Giorno per giorno – 01 Settembre 2012

Carissimi,

“Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì” (Mt 25, 14-15). Se diede a ciascuno “secondo le sue capacità”, è chiaro che i talenti della parabola non sono le doti, le qualità, le capacità, appunto. È qualcosa di diverso dal senso che la parola ha assunto nel linguaggio comune. Stasera, a casa di Maria de Jesus, che è la mamma del più recente acquisto della comunità dell’Aparecida, il piccolo Eduardo, ci dicevamo che i talenti sono, forse, allora, la Parola che è affidata a ciascuno di noi e che dobbiamo far fruttare, secondo le nostre capacità. Ciascuno(a) nel posto che occupa, in famiglia, nella società, nella chiesa. Nell’ultima intervista da lui concessa, tre settimane prima della sua morte, il card. Martini poneva la domanda: “Perché abbiamo paura e non coraggio?” e, consapevolmente o meno, evocava la figura del servo che nasconde il talento (il vangelo) che gli è stato affidato. C’è una parola, che poi è la Parola, il significato di Gesù, che è affidata a ciascuno(a) di noi e non ad altri. A noi, e non ad altri, è chiesto di farla fruttificare, di tradurla in gesti concreti di testimonianza e, se non è azzardare troppo (e non lo è), in segni di salvezza, qui e adesso, per il mondo. Perché ci riduciamo a nasconderla in un ritualismo sterile e senza senso, perché siamo incapaci di generare stupore, entusiasmo, gioia, innamoramento, passione, negli ambienti in cui viviamo? Nella stessa intervista, l’infaticabile apostolo, la guida come pochi, l’amato padre diceva ancora e così concludeva: “Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?”. Si rivolgeva ad ognuno(a) di noi.

 

Oggi il nostro calendario ci porta la memoria di Jesus Jiménez, martire del popolo crocifisso di El Salvador.

 

01 Martiri AL.jpgJesus Jiménez, che gli amici chiamavano Chus, era un contadino, catechista e animatore di comunitá ad Aguilares. Era stato “scoperto” da padre Rutilio Grande, che aveva risvegliato in lui un amore profondo per il Signore e per i suoi fratelli e l’aveva designato, nel 1973, quando aveva ventisei anni, delegato della Parola. Lui aveva preso sul serio il suo ministero e, da subito, non si era dato pace. Era sempre in movimento, per visitare le sue comunitá, camminando a volte per ore, per raggiungere le località più isolate, aiutare a riflettere sul Vangelo, visitare gli infermi, portare l’Eucaristia. Dopo l’ondata di repressione violenta scatenata nel 1977, che costò la vita anche al padre Rutilio, prese l’abitudine di dormire fuori casa, anche per non mettere a repentaglio la vita della moglie e dei quattro figli. Una pattuglia della  Guardia Nazionale lo fermò il pomeriggio del 1° settembre 1979, lo trascinò, mani e piedi legati, fino ai locali della parrocchia di El Paisnal, dove lo finì a colpi di arma da fuoco.  Solo a notte, fu possibile alla moglie e ad altre donne recuperarne il corpo, per vegliarlo assieme alla comunità riunita in preghiera. Jesus aveva trentadue anni.  

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1ª Lettera ai Corinzi, cap. 1, 26-31; Salmo 33; Vangelo di Matteo, cap. 25, 14-30.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunte ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Bene, noi ci si congeda qui, lasciandovi alla lettura di un brano del libro “Conversione della Chiesa al Regno di Dio” (Queriniana) del teologo-martire salvadoregno Ignacio Ellacuría, la cui spiritualità alimentò a lungo le comunità cristiane perseguitate negli anni difficili della dittatura. È, per oggi, il nostro  

 

PENSIERO DEL GIORNO

La liberazione cristiana, se è cristiana ed in quanto tale, deve essere compresa e vissuta nell’interpellanza di una Parola salvatrice. Questa Parola prenderà voce e tono nelle grida degli uomini del nostro tempo, soprattutto dei poveri; in quanto quello che ascoltiamo in queste grida espresse o taciute è la Parola, e quello che in queste grida ci interpella e ci invoca è la Parola salvatrice. Orbene, il luogo idoneo per ascoltare questa Parola sarà sempre la Chiesa, la comunità ecclesiale unita nella Parola. Il luogo comunitario veramente vivente della parola di salvezza è, senza dubbio, l’assemblea liturgica, quando questa sia in realtà quello che deve essere in verità. La Parola salvatrice si rende vivente ed attuale interpellanza nella comunità ecclesiale, quando questa si realizza come tale in un’autentica vitalità liturgica. Già la pura parola biblica ha il proprio luogo vitale nell’assemblea liturgica; ma quello che questa parola pretende nell’assemblea liturgica è che la Parola si manifesti. E si manifesti come Luce e come Vita. Questa Parola bisogna riviverla alla luce della propria situazione storica e bisogna convertirla in reale esperienza cristiana. Nel caso contrario, sarebbe una Parola vuota, puro rumore; o Parola che non illumina né dà vita, ossia, parola senza efficacia sacramentale. La Parola deve farsi luce (liturgia della parola) e vita (liturgia eucaristica) nell’assemblea cristiana riunita dalla chiamata del Signore. Non ci sarà vita cristiana senza luce cristiana; non ci sarà luce cristiana se non è capace di farsi vita. Fede e vita si uniscono in tal modo nella stessa azione liturgica, che, se essa ha momenti diversi, ciò è dovuto alla condizione umana e non perché vi possa essere dissociazione tra quello che è vita e quello che è luce. Proprio perché la luce è vita e la vita è luce, non può esserci un’approvazione atemporale o individualistica della Parola; essa deve attuarsi in ogni momento e nella riunione che, per essere nel nome del Signore, contiene la promessa della sua speciale assistenza. (Ignacio Ellacuría, Conversione della Chiesa al Regno di Dio).    

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Settembre 2012ultima modifica: 2012-09-01T23:05:00+02:00da fraternidade
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