Giorno per giorno – 15 Ottobre 2013

Carissimi,

“Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro” (Lc 11, 39-41). Dal vangelo di oggi si può dedurre che Gesù, pur avendo l’abitudine di mangiare con pubblicani e peccatori (cf Mc 2, 15), non rifiutava di mettersi a tavola anche con giusti e religiosi (o sedicenti tali). Questo, perché era sufficientemente ecumenico e, più di tutto, gli interessava che, attraverso un dialogo paziente, ma più ancora attraverso i suoi gesti e comportamenti,  sia gli uni che gli altri arrivassero a comprendere qual’era la novità di Dio (antica, a dire il vero, quanto il mondo) che egli era venuto a comunicare. Nel caso del Vangelo di oggi, per entrare nel merito, Gesù risolve, niente meno, di commettere un peccato (gli succedeva spesso di farlo). Beh, non così grave come si potrebbe temere, ma pur sempre un peccato: quello di non lavarsi le mani prima della refezione. Che era una norma religiosa, prima che d’igiene. Sarebbe come se, partecipando alla messa in una chiesa di integralisti, non si bardasse di tutti i panni che loro prevedono, o si prendesse qualche libertà nel non seguire per filo e per segno, parola per parola – in latino, ovviamente -, tutte le indicazioni del messale. Suscitando scandalo e indignazione. Il massimo che a Lui viene di replicare, per non limitarsi a ridere, è: sciocchini. Preoccupatevi delle cose serie. Come, per esempio, di condividere i beni, la vostra vita, tutto. E ti pareva, penserebbero di ritorno quelli, il solito comunista! Per questo preferiscono la messa in latino, perché nessuno capisca il messaggio sovversivo di quel Rabbino ebreo, figlio di Dio. Ora, quanto si è detto per gli integralisti, vale, ovviamente, mutatis mutandis, per tutti noi, quando si dà, all’esteriorità, alle apparenze, alle norme, più importanza che alle intenzioni nascoste e alle scelte concrete in ordine alla carità che, sola, rende ogni cosa pura.

Oggi, il calendario ci porta la memoria di Teresa d’Avila, contemplativa e dottore della Chiesa.

15 TERESA D'AVILA.jpgTeresa de Cepeda y Ahumada nacque ad Avila, in Spagna, il 28 marzo 1515, da una famiglia di ascendenza ebraica. A vent’anni, il 2 novembre 1535, fuggì di casa per entrare nel Carmelo della sua città. Lì, la regola dell’Ordine era praticata in forma molto mitigata e, per molto tempo, Teresa si adeguò a tale situazione. Nel 1555, tuttavia,  decise che non valeva la pena perdere il tempo con le mezze misure e scelse di cominciare a  vivere la radicalità della vocazione e della vita monastica. A partire dal 1557 visse una serie di profonde esperienze mistiche, sperimentando una grande intimità con il Signore, ma anche l’aridità, “la notte dei sensi”. L’esigenza di un ritorno del Carmelo alla Regola primitiva gli si impose sempre più. Ottenne così dal generale dell’Ordine, Giovanni Battista Rossi, il permesso di fondare nella stessa città di Avila un monastero di stretta osservanza. Nel 1567 convinse un giovane carmelitano ad attuare la stessa riforma nei conventi maschili. L’attività riformatrice dei due, nonostante l’ostilità aperta dei “mitigati” conquistò in poco tempo l’insieme dell’ordine. Questa intensa attività esteriore in nulla impedì che Teresa continuasse conducendo una intensissima e profonda vita spirituale, della quale possiamo intuire qualcosa leggendo le sue opere: Il Libro della Vita, Il Cammino della Perfezione, Il Castello Interiore. Teresa morì il 4 ottobre 1582  ad Alba de Tormes (Salamanca). La sua memoria è celebrata il giorno dopo, il 15 d’ottobre (!). Non ce ne dobbiamo stupire, perché la riforma gregoriana, varata proprio allora, fece sparire i dieci giorni compresi tra le due date.   

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera ai Romani, cap.1, 16-25; Salmo 19A; Vangelo di Luca, cap.11, 37-41.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

eid_al_adha.jpgCon il tramonto di ieri sera l’umma islamica è entrata nel decimo giorno di Dhu-l-hijja, l’ultimo mese del calendario egiriano. La data coincide con l’Aid al adha (Festa del Sacrificio), conosciuta anche come Aid el kebir (Festa grande). Essa ricorda l’ubbidienza pronta e generosa di Abramo e del figlio nell’obbedire al sogno, che sollecitava il sacrificio del giovane Ismaele (mentre nella tradizione ebraica è Isacco), ma, più ancora, fa memoria dell’intervento misericordioso di Dio, che glielo impedì, provvedendo in altro modo alla vittima per il sacrificio. Le famiglie di quanti possono si procurano, in ordine di preferenza: un montone, un capretto, un bue, un toro, una mucca o un cammello, e lo sacrificano, condividendo poi il pasto con i vicini di casa, gli amici e i poveri del quartiere. Aid Mubarak! ai nostri amici e amiche musulmani.

É tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Teresa di Gesù, tratto dal suo “Libro della Vita”. Ed è, per oggi, il nostro

Pensiero del giorno

Posso dire soltanto quello di cui ho fatto esperienza, ed è che, per quanti peccati faccia, chi ha incominciato a praticare l’orazione non deve abbandonarla, essendo il mezzo con il quale potrà riprendersi, mentre senza di essa sarà molto più difficile. E che il demonio non abbia a tentarlo, come ha fatto con me, a lasciare l’orazione per umiltà; sia convinto che la parola di Dio non può mancare, che con un sincero pentimento e con il fermo proposito di non ritornare ad offenderlo si ristabilisce l’amicizia di prima ed egli ci fa le stesse grazie, anzi, a volte, molte di più, se il nostro pentimento lo merita. Quanto a coloro che non hanno ancora incominciato, io li scongiuro, per amore del Signore, di non privarsi di tanto bene. Qui non c’è nulla temere, ma tutto da desiderare, perché, anche se non facessero progressi né si sforzassero d’essere perfetti, così da meritare le grazie e i favori che Dio riserva agli altri, per poco che guadagnassero, giungerebbero a conoscere il cammino del cielo; e, perseverando nell’orazione, spero molto per essi che godano la misericordia di quel Dio che nessuno ha preso per amico senza esserne ripagato; per me l’orazione mentale non è altro se non un rapporto d’amicizia, un trovarsi frequentemente da soli a soli con chi sappiamo che ci ama. E se voi ancora non l’amate (infatti, perché l’amore sia vero e l’amicizia durevole, deve esserci parità di condizioni, e invece sappiamo che quella del Signore non può avere alcun difetto, mentre la nostra consiste nell’essere viziosi, sensuali, ingrati), cioè se non potete riuscire ad amarlo quanto si merita, non essendo egli della vostra condizione, nel vedere, però, quanto vi sia di vantaggio avere la sua amicizia e quanto egli vi ami, sopportate questa pena di stare a lungo con chi è tanto diverso da voi. (Teresa di Gesù, Libro della Vita VIII, 5).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

 

Giorno per giorno – 15 Ottobre 2013ultima modifica: 2013-10-15T22:55:00+02:00da fraternidade
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