Giorno per giorno – 01 Ottobre 2013

Carissimi,

“Ma i Samaritani non vollero ricevere Gesù, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio” (Lc 9, 53-56). Con il testo che abbiamo ascoltato oggi, siamo entrati nella seconda parte del vangelo di Luca, quella che, concluso il ministero in Galilea, accompagna Gesù lungo tutto il suo viaggio verso Gerusalemme, di cui egli presagisce l’epilogo: il suo “essere tolto” dal mondo. E il significato decisivo che questo avrà in ordine alla rivelazione di Dio. Noi, stasera ci dicevamo che, al suo posto, più che del significato di Dio, ci saremmo preoccupati (e ci preoccupiamo) di salvare la pelle. E questo spiega il profilo basso che assume spesso la nostra testimonianza di cristiani. Gesù, nel vangelo di ieri, aveva sottolineato che la missione dei discepoli e, perciò, l’unico modo possibile di essere chiesa, consiste nell’accoglienza dei più piccoli, degli ultimi, degli esclusi. Il che non è una scelta facile, dato che è controcorrente rispetto alla logica del Sistema. Questo spiega la strana espressione, che troviamo nel vangelo di oggi, tradotta con “prese la ferma decisione di partire per Gerusalemme”, o resa con un semplice avverbio: “s’incamminò decisamente”, ma che nell’originale greco suona assai più forte: “indurì il suo volto per andare a Gerusalemme” (v. 51).  Qualcosa che ha a che vedere con lo “stringere i denti”, o il “contrarre la mascella”  che precede o accompagna una prestazione che richiede un grande sforzo. Ebbene, la proposta dell’ “accoglienza” come verità di Dio, vocazione dell’uomo e norma della vita comunitaria, si scontra, nel vangelo di oggi, con il rifiuto da parte dei Samaritani e culminerà, alla fine del viaggio, in quello dei loro tradizionali nemici, vittime como sono entrambi di un sistema che, basato sulla diffidenza e l’antagonismo, vede nell’altro non il povero da accogliere, ma il nemico da eliminare. Gli intemperanti Giacomo e Giovanni, che non hanno ancora assimilato la lezione di Gesù, e hanno scordato pure la legge del taglione, che imporrebbe al massimo di opporre rifiuto a rifiuto, da subito eccedono nella loro reazione, invocando la strage e i fulmini di Dio. E Gesù? Buon per loro (e per noi) che non si dispera, vedendo che coloro che Lui ha scelto come latori del “principio accoglienza” lo negano sul nascere. Si limita a sgridarci. E sarà il caso di deciderci a prendere sul serio questa sua sgridata. A costo di  “indurire il volto” e “stringere i denti”. Perché non è facile.

Oggi facciamo memoria di Teresa del Bambino Gesù, “piccola” sulla strada dell’Evangelo, e Jacques Fesch, convertito, contemplativo.

01_TERESA_DO_MENINO_JESUS.jpgTeresa Martin, nacque ad Alençon, in Francia, il 2 gennaio 1873, in una famiglia profondamente religiosa. A 14 anni, manifestò l’intenzione di seguire le sue due sorelle, Paolina e Maria, nella vita del Carmelo. Superando tutti gli ostacoli che si opponevano alla sua precoce vocazione, riuscì ad entrare nel Carmelo di Lisieux l’anno seguente (1888), dove prese il nome di Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo.  Come spesso, tuttavia, accade, la realtà che incontrò era lontana da essere quella idealizzata. Vi circolavano meschinità, tiepidezza, sgarbi e storture, ma la giovanissima monaca riescì a tenersi fuori dal gioco del risentimento e della sterile polemica. Intuì che non è criticando le consorelle che sarebbe riuscita  a migliorare l’atmosfera del  monastero, ma accettando la scommessa di farsi santa, esigendo da sé niente meno che tutto. Con semplicità e una buona carica di auto-ironia. La “via” è quella dell’infanzia spirituale: riconoscere la propria piccolezza, abbandonandosi con fiducia alla bontà di Dio, come un bambino tra le braccia della madre.  Le prove spirituali che Teresa affrontò durante la sua vita nascosta – la “notte della fede”, il vuoto spirituale, la tentazione dell’incredulità – la rendono vicina a quanti conoscono l’angoscia del dubbio e della mancanza di fede. La sua fragile salute non gli permise di resistere ai rigori della vita di clausura. La sera del 30 settembre 1897, a 24 anni, Teresa morì di tubercolosi, unendo le sue sofferenze a quelle di Cristo sulla croce.

