Giorno per giorno – 27 Settembre 2013

Carissimi,

“Allora Gesù domandò loro: Ma voi, chi dite che io sia? Pietro rispose: Il Cristo di Dio. Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno” (Lc 9, 20-22). Quella domanda, Lui la pone, da allora, a tutte le generazioni dei suoi discepoli, quindi anche alla nostra e a ciascuno di noi in particolare. E, forse, aggiunge anche a noi di non dirlo a nessuno, ma solo, se ne siamo capaci, di mostrarlo. Che ci crediamo davvero a quanto affermiamo di Lui. Che, cioè, non ci limitiamo a considerarlo il santino delle nostre devozioni, ma lo assumiamo come verità di Dio, facendo di Lui, così come egli si è rivelato e come ci è stato trasmesso dai Vangeli, la verità della  nostra vita. Senza inventarci, come spesso accade, un Gesù di comodo, che fa di noi dei cristiani accomodati.  Stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, dicevamo del messaggio ricevuto proprio oggi da un amico, che già fu evangelico: “Estou cada ves mais enjoado dos ditos cristãos”, “Sono sempre più nauseato dai cosiddetti cristiani”. Lo scriveva riferendosi agli scandalosi arricchimenti di un leader religioso di qui, ma noi ci si chiedeva se, qualche volta, questo sfogo non potrebbe riguardarci in prima persona. A noi ha fatto venire in mente il rimprovero mosso dal Signore alla Chiesa di Laodicea nell’Apocalisse: “Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3, 15-16). Dunque, può capitare anche al buon Dio di sentirsi  nauseato. Certo, è un linguaggio un po’ forte, ma è giusto per scuoterci dal nostro torpore, e farci riprendere di lena il cammino. Al suo seguito. Sapendo che i poteri del mondo faranno di tutto per impedircelo. Perché la proposta del Regno, fondata sul dono di sé, sul servizio, sul primato degli ultimi e la condivisione dei beni, che è poi la logica della croce, quanto più si diffonde e si afferma, attenta alla stabilità del sistema, ne mette a repentaglio l’ideologia di fondo, e così, prima o poi finisce, crocifissa. Ma, c’è la risurrezione.

Il nostro calendario ci porta oggi le memorie di Vincenzo de’ Paoli, servitore dei poveri, e di Don Germano Pattaro, pioniere dell’ecumenismo.

27 Vincenzo de Paulo.jpgNato a Pouy in Guascogna il 24 aprile 1581, da una famiglia contadina, Vincenzo de’ Paoli fu, da ragazzo, guardiano di porci, poi studiò e divenne prete a soli 19 anni. Caduto nelle mani di pirati turchi, durante un viaggio marittimo, passò due anni in prigione a Tunisi. Questa esperienza lo segnò profondamente e, da allora, decise di lasciare i libri, per dedicare la  vita a lenire le sofferenze della gente e a restituire dignità alle numerose categorie di bisognosi della società del suo tempo. Fondò a tal fine la confraternita delle Dame della Carità, i Servi dei Poveri, la Congregazione dei Preti della Missione (con il compito di aiutare la formazione dei futuri sacerdoti e di organizzare “missioni” di evangelizzazione tra la gente semplice dei campi) e le Figlie della Carità. Soleva dire ai suoi preti: “Amiamo Dio, fratelli miei, ma amiamolo a nostre spese, con la fatica delle nostre braccia, col sudore della fronte”. Morì a Parigi il 27 settembre 1660.

27 Germano Pattaro.jpgGermano Pattaro era nato  il 3 giugno 1925 a Venezia. Rimasto orfano di madre all’età di tre anni, entrò tredicenne in seminario, ma una grave forma di tubercolosi lo costrinse ad abbandonare gli studi, per sottoporsi alle lunghe terapie del caso. Il tempo della malattia, pur difficile e penoso, permise tuttavia al giovane di estendere i suoi interessi a diversi ambiti del sapere e di dedicare gran parte del suo tempo a letture di autori, come Dostoevskij e Guardini, che segneranno la sua formazione umana e spirituale; ma, più ancora, lo aiutò nella scoperta della “vocazione che guiderà tutta la sua esistenza, cioè il dono gratuito ad ogni uomo, soprattutto ai più deboli, di un amore prima accolto e sperimentato” (Ugo Sartorio). Guarito dalla tubercolosi e tornato in seminario, concluse gli studi e fu ordinato sacerdote nel 1950. Negli anni successivi fu assistente ecclesiastico della FUCI e animatore dei gruppi di Rinascita cristiana. Svolse un approfondito e coraggioso lavoro teologico, attraverso omelie, conferenze e incontri, scontando sospetti, avversioni e diffide nei settori più conservatori della gerarchia, compreso il suo Patriarca, quell’Albino Luciani, che però, eletto papa, lo chiamò inaspettatamente a Roma, come suo consulente teologico. Il manifestarsi di una pancreatite, se ne limitò gli spostamenti, gli consentì però di intensificare l’attività pubblicistica su temi come il matrimonio, l’ecumenismo e la teologia contemporanea. Fino alla morte, che lo colse il 27 settembre 1986.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Aggeo, cap.1, 15b – 2,9; Salmo 43; Vangelo di Luca, cap.9, 18-22.

