Giorno per giorno – 29 Dicembre 2012

Carissimi,

“Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (Lc 2, 29-32). Il cantico del vecchio Simeone è divenuto col tempo la preghiera della sera della Chiesa e perciò, se lo vogliamo, anche di ciascuno(a) di noi. Ma, come ogni preghiera, ha corso e corre il rischio di trasformarsi nella ripetizione stanca e distratta di una formula, invece di essere la gioiosa affermazione di una scoperta, rinnovata e testimoniata ad ogni momento, di quel che ha significato per la nostra vita l’avere incrociato un giorno l’evento di salvezza che si chiama Gesù. Ora, può anche darsi che non abbia significato niente; che, cioè, noi ci si dica cristiani un po’ per caso, perché si è nati in un determinato luogo, piuttosto che in un altro, dove dominano una certa cultura, una tradizione, una religione, senza per altro sapere quasi nulla di Gesù, salvo, appunto qualche formula imparata a memoria, o qualche devozione. O, peggio, ribaltandone il significato, usandolo come manganello  a proprio uso e consumo, o ad uso e consumo di idoli riesumati o di stantii schemi culturali (capita persino di trovare qualche prete che si presti alla bisogna, come insegnano i recenti casi, lì da voi, in quel di Lerici e di Firenze, in cui si è voluto profanare il mistero del Natale con prudori di natura, vai a sapere, se più sessuale o ideologica dei diretti interessati). Se noi, però, ci crediamo davvero, la luce che Lui concretamente è stato, con il suo dire e agire, di salvezza per tutti e per ciascuno, e non, egoisticamente, solo per qualcuno, deve diventare la luce che noi stessi siamo. Dato che è Lui che ci ha detto: “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 14). O sceglieremo di essere tenebra?

 

Oggi è il Quinto giorno dell’Ottava di Natale e si fa memoria di Thomas Becket, pastore e martire, e di  Sébastien Castellion, testimone di pace e e di nonviolenza.

 

29 Thomas Becket.JPGPrima di fare il vescovo, Thomas (nato a Londra nel 1117 da una famiglia normanna) aveva le sue idee, era ambizioso, ricco, colto e godereccio, politicamente in linea, tanto che il re l’aveva nominato cancelliere. E lui, naturalmente, il re, che avesse torto o ragione, lo difendeva a spada tratta.  Quando, nel 1161, morì l’arcivescovo di Canterbury, Teobaldo, re Enrico pensò che gli sarebbe piaciuto avere anche il primate della Chiesa d’Inghilterra ugualmente compiacente e scelse per quella carica – allora i re se lo potevano permettere – l’amico fidato.  Non avrebbe potuto prendere un granchio maggiore! Thomas lo mise in guardia, a dire il vero, dicendogli: “Sire, se diverrò arcivescovo di Canterbury, perderò l’amicizia di Vostra Maestà”. Niente da fare: ordinato sacerdote il 3 giugno 1162, fu consacrato vescovo il giorno dopo. E furono subito guai. Il re pensò di approvare certe leggi (le “Costituzioni di Clarendon”), che ripristinavano diritti abusivi della casa reale. E lui, Thomas, a dire pane al pane e vino al vino. Che poi era come dare del “villanzone” al re.  Il minimo che ci si potesse aspettare era che il buon Thomas finisse in esilio, in un monastero cistercense, in Francia. E difatti. Ma questo lo aiutò a farsi le ossa. Pare infatti che nei monasteri la vita fosse dura. E lui non ci era ancora abituato.  Dopo sei anni, grazie anche ai buoni uffici della curia romana, Thomas tornò a Canterbury, siglando un accordo di pace con il re, ma anche con le idee molto chiare  sulla giustizia e sul primato della coscienza. Come prima cosa, disse ai vescovi che erano scesi a patti col re: Cari miei, così non va: siete solo opportunisti e dovreste vergognarvi.  Il re naturalmente perse le staffe e disse: fatemelo fuori, per favore, questo prete infido. (Dovremmo imparare ad esserlo tutti, infidi, con i potenti, per essere fedeli solo al Vangelo). Quattro cavalieri armati partirono alla volta di Canterbury. L’arcivescovo lo venne a sapere e li aspettò, dicendo ai suoi: “La paura della morte non deve farci perdere di vista la giustizia”. Rivestito dei sacri paramenti, nella cattedrale, si lasciò pugnalare senza opporre  resistenza. Disse soltanto: “Accetto la morte per il nome di Gesù e per la Chiesa”. Era il 29 dicembre del 1170.

 

