Giorno per giorno – 08 Ottobre 2012

Carissimi,

“Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui” (Lc 10, 33-34). Tutti ricordiamo bene la parabola del buon Samaritano. E di come con essa  Gesù rispondesse alla domanda del dottore della legge che gli aveva chiesto chi fosse il suo prossimo. Quel prossimo che la legge imponeva di amare come se stessi. Gesù sapeva che noi si è propensi a delimitare il campo, se no, rischiamo, come Lui a dire il vero vorrebbe, di perderci. Così “prossimo” sono per noi, tendenzialmente, quelli del nostro sangue, della nostra famiglia,  patria, cultura, religione. Tracciando comunque delle differenze, privilegiando alcuni rispetto ad altri, quelli con cui ci sentiamo più in sintonia, o che ci sono più simpatici, o che sono in grado di apprezzare, ed eventualmente un giorno retribuire, ciò che facciamo per loro.  Che è l’esatto contrario di ciò che ci chiede (e di come agisce Lui per primo) Dio. Prossimo, dice Gesù, non è chi mi è vicino; è colui a cui mi faccio vicino, mosso non dai miei sentimenti nei suoi confronti, ma dal suo bisogno, dalle sue ferite. Manifeste o nascoste. Certo, il primo Samaritano a piegarsi sull’uomo lasciato mezzo morto ai margini della strada è Lui. Di cui, non a caso, i farisei affermavano: “Non diciamo noi con ragione che sei un Samaritano e hai un demonio?” (Gv 8, 48). Ma, allora, questo è vero anche per Dio. Sì, stasera, ci dicevamo che il nostro è un Dio Samaritano, eretico, che ribalta le immagine prodotte così spesso dal pensiero religioso e, ancor più, testimoniate dal vissuto religioso, attente a disegnare confini, marcare distanze, ratificare lealtà e sancire, perciò, inimicizie. Lui, invece, si piega sul ferito, semplicemente perché ferito: ebreo o samaritano, santo o peccatore, amico o nemico, non gliene può importare di meno.  E curvandosi sulle ferite del corpo dell’uno, addita le ferite dell’anima degli altri, i briganti, il levita, il sacerdote. Che non sono meno meritevoli di compassione. Così, Egli ci raggiunge tutti là, dove e nei ruoli in cui, di volta in volta, ci si venga a trovare: aggrediti, aggressori, complici, spettatori indifferenti dell’ingiustizia che si consuma nel mondo. Per convertire i nostri volti al Suo, i nostri occhi al Suo sguardo. Farci Samaritani.             

 

Il nostro calendario ci porta la memoria di Sergio di Radonež, patriarca dei monaci della Russia ortodossa, e di Penny Lernoux, giornalista in difesa dei poveri in America Latina.

 

08_SERGIO_DE_RADONEZH_II.jpgBartolomeo,  questo era il suo nome di battesimo, era nato il 3 maggio del 1313,  a Rostov Vielikij (Russia).  Da piccolo, con tutta la buona volontà, non gli riusciva proprio di imparare a leggere. Finché un giorno incontrò un monaco. E gli confidò il suo cruccio piangendo. Quello allora lo benedisse, gli diede un po’ di pane e gli disse: Va con Dio. Da allora fu tutto più facile. Quando ebbe poco più di vent’anni, decise di ritirarsi con il fratello Stefano in una foresta, non lontano dal villaggio di Radonez, nei pressi di Mosca, dove qualche anno prima la famiglia si era trasferita. Costruì una cappella dedicata alla Trinità, dove il 7 ottobre del 1337 ricevette l’abito monastico, assumendo il nome Sergio. Nonostante la solitudine, i disagi e i pericoli della vita nella foresta, giunsero presto altri uomini, desiderosi di imitarne l´esempio che, pochi anni più tardi lo vollero come loro igùmeno (abate). In breve la Comunità monastica crebbe in modo considerevole e  Sergio seppe guidarla con grande umiltà ma anche con fermezza. Fondò molti altri monasteri e la sua fama si diffuse moltissimo. Tipico santo contadino, alieno da ogni intellettualismo, era semplice, umile, serio e gentile e visse una vita di preghiera, digiuno e lavoro. Insegnò ai suoi monaci che la fuga dal  mondo e dalla sua logica non esimeva, ma, al contrario, imponeva spirito di servizio e aiuto concreto nei confronti del prossimo, oltre che la pratica rigorosa della povertà, a livello personale e comunitario. Pochi mesi prima di morire, convocati i suoi monaci, nominò il suo successore. Quando poi sentì vicina la morte, li mandò a chiamare,  diede loro le ultime istruzioni spirituali, ricevette i sacramenti e, sollevate le mani al cielo, rese l’anima a Dio. Era il 25 settembre del 1392 (corrispondente nel calendario gregoriano all’8 ottobre).