La preghiera del venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

Simhat Torah.jpgLe comunità ebraiche della diaspora celebrano oggi, 23 del mese di Tishri, Simchat Torah, ovvero la “Gioia della Legge”. Entrando nella festa, la sera della vigilia, i rotoli della Torah vengono prelevati dall’aron-ha-kodesh (“arca santa”), e consegnati agli uomini che, a turno, abbracciati ad essi, compiono le sette hakafot (“giri”), cantando e danzando intorno alla bimah (la piattaforma da cui viene letta la Torah). Il rituale è ripetuto la mattina seguente, quando viene anche proclamato l’ultimo brano del Deuteronomio, subito seguito da alciuni versetti del primo di Genesi, dando così inizio al nuovo ciclo annuale delle letture liturgiche.  Chi legge l’ultimo brano della Torah è chiamato Chatan Torah (“Sposo della Torah”), mentre colui che ne ricomincia la lettura è il Chatan Bereshit (“Sposo del Principio”). Che anche noi si possa sempre gioire del dono della Parola che ci viene fatto e si sappia danzarla con la nostra vita. Oltre tutti i possibili acciacchi della vecchiaia.

È tutto, per stasera. Noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura una citazione di Germano Pattaro, tratta da una sua conferenza, tenuta ad un gruppo di giovani, durante una Settimana Santa, in data imprecisata. La troviamo nel sito di Status Ecclesiae, ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO

La comunità che celebra l’eucaristia – questa presenza di Dio che ci visita – diventa comunità solo progressivamente, lentamente. In questa comunità infatti hanno posto anche quelli che sono detti “i nemici”. Ricordate quell’inciso evangelico, duro, di Gesù: “Non fate come i pagani, che amano solo quelli che li amano. Voi non dovete fare così: dovete amare anche quelli che non vi amano”. “Amate i vostri nemici”. Il nemico non è quello che sta fuori dalla porta della chiesa, nemico è anche quello che sta in chiesa, ve lo portate addosso, nella vita di ogni giorno, quindi deve entrare anche lui a questa mensa. I cristiani sono anche una comunità dove si raccolgono nemici tra di loro e sfidano la loro situazione di inimicizia professando questa fede che va al di là della loro inimicizia, perché la sottopongono di fronte al Signore e gli chiedono di guarirli dalla loro inimicizia. Come si viene fuori dall’inimicizia? Un po’ alla volta, con la grazia di Dio. Vuol dire che all’eucaristia bisogna portare tutte le nostre divisioni, bisogna andarci con tutte le nostre differenze, bisogna praticarla con tutte le nostre difficoltà e sapere che stiamo insieme per professare fede certa in questa realtà: che quel Signore riuscirà lentamente a liberarci dalle nostre divisioni, dalle nostre separazioni, dalle nostre confusioni, dalle nostre opposizioni, dalle nostre baruffe, dal nostro isolarci e così via – credo che sappiate cosa vuol dire. Una comunità come cresce lentamente in quanto tale? Frequentando sempre di più l’eucaristia. L’eucaristia è il luogo dove essa impara a diventare comunità. Ecco che cosa significa essere invitati da Dio, celebrare un’eucaristia che è un dono del Signore. Già potete intuire che, se l’eucaristia si deve celebrare così, non è un’eucaristia inerte, pigra, di quelli che fanno il ghetto dei credenti: diventa un’eucaristia tribolata, impegnativa, dove nasce l’impegno della carità tra quelli che vi partecipano. Voi sapete quanto è difficile, se ha diritto di esserci anche il nemico in questa eucaristia. (Germano Pattaro, Eucaristia e Comunità).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Settembre 2013ultima modifica: 2013-09-27T22:11:00+02:00da fraternidade
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