Giorno per giorno – 29 Agosto 2012

Carissimi,

“Erode aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodiade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata. Giovanni diceva a Erode: Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello” (Mc 6, 17-18). Sappiamo come è finita e, infatti, oggi celebriamo il martirio di quel profeta coraggioso. Stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, ci dicevamo che in ballo non c’era e non c’è solo l’adulterio ufficializzato di Erode – perché allora non vedremmo in che modo possa essere ancora, per noi, oggi, parola di Dio, anzi, sua “buona notizia”. C’è, in esso, qualcosa che riguarda in primo luogo chi è chiamato ad essere “pastore” del popolo, sua guida, politica o religiosa che sia, ma anche ciascuno(a) di noi, alle cui cure e responsabilità è affidato ogni altro. Adulterio è, in tal caso, figura del venir meno a questa missione, tradire questa vocazione, dedicarsi ad altro, votarsi a un idolo che ci pare più interessante e lucroso per la nostra vita: un certo sistema, mammona, la ricchezza, il potere, il successo, il piacere, il divertimento. Costi quel che costi. Il meno possibile a noi, ovviamente. La buona notizia è che si può dire di no al tradimento, in noi stessi e negli altri, e si può denunciarlo e chiamarlo per nome, per impedire che l’ingiustizia abbia il sopravvento. E questo a costo della vita. La nostra, ovviamente. Non sempre, sperabilmente, in modo violento. Ma nella forma del martirio quotidiano, della “testimonianza” resistente, tenace, cocciuta, con cui si rivendica il valore e la dignità di ogni vita, a partire da quella degli ultimi. Di cui, nel nome di Gesù, abbiamo sposato la causa.  

 

Oggi il calendario ci porta, dunque, la memoria del Martirio di Giovanni Battista.

 

29_MARTIRIO_DE_JO_O.JPGLe circostanze della vita e del martirio  del Battista le ricaviamo dal Vangelo e dalla tradizione. Nell’anno 150 dell’imperatore Tiberio (27-28 d.C.), Giovanni, che viveva dalla prima giovinezza una vita dura e austera, iniziò la sua missione, chiamando il popolo a conversione, in vista di un giudizio divino che egli prevedeva imminente. Denunciando soprattutto l’ipocrisia di molti tra coloro che facevano parte dei movimenti religiosi del tempo, si guadagnò presto la simpatia e l’appoggio dei ceti più umili ed emarginati. Riconobbe e additò in Gesù, che fu da lui battezzato e ne fu forse discepolo per qualche tempo, il messia promesso. Condannò pubblicamente la peccaminosa condotta di Erode Antipa e della cognata Erodiade. Apparentemente questa fu la causa del suo arresto e della sua condanna a morte, decisa da Erode, ma, secondo il Vangelo, richiesta da Erodiade e strappata al re da Salomé, figlia di quest’ultima.

 

Noi ricordiamo anche la figura di uomo, piccolo e testardo, che entrò clandestino al banchetto dei poveri di qui e decise di restarci fino alla morte: Philippe Leddet, monaco benedettino.

 

29_FELIPE_LEDDET.JPGPhilippe Leddet era nato a Touraine, in Francia, il 30 agosto 1916. Il 27 maggio 1942 entrò nel monastero di Madiran (che nel 1951 si trasferirà a Tournay), dove iniziò con entusiasmo il suo impegno monastico. Nel 1961, rispondendo all’invito, diretto ai religiosi d’Europa dal papa Giovanni XXIII, di aprire fondazioni nel Terzo Mondo, un gruppo di monaci di Tournay, tra cui Filipe e Pedro, si recò in Brasile, fondando il monastero di Curitiba, che presto si caratterizzò come luogo di dialogo ecumenico e di impegno concreto a favore della giustizia. Nel 1977, la comunità, su invito di dom Tomás Balduino, si trasferì a Goiás, con l’intenzione di approfondire la scelta dell’inserimento tra i poveri. Per alcuni anni i suoi membri vissero una situazione di diaspora e Filipe scelse di abitare in una casupola alla Vila União, nella periferia povera della città, collaborando con la Pastorale della Terra, dedicando i suoi sforzi a favore della lotta dei sem-terra e alla creazione della Scuola Famiglia Agricola. Il 27 febbraio 1985 i monaci ripresero la loro vita comunitaria, su un terreno donato loro dall’Ospizio della città. Filipe continuò quello di sempre. Durante la sua ultima visita in Francia, morì improvvisamente di infarto, a Tour, il 29 agosto 1996, un giorno primo di compiere ottant’anni.

