Giorno per giorno – 07 Ottobre 2012

Carissimi,

“Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie” (Mc 10, 2). Loro, probabilmente, volevano solo sapere da che parte Gesù si situava nella disputa che opponeva le due maggiori scuole di interpreti della Legge di quel tempo, se dalla parte di Shammai, che ammetteva il divorzio solo in caso di adulterio, o da quella di Hillel, che lo permetteva per qualunque minima ragione. E la decisione spettava sempre comunque solo agli uomini. Gesù chiede  allora: cosa vi ha ordinato Mosè? E loro: ha detto che si può, basta scrivere un atto di ripudio. Ora, Gesù sapeva che la parola di Mosè implicava l’autorità di suo Padre e come poteva Lui contraddirlo? Ma sapeva anche che non si può tradurre una storia d’amore – quale quella che si era venuta disegnando tra Dio e il suo popolo – in un’interminabile serie di aridi precetti su ciò che si può o non si può fare. La Torah di Mosè non è nata come una legge scritta a tavolino; è, invece, l’epopea che racconta il farsi di un popolo, attraverso l’incontro e lo scontro di molteplici tradizioni e culture, il passaggio attraverso eventi traumatici, riduzioni in schiavitù, rivolte, guerre, processi di liberazione, e un lungo apprendistato volto alla costruzione di relazioni nuove, a partire da un evento di rivelazione capace di unificare il non-popolo di ieri verso un cammino di libertà, giustizia e fraternità. Scontando fraintendimenti, resistenze, arretramenti, sconfitte, tradimenti, persino aberrazioni. Che costellano, del resto, anche la nostra storia e che sono i diversi nomi di ciò che Gesù chiama la “durezza del cuore”. Con cui dobbiamo ogni volta fare i conti. Cercando di chiamarla comunque per nome. E non dimenticando mai il progetto originario. Che è “l’uomo non separi ciò che Dio ha unito”. Ovvero, nessuno attenti a ciò che l’Amore ha unito. Se, invece è altro che ha unito e regge la vita di una coppia, di una famiglia, di un’amicizia, di una comunità, di una chiesa, di una società, se è manipolazione, inganno, violenza, prepotenza, abuso, sfruttamento, prostituzione, allora Dio non c’entra proprio. È solo una storia di peccato a cui si deve porre fine.

 

I testi che la liturgia di questa XXVII Domenica del Tempo Comune propone alla nostra attenzione sono tratti da:

Libro di Genesi, cap.2, 18-24; Salmo 128; Lettera agli Ebrei, cap.2, 9-11; Vangelo di Marco, cap.10, 2-16.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

 

Il calendario ci porta oggi la memoria della Beata vergine Maria del Rosario.  

 

07 BV MARIA DEL ROSARIO.jpgL’origine della festa non è, come si dice, delle più felici. Voluta da Pio V per celebrare la vittoria conseguita sulla flotta turca, a Lepanto, il 7 ottobre 1571, dicono che ancora oggi, più di quattrocento anni dopo, la Madonna non si dia pace. E quando le capita di vedere il papa Pio per le strade dei cieli (dato che l’hanno pure canonizzato per garantirgli il paradiso), scuote ancora la testa e gli fa: ma, a te, ti ha dato di volta il cervello? Già, perché a Lepanto, come in ogni guerra, passata, presente e futura, a combattersi c’erano, ci sono e ci saranno, solo dei diavoli. Quand’anche poveri. Dall’una e dall’altra parte.

      

Noi facciamo anche memoria di John Woolman, profeta quacchero, e di Manuel Antonio Reyes, prete, martire in El Salvador.    

 

07 JOHN WOOLMAN.jpgJohn Woolman era nato, il 19 ottobre 1720, quinto dei dodici figli di Samuel Woolman e Elizabeth Hudson Burr, una famiglia quacchera di Rancocas, nel New Jersey, non lontano da Filadelfia. Da ragazzo ebbe una prima rudimentale istruzione nella scuola quacchera del paese, ma la sua formazione fu comunque autodidatta. Dopo una malattia, seguita ad una sbandata adolescenziale, cominciò a lavorare come garzone in un panificio e a frequentare regolarmente gli incontri della Società degli Amici, sempre più attento ad ascoltare gli insegnamenti di Gesù e preoccupato di porli in pratica. Iniziatosi al mestiere di sarto, sposò ventinovenne Sarah Ellis, da cui nacquero due figli, Mary e William.  Nel 1756 cominciò a redigere il suo Diario e prese a pubblicare alcuni opuscoli contro il sistema schiavista. Tale lotta sarebbe divenuto obiettivo prioritario della sua vita. Diceva che “l’unica maniera cristiana per trattare gli schiavi è liberarli”. Sempre ospitalissimo con tutti, rifiutava tuttavia di accogliere in casa chi fosse proprietario di schiavi. Durante le guerre contro i francesi e contro gli indiani, scelse l’obiezione di coscienza, rifiutando di pagare le tasse di guerra e preferendo pagare le multe salate a cui era ogni volta condannato. Visse semplicemente, delle cose essenziali,  sapendo che il desiderio smodato del lusso e delle ricchezze è la radice di tutte le oppressioni e le guerre. Decise di non mangiare nulla che contenesse zucchero o melassa perché prodotto dal lavoro degli schiavi, e  rifiutò gli abiti tinti per la stessa ragione.  Sosteneva che non ci si può limitare ad evitare  l’oppressione diretta degli altri esseri umani, ma si deve rifiutare il consumo e il godimento di ogni bene che sia frutto dello sfruttamento umano.  Inviato in Inghilterra per divulgare tra le locali congregazioni quacchere le idee abolizioniste, si ammalò di vaiolo e morì il 7 Ottobre 1772,  nella città di York.

