Giorno per giorno – 19 Marzo 2014

Carissimi,
“Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo. Ed egli rispose loro: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro” (Lc 2, 48-50). Al compimento del dodicesimo anno di età, entrando così nel tredicesimo, l’adolescente ebreo può celebrare (e poi obbligarsi a vivere) il suo bar mitzvah. Diventa cioè “figlio del precetto”, entrando così a far parte, a pieno titolo e responsabilmente, del popolo dell’alleanza. Qualcosa del genere è (dovrebbe essere) per i cristiani il sacramento della Confermazione. Anche Gesù vi si preparò, fu preparato verosimilmente da Giuseppe e, venuto il suo giorno, fu chiamato a leggere, per la prima volta, la Torah in pubblico, e gli scribi ne misero alla prova la capacità di interpretarla. Il pellegrinaggio a Gerusalemme in occasione della Pasqua di quell’anno, ebbe così per la famigliola di Nazareth il significato aggiuntivo, di celebrare il passaggio alla maggior età di Gesù. E cominciarono le sorprese. O almeno vi fu un primo assaggio delle sorprese che quel ragazzo avrebbe riservato in futuro. Quello di oggi è uno dei vangeli che la liturgia della festa di san Giuseppe propone alla nostra riflessione. E noi, stasera, ci si diceva che ciò che colpisce è la presenza silenziosa di Giuseppe, che è così simile a quella del Padre, di cui fa le veci. Forse ogni padre (biologico, adottivo o spirituale che sia) dovrebbe essere così. Parlare con il suo esserci, guardare con rispetto al figlio di cui ha non la proprietà ma la semplice custodia, crescerlo, insegnargli e apprendere con lui a vivere, lasciarsi interpellare dalla differenza misteriosa che sempre ciascuno incarna, dalla Parola di Dio che ciascuno è per sé e per l’altro, insieme tentare di decifrare il mistero dell’umano convivere e spendersi in esso al meglio. Tutto questo è anche il difficile cammino di una fede (un fedele) che cammina con i piedi per terra, che non teme di lasciarsi ricordare che ciò che più conta è “occuparsi delle cose del Padre”. Nelle cose, nelle incombenze, negli impegni di ogni giorno.

La Chiesa celebra oggi la festa di Giuseppe di Nazareth, sposo di Maria, padre di Gesù secondo la legge. In questo stesso giorno, noi facciamo memoria anche di Marcel Callo, martire del totalitarismo nazista, e di don Giuseppe Diana, martire della giustizia, nella lotta alla camorra.

Le notizie dei Vangeli su Giuseppe sono molto scarne. Matteo e Luca ce ne offrono due diverse genealogie, che si ritiene rispondano più a finalità teologiche che storico-biografiche. Entrambi comunque concordano nel dirlo discendente di Davide. È detto uomo giusto, abitante a Nazaret, dove esercitava il mestiere di carpentiere. Fidanzato a Maria, nell’apprendere della sua gravidanza, pensò di rimandarla ai suoi in segreto, evitando così di denunciarla (Mt 1, 19), ma un sogno gli rivelò il progetto di Dio sul bambino che doveva nascere. A partire da quel momento Giuseppe assunse a tutti gli effettti gli obblighi della paternità nei confronti di Gesù. Il Vangelo lo descrive presente alla nascita, e lo vede recarsi con Maria e il bambino al tempio di Gerusalemme, per compiervi le pratiche prescritte dopo i quaranta giorni del parto. Dopo di che, secondo Luca, la famiglia fece ritorno a Nazaret. Matteo inserisce invece il racconto del massacro dei bambini ordinato da Erode e la conseguente fuga in Egitto. Giuseppe è colui che “pone in salvo” il Salvatore. Tornata in patria, alla morte di Erode, la famiglia si stabilì nuovamente a Nazaret. Luca menziona ancora la presenza di Giuseppe durante un pellegrinaggio a Gerusalemme con Maria e Gesù, ormai adolescente (Lc 2, 41-50). Aggiunge poi che al ritorno a Nazaret, egli “stava loro sottomesso” (Lc 2, 51). Poi più nulla. Quando Gesù, intorno ai trent’anni, darà inizio alla sua vita pubblica, si presume che Giuseppe fosse già morto, assistito nel trapasso, come vuole la tradizione, da Maria e da suo Figlio. Il che lo farà patrono della buona morte. Oltre che della famiglia, della chiesa, dei lavoratori.