29 SEBASTIAN CASTELLION.gifSébastien Castellion era nato nel 1515 a Saint-Martin-du-Fresne, in Savoia (Francia) e aveva poi studiato all’università di Lione. Poco più che ventenne, lesse la Institution chrétienne di Giovanni Calvino, che lo entusiasmò a tal punto da indurlo nel 1540 a recarsi a Strasburgo per incontrarvi il riformatore, e a trasferirsi, due anni più tardi, a Ginevra, dove Calvino lo chiamò a dirigere il ginnasio locale. L’amicizia e la fiducia reciproca tra i due, tuttavia, s’incrinò presto. Nel 1543 Castellion scrisse Les Dialogues sacrés, in cui esprimeva con grande chiarezza e determinazione la sua ostilitá per ogni genere di tirannia e di assolutismo. Scriverà: “Non c’è nulla che resista più tenacemente alla Verità che i grandi di questo mondo”. E la cosa non piacque molto (chissá perché?) al riformatore ginevrino. Tanto che ci fu chi consigliò a Castellion di lasciare in fretta la cittá. Quando il 27 ottobre 1533 Calvino ordinò di mandare al rogo Michele Serveto, accusato di eresia, Castellion, sotto lo pesudonimo di Martin Bellie, reagì pubblicando l’opuscolo De haereticis an sint persequendi (più o meno: Ma sono proprio da perseguitare questi poveri eretici?), che, fitto di citazioni di Lutero, di Sébastien Franck, di Erasmo da Rotterdam e dello stesso Castellion, difendeva a spada tratta la libertà di coscienza e il principio di tolleranza. L’autore invitava tutti a “rientrare in sé, preoccupandosi di correggere la propria vita più che di condannare gli altri”. Si sollevò, allora, contro di lui il teologo calvinista Theodore de Bezé, denunciando la “carità diabolica e non cristiana” dell’avversario, mentre Calvino in persona lo definì “un mostro pieno di veleno e di sfrontatezza”. Castellion gli rispose serafico: “Le vostre parole e le vostre armi sono quelle usate solo dai despoti; e possono darvi solo un potere temporale, non una supremazia spirituale, una supremazia basata sulla coercizione, e non sull’amore di Dio”. Sempre più solo e isolato, nel 1562,  pubblicò Conseil à la France désolée, in cui esortava a porre fine a tutte le guerre di religione e alle persecuzioni. Nell’opuscolo “Contro il libello di Calvino”, a proposito dell’esecuzione di Serveto, scrisse: “Uccidere un uomo non è difendere una dottrina, è uccidere un uomo. Quando i ginevrini hanno ucciso Serveto non hanno difeso una dottrina, hanno ucciso un uomo. Non spetta al magistrato difendere una dottrina. Che ha in comune la spada con la dottrina? Se Serveto avesse voluto uccidere Calvino, il magistrato avrebbe fatto bene a difendere Calvino. Ma poiché Serveto aveva combattuto con scritti e con ragioni, con ragioni e con scritti bisognava confutarlo. Non si dimostra la propria fede bruciando un uomo, ma facendosi bruciare per essa”. Restò profeta inascoltato. Morì il 29 dicembre 1563 a Basilea.

 

I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra attenzione sono tratti da:

1ª Lettera di Giovanni, cap. 2,3-11;  Salmo 96; Vangelo di Luca, cap. 2,22-35.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Sébastien Castellion, che ci sembra abbia a che vedere con la luce e le tenebre di cui dicevamo in apertura. È tratto dal suo “De haereticis”, ma noi lo troviamo citato in un saggio di Marian Hillar, dal titolo “Sebastian Castellio and the struggle for freedom of Conscience”, che troviamo nel sito del Center for Socinian Studies . Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Chi potrebbe voler essere cristiano, vedendo che coloro che confessano il nome di Cristo vengono massacrati senza pietà dagli stessi cristiani col fuoco, l’acqua, la spada e sono trattati più crudelmente di briganti e assassini? Chi non sarebbe portato a pensare a Cristo come ad una sorta di Moloch, o ad un qualche dio simile, se davvero la sua volontà fosse quella di immolargli e bruciare vivi degli uomini? Chi vorrebbe servire Cristo in una situazione in cui la differenza di opinioni su un punto controverso con le autorità fosse punita con la condanna al rogo per ordine dello stesso Cristo più crudelmente ancora che nel toro di Falaride, quand’anche tra le fiamme egli implorasse a voce alta Cristo, e gridasse di credere in Lui? Immaginate Cristo, giudice di tutti, presente. Immaginatelo mentre pronuncia la sentenza e appicca il fuoco. Chi non scambierebbe Cristo per Satana? Cosa potrebbe fare di più Satana che bruciare coloro che invocano il nome di Cristo? O Creatore e Re del mondo, le vedi queste cose? Sei Tu così cambiato, diventato così crudele, così contrario a Te stesso? Quando Tu eri sulla terra nessuno era più mite, più clemente, più paziente di Te nelle offese. Come una pecora davanti al tosatore Tu eri muto. Quando flagellato, sputacchiato, deriso, coronato di spine, e crocifisso vergognosamente fra i ladri, Tu hai pregato per coloro che ti facevano questo torto.  Tu sei, ora, così cambiato? Io ti chiedo nel nome di Tuo Padre, sei Tu a comandare adesso che quanti non comprendono i tuoi precetti come un’esigenza potente, siano affogati, scarnificati, cosparsi di sale, smembrati con la spada, bruciati a fuoco lento e torturati in ogni altro modo, il più a lungo possibile? Comandi  Tu, o Cristo, e approvi tali cose? Sono davvero Tuoi vicari coloro che fanno queste cose? Sei presente quando si appellano a Te e ti cibi Tu di carne umana? Se Tu, Cristo, fai queste cose o se Tu le comandi, cosa hai lasciato al diavolo? Fai dunque Tu le stesse cose di Satana? O bestemmie e vergognosa audacia degli uomini, che hanno il coraggio di attribuire a Cristo ciò che essi fanno per comando e istigazione di Satana! (Sébastien Castellion, De haereticis).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Dicembre 2012ultima modifica: 2012-12-29T23:53:00+01:00da fraternidade
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