità – il sistema – che dovrebbero prendersene cura e di cui sono chiamati a rispondere all’unico legittimo proprietario, che è Dio. I frutti che egli esige sono quelli che garantiscono il portare ogni volta a buon fine il suo progetto di vita per tutti. Ma, succede spesso che coloro che sono solo preposti alla cura della vigna, se ne arroghino la proprietà e decidano di disporne a piacimento, a loro esclusivo vantaggio, sfruttando, opprimendo, calpestando i diritti di quanti costituiscono invece la ragione d’essere e d’agire del buon Dio. Il quale lungo i secoli, in ogni tempo e luogo, si è fatto ripetutamente sentire attraverso la voce dei suoi profeti, per denunciare questo stato di cose, e, alla fine, ha deciso di mandare il suo proprio Figlio, convinto che, almeno Lui, sarebbe stato ascoltato. Ma figurarsi! Ucciso una prima volta, non si è mai smesso di mandarlo a morte, in ciò che egli significa: il principio del servizio, della dedizione e della cura nei confronti dell’altro. E, proprio, in primo luogo nelle società che si pretendono cristiane, che, negando quel principio, bestemmiano e negano Dio. E tuttavia resta vera e valida la promessa: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi” (Mt 21, 42). Noi siamo chiamati a inverarla, a partire dai nostri pensieri, dalla nostra preghiera, dai nostri comportamenti e azioni. Sì, certo, con l’aiuto della sua grazia.

Il 21 marzo, che segna per voi l’entrata nella primavera, e per noi l’inizio dell’autunno, ci porta la memoria del Transito di Benedetto da Norcia, padre del monachesimo occidentale. Noi, seguendo la maggior parte delle Chiese, ne ricorderemo, tuttavia, la figura, l’11 di Luglio. Oggi il martirologio latinoamericano ci porta la memoria di Luz Marina Valencia, martire per essere religiosa in difesa degli ultimi e donna. Con la Chiesa anglicana ricordiamo poi Thomas Cranmer, martire della Riforma.

Luz Marina Valencia Triviño era nata a Pasca, nel Dipartimento di Cundinamarca (Colombia), il 25 luglio 1952, figlia maggiore di Luis Eduardo Valencia e di María Dolores Triviño. Chiamata alla vita religiosa, entrò nella congregazione delle Missionarie dell’Immacolata Concezione, presso cui emise i suoi voti solenni nel 1979. Dopo gli studi in Missiologia alla Gregoriana di Roma, fu inviata, nell’agosto del 1986, in Messico, nello stato di Guerrero, diocesi di Acapulco, per aiutare nella creazione di comunità di base e nella coscientizzazione della popolazione più indigente. Con due sorelle della congregazione integrò una equipe pastorale che, assieme ai sacerdoti Oblati di Maria Immacolata, prestava servizio nei ventisei villaggi del municipio di Cuajinicuilapa. Il venerdì 20 marzo 1987 l’equipe si recò in missione a Gloria Escondida, una comunità di quindici famiglie poverissime, insediate sulle terra di una ricca famiglia di latifondisti. Lì riunirono la gente del posto, per leggere la parola di Dio nel Vangelo e nella vita, e celebrare l’Eucaristia. La sera, Luz Marina fu ad alloggiare nella casetta di una donna, che vi abitava con i suoi sei figli. Quand’era già notte, giunsero nei pressi della casa quattro uomini armati che, minacciando i presenti, entrarono e trascinarono fuori la suora, che gridava, invocando aiuto. La padrona di casa, dall’uscio, le diceva tra le lacrime: vai, madrecita, vai, se no ti ammazzano. Giunti alla staccionata che circondava il terreno, le imposero di saltarla, ma lei rifiutò, allora la colpirono ripetutamente, le furono addosso, la violentarono e poi le spararono. Ferita, riuscì a strisciare fino alla casa, raccontó ciò che aveva dovuto subire. Lì, a quell’ora della notte, non c’era modo di fare nulla. Anche per la paura che gli uomini fossero ancora nei paraggi. La suora intanto perdeva sangue, ma non cessava di ringraziare la gente di casa per essere così buona e gentile con lei, poi pregava per i suoi assalitori: Mio Dio, perdonali. Quando cominciò ad albeggiare, abbracciando la sua ospite, le disse che dovevano essere coraggiose, poi, sentendosi morire, aggiunse: adesso, forse, non c’è più pericolo, potete chiamare il prete. Andarono, ma quando questi arrivò, alle sei del mattino, Luz Marina era già morta. Era il 21 marzo 1987. Sulla croce della sua tomba c’è scritto: “Se il chicco di grano caduto a terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. E, per cominciare, il frutto della conversione al dolore dei più poveri, all’oppressione e all’emarginazione degli ultimi, alla tragedia delle donne, da troppo tempo vittime della sopraffazione e della violenza del maschio. Sotto ogni cielo.

