Giorno per giorno – 02 Settembre 2012

Carissimi,

“Allora si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate […] lo interrogarono: Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?” (Mc 7, 1-2. 5). Marco colloca questo brano proprio a ridosso di una sua annotazione: “E dovunque [Gesù] giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano” (Mc 6, 56). E uno si immagina che questo doveva bastare a riempire di stupore e ammirazione tutti. E, invece, no. Anzi, proprio coloro che, nella città santa di Gerusalemme, si consideravano i custodi della Parola di Dio e gli interpreti autorizzati della sua Torah e i maestri della corretta dottrina che da essa promana, sono loro che dubitano, che sono resi come ciechi davanti all’agire di Dio che irrompe e si fa presente nella storia. Del resto, dice Gesù, è sempre stato così, dai tempi del profeta Isaia (ma anche prima). E anche dopo Gesù, nel tempo della Chiesa. Quando Gerusalemme è Roma. O ogni altra metaforica capitale dell’ortodossia, che sentiamo il bisogno di inventarci. Compresa quella nostra personale. Riluttante a leggersi come capacità di giocarsi in un’avventura comune, lungo il cammino accidentato e faticoso della vita, in grado di farsi carico dei limiti, del passo, delle necessità, delle attese e dei sogni, di ciascuno(a), alla ricerca di “eutopia”, il luogo buono, la terra promessa, in cui insediarsi e vivere felici. In pace. Tutti. La Torah era stata il racconto di quell’avventura; la legge, il tentativo di renderla possibile, spesso approssimativo, contraddittorio, persino sconclusionato (come può succedere quando gli uomini decidono di mettere Dio per iscritto). Gesù, dal canto suo, rimanda all’unico comandamento di Dio: ama! Il resto, tutto il resto, se non ti aiuta ad amare di più, viene dal diavolo.

 

I testi che la liturgia di questa XXII Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro del Deuteronomio, cap.4, 1-2.6-8; Salmo 15; Lettera di Giacomo, cap.1, 17-18.21b.22-27; Vangelo di Marco, cap.7, 1-8. 14-15. 21-23.

 

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

 

Oggi il nostro calendario ci porta la memoria di Farīd ad-dīn ’Attār, mistico islamico.

 

02 Attar.jpgNato a Nishapur (Iran), verso la metà del sec. XII, ’Attār forma, con Sana’i e Rumi,  la triade dei grandi poeti-mistici islamici ed emerge come uno dei più grandi maestri del sufismo. Poco sappiamo della sua vita. Era figlio di uno speziale e, probabilmente, trascorse i suoi anni giovanili nella bottega paterna – dove, allontanatosene, farà ritorno più tardi -, alternando il culto delle belle lettere alla cura degli affari. Grande influenza esercitarono su di lui la madre, con la sua profonda religiosità, e i suoi maestri spirituali. Contro una visione legalistica della religione, sostenne l’urgenza di un rapporto più “cordiale” e meno “razionale” con la divinità, adottando un linguaggio che prefigura un rapporto da amante ad Amato ed elaborando un complesso di immagini metafore che si rifanno al modello della relazione amorosa e non a quello del rapporto servo-signore. Morì probabilmente nella città natale verso il 1230, in concomitanza con l’invasione mongola. Di lui è riportata la seguente sentenza: “Dio disse al Suo amico: Vuoi conoscere il segreto? Domanda a Satana”. L’uomo incontrò il diavolo e gli chiese del segreto. “Ricordati solo questo – gli rispose Satana – se non vuoi diventare come me, evita di dire io”.

 