 

07 MANUEL ANTONIO REYES.jpgManuel Antonio Reyes era nato nel 1945 a San Rafael Oriente, nel dipartimento di San Miguel (El Salvador). Era parroco di Santa Marta, nella Colonia “10 Settembre”, quando una mattina la sua casa viene perquisita e lui è sequestrato da individui che dichiarano di appartenere a “nuclei investigativi”. Il giorno seguente il Ministro della Difesa, a Mons. Rivera y Damas, che gli chiede conto della scomparsa, assicura il suo interessamento. Ma, il giorno stesso, il corpo senza vita del sacerdote è ritrovato per strada. Per questo prete di trentacinque anni il suo legame con la comunità cristiana di un quartiere operaio è stato motivo sufficiente per decretare la sua morte.

 

Selma Bastos.jpgA poco più di due ore dalla chiusura delle urne, per via del voto elettronico, i risultati erano già definitivi. E così Goiás ha conosciuto oggi la sua “rivoluzione di primavera”, e per la prima volta, nelle elezioni comunali,  è riuscita a sconfiggere, con il “coronelismo” che ancora alligna da queste parti, le corrotte e inette oligarchie che la governano da sempre. Dal primo gennaio sarà nostra “prefeita” (l’equivalente di sindaco) Selma, candidata del PT, e suo vice il Dr. Rogério. Eletti con il 53% dei voti. Dei nove consiglieri comunali, tre (ma forse diventeranno quattro) appartengono alla coalizione che ne appoggiava la candidatura. Tra essi, il più votato in assoluto è risultato Aderson, da sempre impegnato nella C.P.T. (Commissione Pastorale della Terra), l’organismo ecclesiale che accompagna le lotte dei contadini sem-terra e dei piccoli agricoltori. Grande, grande risultato!      

 

Per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi alla lettura del brano di una conferenza dal titolo “Prier le Rosaire”, tenuta a Lourdes nell’ottobre 1998,  da fr. Timothy Radcliffe, già maestro generale dell’Ordine domenicano. È, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Ripenso a mio padre. Durante la Seconda Guerra mondiale, mia madre e i suoi tre figli più grandi restarono a Londra. Io dovevo ancora nascere. Nonostante le bombe che, ogni notte, cadevano su Londra, mia madre voleva restare disponibile nell’eventualità in cui mio padre potesse usufruire di un permesso per venire a casa. E mio padre promise che se tutta la famiglia fosse sopravvissuta alla guerra, avrebbe pregato il Rosario ogni sera. Così, tra i miei ricordi d’infanzia, rivedo mio padre, ogni sera, prima di cena, camminare su e giù per la stanza pregando il Rosario. Ringraziava, ogni sera, per essere noi sopravvissuti a questa minaccia di morte. E uno dei miei ultimi ricordi di mio padre risale a poco tempo prima della sua morte. Era allora troppo debole per poter pregare lui. Così la sua famiglia, sua moglie e i suoi sei figli, gli si sono riuniti intorno e hanno pregato il Rosario per lui. Era la prima volta che non poteva farlo lui stesso. La sua morte, circondato da tutti noi, era una risposta a questa preghiera che aveva ripetuto tante volte: “Prega per noi, adesso e nell’ora della nostra morte”. T. S. Eliot implora in uno dei suoi poemi: “Prega per noi, adesso e nell’ora della nostra nascita” (“Animula”, in Ariel Poems). Ed egli ha ragione. Perché noi dobbiamo affrontare questi tre momenti della nostra vita: la nascita, il presente e la nostra morte. Ma ad ogni istante noi aspiriamo alla stessa cosa: una nuova nascita. Ciò a cui noi aspiriamo adesso, come peccatori, non è una pietà che si contenti di dimenticare ciò che abbiamo fatto, ma la misericordia che farà anche delle nostre azioni un momento di rinascita, un nuovo inizio. E di fronte alla morte, noi desideriamo ancora che le parole dell’angelo vengano ad annunciarci una nuova fertilità. Perché tutta la nostra vita è aperta all’infinita novità di Dio, alla sua inesauribile freschezza. L’angelo viene e riviene, con sempre nuovi annunci della Buona Novella. (fr. Timothy Radcliffe, o.p.,  Prier le Rosaire).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Ottobre 2012ultima modifica: 2012-10-07T23:13:00+02:00da fraternidade
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