Thomas Cranmer era nato il 2 luglio 1489 a Aslockton, nella contea inglese del Nottinghamshire. Dopo gli studi a Cambridge, nel Jesus College, il giovane ottenne, nel 1510, il titolo di Maestro d’arti liberali, divenendo professore dello stesso collegio. Eletto nel 1533 arcivescovo di Canterbury, nell’annosa diatriba che opponeva in quegli anni la casa reale inglese alla Chiesa di Roma, circa la legittimità dello scioglimento del matrimonio di Enrico VIII e di Caterina d’Aragona, Cranmer si schierò a favore del re, sulla scia delle opinioni espresse dalla maggioranza delle principali università europee. Il papa reagì con la scomunica del re, di Anna Bolena, la sua nuova sposa, e dello stesso primate inglese. Negli anni successivi, Cranmer continuò a mostrare una forse eccessiva arrendevolezza nei confronti dei desideri di Enrico VIII: fu, pur con qualche titubanza, favorevole alla condanna di Anna Bolena, al divorzio da Anna di Cleves (che comportò la condanna al patibolo del Lord Cancelliere Thomas Cromwell), e al processo ed esecuzione della quarta moglie, Caterina Howard. Dopo la morte di Enrico VIII, durante il regno di Edoardo VI, Cranmer curò la pubblicazione del Book of Common Prayer (il Libro della Preghiera Comune), compilato per semplificare i libri di preghiere e di funzioni religiose in latino e risalenti al periodo medioevale. Coinvolto nella lotta per la successione al re Eduardo VI, Cranmer appoggiò, sia pur controvoglia, le pretese della cugina del re, Lady Jane Grey. Ma, sfortunatamente per lui, salì al trono la figlia di Enrico VIII e Caterina d’Aragona, la cattolica Maria Tudor. La cui vendetta fu pronta e dura. Accusato di tradimento, l’arcivescovo fu condannato a morte. Se la sentenza non venne eseguita subito, fu solo perché, nel frattempo, Cranmer fu raggiunto anche dall’accusa di eresia. Durante il processo, nella speranza di salvarsi la vita, arrivò a firmare un’abiura scritta, accettando il dogma della transustanziazione e la suprema autorità del Papa sulla Chiesa Inglese, ma fu ugualmente condannato. Il 21 marzo 1556, dopo aver ritrattato la sua precedente abiura, Cranmer si diresse al rogo preparato per lui, ad Oxford, con calma e coraggio e, prima che le fiamme lo investissero, stese la mano destra, dicendo: “Giacché la mia mano ha recato offesa, scrivendo il contrario di quello che sentiva il mio cuore, sarà la mia mano la prima ad essere punita”. La Chiesa d’Inghilterra lo ricorda come martire.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.37, 3-4. 12-13a.17b-28; Salmo 105; Vangelo di Matteo, cap.21, 33-43; 45-46.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

Oggi ricorre la Giornata internazionale contro il razzismo (promossa dall’Onu nel ricordo del massacro avvenuto a Sharpeville, in Sudafrica, il 21 marzo 1960). Siamo sollecitati a chiederci quanto il linguaggio, i discorsi, gli atteggiamenti e le categorie mentali che ci caratterizzano in casa, a scuola, sul posto di lavoro, o altrove, diano fiato a luoghi comuni, pregiudizi, diffidenza e disprezzo, contribuendo ad erigere nuovi muri di separazione, di intolleranza e di violenza. E per chiederci cosa potremmo fare per cambiare noi stessi e il brutto mondo che ci costruiamo intorno.

