Giorno per giorno – 30 Agosto 2012

Carissimi,

“Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà” (Mt 24, 42-44). Da oggi fino a sabato la liturgia ci propone tre brani del discorso escatologico (Mt 24, 1-25, 46), l’ultimo dei cinque discorsi in cui Matteo organizza l’insegnamento di Gesù. Nel pomeriggio, alla chácara di recupero, spiegavamo che escatologico è parola difficile, di origine greca, che significa relativo alle “cose ultime”. E, generalmente, il pensiero corre subito alla fine del mondo. Quella generale o quella particolare per noi, alla nostra morte, o in una devastante tragedia collettiva. E, probabilmente, succedeva così anche a coloro che, questo discorso, lo ascoltavano o lo leggevano allora. L’insieme del discorso è sotto il segno del ritorno del Figlio dell’uomo, che poi è il ripresentarsi, nella storia, dello stesso significato di Gesù. Spesso le chiese ne hanno proposto una lettura che puntava sulla paura, ma forse non è quella che le è più consona. Il vangelo è pur sempre “buona notizia”, “lieta novella”: non può suscitare timore. Nel brano che precede quello che abbiamo letto oggi, si parlava dei tempi del diluvio (Mt 24, 37-39), cioè di tutti i diluvi che accadono nella storia, e nel diverso modo di affrontarli. Vivendo fingendo di non vedere cosa si sta preparando o cosa già accade, o agendo responsabilmente per evitare, in ciò che sta alla nostra portata, il danno che viene fatto alla creazione. Il ritorno del Figlio dell’uomo non è il diluvio, è l’arca, che ciascuno di noi è chiamato a fabbricare. Ugualmente, nella parabola che abbiamo ascoltato oggi, anche se Gesù istituisce, un po’ provocatoriamente, un paragone con il ladro che viene di notte, è perché noi non ci si abbandoni al sonno dell’indolenza o dell’indifferenza, che ci preclude l’incontro con il ladrone che ci ha rubato il cuore. Incontro che avviene soltanto là dove ciascuno si preoccupa di “dare agli altri il cibo nel tempo dovuto” (v.45). Dove, perciò, si agisce secondo il principio della cura, che è la logica del Regno.  Gesù, quindi, non verrà solo alla fine dei tempi o alla nostra fine: da quando è morto e risorto viene ad ogni momento. E noi ne anticipiamo o ne ritardiamo la manifestazione.           

 

Il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Takla Haymanot, asceta e monaco in Etiopia. 

 

30 St. Takla.jpgFeseha Zion (Gioia di Sion) – questo il suo nome alla nascita – era nato a Zorare, nella regione dello Shewa, in Etiopia, il 24 del mese copto di Kiahk dell’anno 1215, nella famiglia del prete Sagaz Ab (Grazia del Padre) e di Egzi’e Haraya (Dio l’ha scelta), chiamata anche Sara. Una volta maggiorenne, i genitori gli scelsero una sposa, ma egli la rifiutò e si mise in viaggio per predicare l’Evangelo. Successivamente fu ordinato prete dal vescovo Keryllos II. A trent’anni il giovane, che aveva assunto il nome di Takla Haymanot (Pianta della Fede), si recò nel nord del Paese, entrando nel monastero di Dabra Hayk, dove era abate un monaco famoso, Iyasus Mo’a, sotto la cui guida restò nove anni. Da lì si spostò nel monastero di Dabra Damo, retto dall’abate Yohanni, che era stato in precedenza maestro spirituale dell’abate Iyasus. Assieme ad un gruppo di discepoli, Takla fece ritorno nella sua terra, dove fondò, nel 1284, il monastero di Dabra Asbo (che nel secolo XV assumerà il nome di Dabra Libanos).  Uomo di grande preghiera e ascesi, circondato dalla fama di taumaturgo e  di molteplici esperienze mistiche, Takla Haymanot visse gli ultimi anni in rigorosa solitudine. Dicono che usava pregare in piedi solo sulla gamba destra, tanto che la sinistra gli cadde atrofizzata. Morì quasi centenario il 24 di Mesra (corrispondente al 30 di agosto) del 1313. È considerato il santo più popolare in Etiopia.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1ª Lettera ai Corinzi, cap.1, 1-9; Salmo 145; Vangelo di Matteo, cap.24, 42-51.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

30 giornata internazionale dei desaparecidos.jpgIl 30 agosto è dedicato alla Giornata Internazionale dei Desaparecidos per ricordare le vittime delle dittature militari, ma non solo. Amnesty International denuncia infatti che la sparizione di oppositori o di semplici sospetti di terrorismo è ancor oggi pratica vigente in paesi come la Colombia, il Guatemala, l’Uganda, il Sudan, gli Stati Uniti, il Pakistan, il Nepal, lo Sri Lanka e altri ancora. È un invito alla vigilanza e alla mobilitazione, con gli strumenti e nelle sedi adeguate, perché tutto questo abbia fine. Piuttosto presto, possibilmente.