 

Le letture di oggi sono ovviamente proprie della festa che celebriamo e sono tratte da:

Profezia di Geremia, cap. 1,17-19;  Salmo 71; Vangelo di Marco, cap. 6,17-29.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale che ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.

 

Non sapevamo bene quale testo offrirvi a conclusione di questa nostra lettera, poi ci è capitato di leggere l’intervento che Dom Pedro Casaldáliga aveva presentato, col titolo “Los pobres, interpelación a la Iglesia” al Congesso di Teologia di Madrid nel settembre 1996, ed esso ci è parso straordinariamente attuale e ben legato al Vangelo e alle nostre memorie di questo giorno. Sicché, nel congedarci, ve ne proponiamo un brano, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La bestemmia dei nostri giorni, la suprema eresia, che finisce per essere sempre idolatria, è oggi la macroidolatría del mercato totale. Questa è la grande bestemmia del nostro tempo, l’eresia suprema, l’estrema idolatria, consapevole o no. E, forse, costituisce anche l’omissione della chiesa, l’insensibilità delle religioni, davanti ala macroingiustizia istituzionalizzata del neoliberismo, che è essenzialmente peccato, peccato mortale, assassino e suicida. Per sua propria natura, dico, il neoliberismo esclude la stragrande maggioranza dell’umanità. Questo è il peccato del mondo, e questo può essere il peccato della chiesa. Questo, la nostra mancanza di fede, l’irreligione, l’altra morte di Dio in tante vite umane uccise, negate! Mi sconvolge sentire e vedere tanti settori della chiesa, persino teologi, cadere nella tentazione di passare ad altri paradigmi, perché sono stanchi di parlare e sentir parlare dell’opzione per i poveri, della giustizia e della liberazione e perché questo mondo (qui Paolo diverrebbe furioso) chiede ora che tutto sia light, anche la teologia, la spiritualità più connivente, una sorta di fede del benessere. Mi è capitato di dire recentemente che, oggi, ci sono tre tentazioni che minacciano la chiesa e, a loro modo, tutta l’umanità: la tentazione di rinunciare alla memoria, la tentazione di rinunciare alla croce e la militanza e la tentazione di  rinunciare all’utopia, alla speranza, proprio quando, in contropartita, sono sempre più attuali, più luminose, quelle tre autodefinizioni che Dio ci ha lasciato di sé nella stessa Bibbia: “Io sono colui che ha udito il grido del popolo ed è sceso a liberarlo, io sono la liberazione; io sono Jhwh, colui che vedrete chi sono, io sono il futuro, il vostro futuro; e io sono l’amore” (dice chi se ne intende che la parola di Giovanni sarebbe meglio tradotta: “Dio consiste in Amare”). A partire da queste tre autodefinizioni, devono essere vinte le tentazioni. Rinunciare alla memoria è rinunciare alla nostra fede, noi siamo figli della memoria: “Ricorda, Israele”, “Fate questo in memoria di me”, quella memoria sovversiva che abbiamo ereditato. Rinunciare alla croce, alla militanza, è rinunciare all’amore, e sappiamo di che amore si tratta, no? L’inno dell’amore di Paolo, e soprattutto la parola sull’amore di Gesù: “La prova maggiore è dare la vita”. (Pedro Casaldaliga, Los pobres, interpelación a la Iglesia).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Agosto 2012ultima modifica: 2012-08-29T22:29:00+02:00da fraternidade
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