 

08 Penny Lernoux.jpgPenny Lernoux  era nata il 6 gennaio 1940 in un’agiata famiglia cattolica della California. Al termine di un brillante corso di studi universitari, era diventata giornalista, recandosi a lavorare, dal 1961,  in America Latina, e fissando la sua residenza dapprima a Rio de Janeiro, poi a Bogotà e Caracas e, infine, nuovamente a Bogotà. A partire dal 1974 operò come scrittrice freelance. Sposata e madre di una figlia, da subito percepì l’estremo contrasto esistente tra la ricchezza di politici, latifondisti e uomini di affari latinoamericani, da un lato, e la povertà delle masse della regione, dall’altro. Affascinata dalla proposta radicale del Vangelo, si avvicinò alle comunità cristiane di base e si interessò da vicino alla teologia della liberazione, che ne facevano lo strumento per interpretare e cambiare una realtà, caratterizzata da un violento sfruttamento economico e da brutali regimi dittatoriali. Fu per molti anni corrispondente del National Catholic Reporter, oltre a scrivere per altre testate e pubblicare numerosi libri. Colpita da un tumore ai polmoni, due settimane prima della morte, consapevole della gravità del suo stato, confessava: “Mi sento come se stessi scendendo per un nuovo sentiero. Non è una paura fisica o la paura della morte, perché i poveri dell’America Latina, con il loro coraggio, mi hanno insegnato una teologia della vita che, attraverso la solidarietà e la nostra lotta comune, trascende la morte. È piuttosto una sensazione di impotenza – ed io che ho sempre voluto essere campione dei poveri  mi ritrovo proprio come impotente – e, anch’io, devo tendere la mia scodella da mendicante; devo imparare  – sto imparando – l’estrema impotenza di Cristo. È un’esperienza purificante. Quante cose sembrano ora meno importanti, specialmete le ambizioni”. Morì l’8 ottobre 1989. Aveva lasciato scritto: “Tu puoi anche guardare una favela o un villaggio contadino… ma è soltando entrando in quel mondo – e vivendoci – che comincerai a capire cosa significa essere senza potere, essere come Cristo”.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera ai Galati, cap.1, 6-12; Salmo 111; Vangelo di Luca, cap.10, 25-37.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni  dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

 

Shemini Atzeret.jpg“L’ottavo giorno terrete la santa convocazione e offrirete al Signore sacrifici consumati con il fuoco. È giorno di riunione; non farete alcun lavoro servile” (Lv 23, 36). Per i nostri fratelli ebrei oggi, 22 di Tishri, è Sheminì ‘Atzeret (l’ottavo [giorno] dell’adunanza). In Israele coincide con la Festa di Simchat Torah (la Gioia della Legge), che, nelle comunità della diaspora è invece celebrata domani. In questo giorno durante il Mussaf, l’ufficio supplementare previsto dalla Bibbia per i sabati e le feste, viene introdotta la preghiera per la pioggia, che sarà ripetuta tutti i giorni, fino a Pasqua, nell’Amidà (“in piedi”), la preghiera per eccellenza della liturgia sinagogale. Quanto a Simchat Torah, ci proponiamo di riparlarne domani.

 

Bene, anche per stasera è tutto. Non avendo disponibili testi relativi alle nostre memorie odierne, abbiamo pensato, in omaggio a quella di Sergio di Radonež, di proporvi un brano di omelia del Metropolita Anthony Bloom of Sourozh, che appartiene alla stessa tradizione spirituale ortodossa. Lo troviamo nel sito di “Nati dallo Spirito” ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Perdonare non significa dimenticare ciò che è successo, ma caricarsi del peso della fragilità, persino del male, di un’altra persona. San Paolo dice: “Imparate a portare i pesi gli uni degli altri”. Questi pesi sono spesso il fallimento di ognuno di noi di essere degni della nostra chiamata – la nostra incapacità di amarci gli uni gli altri, accettarci reciprocamente, servici reciprocamente, aiutarci gli uni gli altri sulla via che porta a Dio. Che ognuno di noi giudichi tutta la sua anima, tutta la sua vita; giudichiamo noi stessi con onestà, e chiediamo perdono non solo a Dio ma anche al nostro vicino, che è talvolta più difficile di chiedere perdono a Dio. Tutti noi siamo fragili. Abbiamo tutti bisogno di sostegno. Forse che ci diamo questo sostegno gli uni con gli altri? O scegliamo coloro che vogliamo sostenere perché ci piacciono, perché sostenerli ci dà gioia, perché aiutarli significa che anch’essi ci risponderanno  con gratitudine, con amicizia? Evitiamo di trovar ragioni per non perdonare. Ricordo un uomo che mi disse: “Riesco a perdonare ogni persona che ha peccato contro di me, possono persino amarli; ma devo odiare i nemici di Dio”. Allora pensai a qualcosa che ci viene detto nella vita di un santo, nella quale un prete pregava Dio di punire coloro che l’avevano tradito con le loro vite se non con le loro parole. Cristo gli apparve e gli disse: “Non pregare mai più per la punizione o il rifiuto di alcuno. Se ci fosse anche un solo peccatore in questo mondo, sceglierei di incarnarmi ancora per morire sulla croce per quell’unico peccatore”. Ricordate: se non perdoniamo nostro fratello, non è solo lui ad andarsene addolorato e in lacrime. Noi stessi saremo feriti. Se non perdoniamo, noi stessi non saremo guariti. Il male che ci è capitato per mano di un’altra persona rimarrà con noi, danneggiando la nostra anima, distruggendoci. Impariamo a perdonare, così che altri possano essere guariti, ma anche perché noi stessi possiamo essere guariti. Venite e prostratevi davanti all’icona del Cristo e della Madre di Dio, e poi dirigetevi l’uno verso l’altro con la disponibilità a essere perdonati e a perdonare, costi quel che costi (Metropolita Anthony Bloom of Sourozh, da un sermone del 1999).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Ottobre 2012ultima modifica: 2012-10-08T23:27:00+02:00da fraternidade
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