Il 19 novembre 2011, l’ONU ha scelto di fare del 21 marzo la Giornata Mondiale sulla sindrome di Down. Che molte associazioni nazionali celebravano già da anni per conto loro. La data è stata scelta perché il 21 è il numero della coppia cromosomica, presente all’interno delle cellule, che caratterizza la sindrome di Down e marzo è il terzo mese dell’anno, proprio come il terzo cromosoma in più – tre invece di due – all’interno della coppia. Beh, al di là della matematica, noi sogniamo il giorno in cui la raggiunta consapevolezza da parte di tutti renda inutile la giornata di riflessione e noi si goda, semplicemente, l’amicizia dei nostri amici e amiche. Come, a dire il vero, succede già anche ora.

Con una risoluzione adottata il 21 dicembre 2012, l’Assemblea Generale dell’ONU ha istituito la Giornata Mondiale delle Foreste, fissandone la celebrazione il 21 marzo di ogni anno. La ricorrenza ha lo scopo di evidenziare e far conoscere meglio l’importanza di tutti i tipi di foreste e di alberi, in vista di una gestione sostenibile di questo bene comune, a vantaggio delle attuali e delle future generazioni. Intende a tal fine incentivare campagne di riforestazione, di informazione e sensibilizzazione ambientale e di preservazione delle risorse naturali, nello spirito dell’Anno Internazionale delle Foreste celebrato nel 2011.

Forse è superfluo dire che, delle memorie di questa giornata, quella che ci ha colpito di più è la testimonianza di Luz Marina Valencia, con la sua semplicità, il suo coraggio, la sua fedeltà e la sua dedizione, vissuta e consumata in un’oscura periferia del mondo e della storia. Vangelo vero, buona notizia, per noi e per tanti. Anche, o forse proprio perché, ci fa vergognare della mediocrità di cui, così spesso, diamo prova noi. La vergogna è un sentimento che può preludere il cambiamento. O la conversione, se vogliamo usare una parola grossa, che a volte ci fa paura. Dell’evangelo-buona notizia che rappresentano per noi i martiri di ogni tempo scrive Jon Sobrino nel suo “La fede in Gesù Cristo. Saggio a partire dalle vittime” (Cittadella Editrice), di cui, nel congedarci, vi proponiamo un brano come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La morte di Gesù e dei martiri d’oggi è eu-aggelion, benché in senso diverso da quello dell’interpretazione soteriologica. C’è qualcosa di buono in un Martin Luther King, che liberamente accetta la morte per difendere la causa dei suoi fratelli oppressi. In un Alfred Delp e in un Dietrich Bonhoeffer, assassinati per aver difeso l’umanità contro il nazismo, fermi e affettuosi nei loro giorni di prigionia e nei processi contro di loro. In un Ignacio Ellacuría che ritorna dalla Spagna a El Salvador, consapevole del pericolo che corre, che rimane nella sua abitazione, anche se è stata perquisita, e in seguito è assassinato. In Ita, Maura, Jean e Dorothy, che sono assassinate semplicemente per aver accompagnato fedelmente i poveri. È paradossale, ma vero; anche nel martirio con cui si rende testimonianza dell’ultimità dell’amore, della verità e della giustizia, e nel modo di viverlo con libertà, senza odio, con speranza, c’è molta buona notizia. Soltanto che ciò, normalmente, si percepisce solamente in situazioni storiche di persecuzione. Già il Nuovo Testamento ne dà conto. Il libro dell’Apocalisse, scritto in un tempo di persecuzione, confessa Gesù come “signore dei signori” , ma lo confessa soprattutto come il martire. Gesù è “l’agnello sgozzato” ed è il “testimone fedele” (Ap 1, 5). In un mondo come il nostro, pervaso di bugia e di crudeltà, i martiri dicono che la verità e l’amore, la fermezza e la fedeltà, l’amore fino alla fine sono possibili. E ciò è eu-aggelion. (Jon Sobrino, La fede in Gesù Cristo. Saggio a partire dalle vittime).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Marzo 2014ultima modifica: 2014-03-21T22:36:47+01:00da fraternidade
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