 

La notizia dell’improvviso aggravarsi delle condizioni di salute del Card. Carlo Maria Martini che ci ha raggiunti stasera è di quelle che, benché nell’ordine delle cose, lascia dolorosamente smarriti. Anche se, come sosteneva Panikkar in uno scritto che abbiamo  riportato qualche giorno fa già viviamo nel tempeternità, però poi, come con ogni persona cara, viene da pensare che se anche se ne stesse lì senza parlare né scrivere, come già non stava più facendo, però ci sarebbe. Ancora non si è abituati  (e forse non lo saremo mai) all’esserci diversamente. O è a poco a poco che ci se ne fa una ragione. Beh, a conclusione, ci viene da dedicare a lui, già vescovo di molti di noi, il brano finale di una predica di fine settembre 1934 di Dietrich Bonhoeffer, che, con il titolo “Venite a me, voi tutti” è riportata nel libro “Memoria e Fedeltà” (Qiqajon). Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

“Imparate da me”: guardate come io porto questo giogo, e portatelo anche voi allo stesso modo. “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”. Questo dunque è il giogo che egli porta: la sua mitezza e la sua umiltà; questo è il giogo che dobbiamo prendere su di noi. Gesù sa che esso ci aiuta a far più lieve il nostro carico. […] A chi vuol portare questo giogo, a chi vuole imparare da Cristo è consegnata una grande promessa: “Troverete riposo per le vostre anime”. Ecco, questa è la conclusione, questo riposo è il punto d’arrivo; anzi, esso è già qui, sotto il giogo di Gesù, aggiogato a lui nella mitezza e nell’umiltà. Ma solo quando ogni carico cadrà ci sarà il riposo pieno, quel riposo che tanto desideriamo. E nella prospettiva di una tale beatitudine della speranza, di una tale liberazione dall’affanno e dalla colpa, ci è concesso di dire già fin d’oggi che il giogo di Cristo è dolce e il suo carico leggero. Ma guai a chi si trastullasse con questa parola, come se volesse dire che la sequela di Cristo è qualcosa di leggero e di facile! La comprenderebbe molto di più chi si ritraesse pieno di spavento di fronte alla serietà e terribilità di questa sequela di Cristo, chi non osasse avvicinarsi ad essa per timore di ciò che può comportare per la vita concreta. Ma a chi ha capito cosa significhi Gesù Cristo e la sua volontà dobbiamo dire senza esitazione: “Vai dunque da Gesù e prendi su di te il suo giogo, e vedi: tutto, tutto improvvisamente si è mutato; tutte le angosce, tutti i terrori svaniscono”. Sì, tutt’a un tratto, di colui che è presso Gesù si può realmente dire: “Il mio giogo è dolce”. Ma ecco, per concludere, c’è un interrogativo che permane qui tra noi, e dobbiamo chiamarlo per nome, perché non finisca per turbarci. Ci vien da dire: “Ma Gesù è morto, come facciamo ad andare da lui? Come può consolarci, come può aiutarci?”. Che altro rispondere se non: “No, Gesù vive, vive qui in mezzo a noi; cerca solo di vederlo, qui a casa tua, chiamalo, interrogalo, pregalo, e tutt’a un tratto sarà presso di te e tu saprai che egli vive. Non lo vedi, gli parli; non lo senti, ma sai che è là, che aiuta, che consola. Soprattutto: tu prendi su di te il suo giogo, e diventi lieto e attendi e desideri ardentemente il riposo ultimo presso di lui”. “Ancora un breve tempo, poi sarà vittoria, / tutta la lotta si dissolverà nel nulla: / alle sorgenti della vita mi potrò allora ristorare / e in eterno, eternamente con Gesù parlare”. (Epigrafe sulla tomba di Kierkegaard). (Dietrich Bonhoeffer, Memoria e fedeltà).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro

Giorno per giorno – 30 Agosto 2012ultima modifica: 2012-08-30T22:44:00+02:00da fraternidade
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