02 Frankl.ipg.jpgOggi sono anche quindici anni dalla morte di Viktor Emil Frankl, noto come il fondatore della “Terza Scuola viennese di psicoterapia”.  Nato il 26 marzo 1905 a Vienna in uma famiglia di ebrei praticanti, Frankl entrò giovanissimo in contatto epistolare con Sigmund Freud, dalle cui idee però si distanziò presto, trovando maggior consonanza in quelle di Alfred Adler, fondatore della scuola di Psicologia individuale comparata. Ma, anche in questo caso, la convivenza si rivelò difficile, al punto che l’appena ventiduenne Frankl si vide espulso dalla Società adleriana. Studente di Medicina a Vienna, dove arriverà a laurearsi nel 1930, il giovane Frankl, ancor prima della conclusione degli studi lavorava già nel reparto di psicoterapia della clinica psichiatrica dell’Università, sotto la guida di Otto Pötzl, ed era invitato a tenere seminari a Berlino, Praga, Budapest. Dopo la specializzazione in Neurologia e Psichiatria nel 1936, per la prima volta espose in maniera esplicita e articolata i principi della sua logoterapia e analisi esistenziale. Per essa, in qualunque situazione data, la vita ha comunque un senso per tutti gli uomini, anche se non lo stesso,  e persino le esperienze più drammatiche e tragiche possono essere trasformate in occasioni di maturazione, di crescita e realizzazione, se, di fronte ad esse, si riesce ad assumere il giusto atteggiamento. Dopo l’annessione dell’Austria alla Germani nazista, nel 1938, Frankl rifiutò di espatriare in America per non lasciare soli i genitori. Sposatosi nel 1941 con Tilly Grosser, nel settembre dell’anno successivo, venne fatto prigioniero e trasportato con tutta la famiglia nel lager di Theresienstadt, e in seguito ad Auschwitz, dove moriranno via via, il padre, la madre, il fratello, e la moglie Tilly. Successivamente Frankl venne trasportato a Kaufering III ed a Türkheim (filiali di Dachau). In quelle condizioni di vita estreme, egli vide confermate le sue tesi sulla libertà di scelta e sul senso della vita. Sopravvissuto alle esperienze del lager, sposò nel 1947 Eleonore Katharina Schwindt, da cui ebbe una figlia, Gabriele. Ottenuta la docenza in Neurologia e Psichiatria, svolse attività di ricerca, d’insegnamento e clinica all’università, insegnando negli Stati Uniti e tenendo conferenze in tutto il mondo. Autore di 32 volumi, tradotti in 26 lingue, insignito di 29 lauree honoris causa, Frankl morì a Vienna  il 2 settembre 1997, per attacco cardiaco. Il teologo morale Bernhard Häring  parlò del suo pensiero come di un modello di particolare rilevanza sia scientifica che pastorale.

 

Per stasera, è tutto. E noi ci si congeda, lasciandovi alla lettura di un brano di Viktor Frankl, tratto dal suo libro “Uno psicologo nel lager”. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Dostojewski ha detto una volta: “Temo una cosa sola: di non essere degno del mio tormento”. Ripensammo più d’una volta a queste parole, quando abbiamo conosciuto uomini eroici, quasi dei martiri, che con il loro comportamento nel Lager, in mezzo a sofferenze e dolori, testimoniarono l’ultima e inalienabile libertà interna dell’uomo, gravemente compromessa. Avrebbero potuto dire a buon diritto che “furono degni del loro tormento”. Hanno dimostrato che, soffrendo rettamente, si può realizzare qualcosa: una conquista interiore. La libertà spirituale dell’uomo, quel bene che nessuno può sottrargli finché non esala l’ultimo respiro, fa sì ch’egli trovi, fino al suo ultimo respiro, il modo di plasmare coerentemente la propria vita. Poiché non ha senso solo la vita attiva, nella quale l’uomo ha la possibilità di realizzare dei valori in modo creativo; e non ha un senso solo la vita ricettiva, cioè una vita che permette all’uomo di realizzarsi sperimentando la bellezza nel contatto con arte e natura; la vita conserva il suo senso anche quando si svolge in un campo di concentramento, quando non offre quasi più nessuna prospettiva di realizzare dei valori, creandoli o godendoli, ma lascia solamente un’ultima possibilità di comportamento moralmente valido, proprio nel modo in cui l’uomo si atteggia di fronte alla limitazione del suo essere, imposta con violenza dall’esterno. La vita creativa e quella ricettiva gli sono da tempo negate. Ma non solo la vita creativa e quella ricettiva hanno un senso: se la vita ha un significato in sé, allora deve avere un significato anche la sofferenza. La sofferenza, in qualche modo, fa parte della vita – proprio come il destino e la morte. Solo con miseria e morte, l’esistenza umana è completa! Dal modo in cui un uomo accetta il suo ineluttabile destino e con questo destino tutta la sofferenza che gli viene inflitta, dal modo in cui un uomo prende su di sé la sofferenza come la “sua croce”, sorgono infinite possibilità di attribuire un significato alla vita, anche nei momenti più difficili, fino all’ultimo atto di esistenza. (Viktor Frankl, Uno psicologo nei lager).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Settembre 2012ultima modifica: 2012-09-02T22:55:00+02:00da fraternidade
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