Marcel Callo era nato il 6 dicembre 1921 a Rennes in Francia, secondo di nove figli di una modesta famiglia operaia, profondamente cristiana. Dodicenne, aveva aderito alla “crociata eucaristica”, un movimento che si proponeva di insegnare a bambini e adolescenti a fare della loro vita una preghiera continua, facendo propria la massima “prega, comunicati, sacrificati, sii apostolo”. Entrò anche nel movimento scout, che però lasciò dopo che, a tredici anni, prese a lavorare come apprendista in una tipografia. Cominciò allora la sua militanza nella JOC, la Gioventù operaia cristiana, cui si dedicherà con passione ed entusiasmo, divenendo in seguito presidente della sua sezione. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e l’occupazione nazista della Francia, l’attività delle associazioni fu proibita, così anche per la JOC cominciò un tempo di clandestinità. Dopo il bombardamento di Rennes, l’8 marzo 1943, durante il quale morì sua sorella Marie-Madeleine, il giovane Marcel, che si era da poco fidanzato con Marguerite, una compagna della JOC, ricevette l’ingiunzione di partire per il campo di lavoro di Zelha-Melhis in Turingia, nel quadro del STO, il Servizio di lavoro obbligatorio, organizzato dalle forze tedesche d’occupazione. Giunto a destinazione, dopo un primo momento di angoscia e scoraggiamento, assieme ad altri jocisti tedeschi e al cappellano, prese ad organizzare un gruppo clandestino di vita cristiana. Scoperto, fu arrestato coi suoi compagni il 19 marzo 1944, denunciato e poi condannato con la seguente motivazione: “Per il suo attivismo cattolico presso i suoi compagni del Servizio del Lavoro Obbligatorio, si è dimostrato pericoloso per il regime nazista e per la sicurezza del popolo tedesco”. Rinchiuso nel carcere di Gotha, fu trasferito poi nel campo di Flossenbürg, e infine il 4 ottobre 1944, internato nel famigerato campo di concentramento a Mauthausen e destinato poi il 7 novembre al vicino campo di Güssen II, dove il 19 marzo 1945 morì, distrutto dal lavoro massacrante e da privazioni di ogni genere, senza cessare tuttavia fino all’ultimo di sostenere e animare i suoi compagni di sventura.

Giuseppe Diana era nato a Casal di Principe (Caserta) il 4 luglio 1958. Dopo gli studi di filosofia e teologia, in seminario, fu ordinato sacerdote, nel 1982. Entrato a far parte dell’Agesci, assimilò da subito lo spirito e gli ideali del movimento scoutista, ricoprendo in esso, durante gli anni, diversi incarichi. Nel settembre 1989 divenne parroco di San Nicola di Bari a Casal di Principe, dove rimase fino alla morte e dove seppe coinvolgere un gran numero di giovani nella lotta contro ogni forma di sfruttamento, di violenza e di esclusione, e a favore di una società basata sulla giustizia, l’accoglienza, la solidarietà e il dialogo, soprattutto nei confronti di disabili e immigrati. Questo significò la denuncia delle attività criminose della camorra e la ribellione al clima di violenza instaurato sul territorio dai clan della zona. Il 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, Don Giuseppe Diana fu ucciso con quattro colpi di arma da fuoco, nei locali della sua parrocchia, mentre si recava a celebrare messa.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:
2° Libro di Samuele, cap.7, 4-5s.12-14a.16; Salmo 89; Lettera ai Romani, cap.4, 13. 16-18.22; Vangelo di Luca, cap. 2, 41-51.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.
È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di don Tonino Bello, tratto dalla sua “La carezza di Dio. Lettera a Giuseppe”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ora che siamo rimasti soli, vuoi spiegarmi, Giuseppe, come hai accolto il mistero di quella culla? E perché mai tu, l’uomo dei sogni, torni ogni tanto verso quel piccolo nido di legno, e trattieni il respiro, e tendi l’orecchio illudendoti di ascoltare un vagito? Oh, figlio della casa di Davide, raffrena la tua impazienza: il bambino che sta per nascere è sì un Dio gratuito, tanto gratuito che spunterà come rugiada sul vello, ma tu devi attendere ancora, e anche la culla deve attendere; anzi, non rimanerci male se ti dico che quel nido, costruito da te con tanta tenerezza, resterà vuoto per sempre: sarà troppo piccolo per tuo figlio, quando egli, dopo tanto peregrinare, metterà piede finalmente nella tua casa. Da ben altro legno del resto saranno cullate le membra del Dio fatto uomo! Ma stavolta non spetta a te costruirlo! Vedo che la notizia non ti turba granché. Hai così tanto imparato dalla gratuità purissima di Dio, da non provare il minimo sgomento al pensiero che la tua fatica non sarà compensata neppure dalla soddisfazione di sentirti utile a qualcosa. Culla o greppia, non t’importa. Non pretendi neppure contropartite affettive e continui ad attendere come dono, come semplice dono, da nulla provocato, se non dalla sua stessa liberalità, il tuo imprevedibile Dio: O cieli piovete dall’alto, o nubi mandateci il Santo, o terra, apriti o terra e germina il Salvatore. Anche la tua vita si è fatta dono. Un dono così grande, che in paragone quello filtrato dal seme corruttibile della carne, sembra appena l’acconto di un avaro. Un dono così libero che tutte le paternità messe insieme dai titolari della tua genealogia, non pareggiano il tuo diritto di chiamarti padre di Gesù. Un dono così radicale che, pur custodendo la verginità di Maria, ti fa una sola carne con lei infinitamente più di quanto non siano tutt’uno due sposi nel momento supremo dell’amore. Un dono così gioioso, che la tua contabilità non è segnata sui registri a partita doppia, contempla solo la voce in uscita. Tu non chiedi nulla per te. Neppure da Dio! Ma non per orgoglio, per sovraccarico d’amore, dai tutto senza calcolo, e non accantoni oggi frammenti oscuri di tempo, allo scopo di ritirare domani interessi di gloria per tutta l’eternità. (Don Tonino Bello, La carezza di Dio. Lettera a Giuseppe).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Marzo 2014ultima modifica: 2014-03-19T22:34:23+01:00da fraternidade
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