Jacques Fesch era nato a Saint-Germain-en-Laye, il 6 aprile 1930, figlio, come si dice, di buona 01. FESCH.jpgfamiglia. Ma, anche, una testa calda. Irrequieto, indisciplinato, ribelle, finì con l’essere espulso da scuola. A diciassette anni incontrò Pierrette Polack, dalla relazione con la quale nascerà una figlia, Veronica, e che, raggiunta la maggior età, deciderà, piuttosto riluttante, di sposare, nel giugno del 1951. Terminato il servizio militare, Fesch scoprì che lavorare  non era proprio la sua vocazione. In compenso amava spendere. Un giorno, un amico gli prospettò l’idea di un’avventura per mare, in una vita libera da impegni, doveri, convenzioni. Ma, ci voleva una barca e la barca costava tanto. Si poteva comunque rimediare con una rapina. Fu così che il 18 febbraio 1954, a Parigi, prese quella che gli sembrava la decisione giusta: assaltare l’agenzia di cambio di un tale Sylberstein. Senza troppo successo, però, perché, questi fece a tempo a chiamare la polizia. Fesch fuggì, ma, per fermare l’agente che lo inseguiva, gli sparò e lo uccise. Senza che questo gli evitasse di essere arrestato, subito dopo. Il carcere fu, in ogni caso, la sua via di Damasco. Fu lì, infatti, che incontrò, improvvisamente e imprevistamente, Dio. Della ricchezza di questo incontro ci lasciò testimonianza nel diario steso negli ultimi mesi di vita. Fu condannato a morte il 6 aprile 1957. Pochi giorni prima dell’esecuzione, dopo aver letto “Storia di un’anima” di Teresa di Lisieux, aveva scritto: “Che graziosa piccola santa, come ci è vicina! Attraverso la ‘piccola via’, bisogna che giunga ad elevarmi. Offrire le più piccole cose che non sono troppo dure. Come il mio tabacco”. Ricordando poi che la santa aveva pregato intensamente per la conversione di un tal Pronzini, condannato a morte, scrisse ancora: “Ha salvato l’anima di un condannato a morte. Il mio caso è troppo simile al suo perché non se ne occupi”. Avrebbe voluto morire il 3 ottobre, giorno in cui allora si celebrava la memoria di Teresa di Lisieux. Fu ghigliottinato invece il 1º Ottobre 1957. Qualche anno più tardi, però, con la riforma del calendario, la memoria della santa fu fatta coincidere con la data liturgica della sua morte, sicché i due finirono per ritrovarsi accomunati. Con reciproca soddisfazione, presumibilmente.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Zaccaria, cap.8, 20-23; Salmo 87; Vangelo di Luca, cap.9, 51-56.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano della “Storia di un’anima” di Teresa di Lisieux. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO

Ricordandomi che la “carità copre una moltitudine di peccati”, attingo a questa miniera feconda che Gesù ha aperto dinanzi a me. Nel Vangelo, il Signore spiega in che cosa consiste il suo “comandamento nuovo”. Dice in S. Matteo: “Sapete che è stato detto: Amerete il vostro amico e odierete il vostro nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano”. Senza dubbio, nel Carmelo non s’incontrano nemici, ma in definitiva ci sono delle simpatie, ci si sente attratti verso una consorella, mentre un’altra vi farebbe fare un lungo giro per evitare d’incontrarla, così, pur senza saperlo, ella diviene un soggetto di persecuzione. Ebbene! Gesù mi dice che questa sorella bisogna amarla, che bisogna pregare per lei, quand’anche la sua condotta mi portasse a credere che ella non mi ami: “Se voi amate coloro che vi amano, che merito ne avrete? perché anche i peccatori amano coloro che li amano” (S. Luca, VI). Ma non basta amare, bisogna dimostrarlo. Si è naturalmente felici di fare un dono a un amico, soprattutto ci piace fare delle sorprese, ma ciò non è affatto carità, perché lo fanno anche i peccatori. Ecco ciò che Gesù m’insegna ancora: “Date a chiunque vi chiede; e se vi prendono ciò che vi appartiene, non lo richiedete”. Dare a tutte coloro che chiedono, è meno dolce che offrire spontaneamente per l’impulso del cuore; ancora, quando ci chiedono gentilmente, non ci costa di dare; ma se per disgrazia non usano parole abbastanza delicate, subito l’anima si ribella se non è radicata nella carità. Trova mille motivi per rifiutare quello che le viene chiesto, e, solo dopo aver fatto sentire a chi domanda la sua indelicatezza, le accorda infine come grazia ciò che quella desidera, oppure le fa un lieve favore che avrebbe richiesto un tempo venti volte minore a quello che c’è voluto per far valere diritti immaginari. Se è difficile dare a chiunque domanda, lo è ancora di più lasciar prendere quel che ci appartiene senza pretendere che ce lo restituiscano. Madre mia, dico che è difficile, piuttosto dovrei dire che sembra difficile, perché il giogo del Signore è soave e leggero; quando lo si accetta, sentiamo subito la sua dolcezza ed esclamiamo col Salmista: “Ho corso nella via dei vostri comandamenti, dopo che voi avete dilatato il mio cuore”. Soltanto la carità può dilatare il mio cuore. (Teresa di Lisieux, Storia di un’anima).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Ottobre 2013ultima modifica: 2013-10-01T22:44:00+02:00da fraternidade
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