Giorno per giorno – 27 Maggio 2012

Carissimi,

“Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20, 22-23). Ed era il giorno di Pasqua, cinquanta giorni fa. Che, poi, un primo dono dello Spirito, Gesù l’aveva già fatto, morendo, sulla croce. Giovanni annota infatti: “chinato il capo, diede lo Spirito” (Gv 19, 30). Stamattina, durante la celebrazione che si è tenuta nel Giardino della Risurrezione, o nel “bosco” (come lo chiamano alcuni) del vecchio (ma neanche tanto) monastero, ci dicevamo che lo Spirito era stato il respiro che aveva animato tutta la sua camminata ed era ormai, a quel punto, ciò che solo gli restava. E, dato che tutta la sua vita era stata un dono, anche l’ultimo respiro, il suo Spirito, appunto, doveva esserlo. E lo donò. Il mistero che dice Gesù e il Padre e lo Spirito si consuma tutto sulla croce: passione, morte, risurrezione, ascensione, pentecoste. È la celebrazione dell’amore più forte della morte che si propone come senso ultimo alle nostre vite. Attraverso un soffio di silenzio, proprio come un tempo era successo ad Elia, quando aveva desiderato sentire la presenza di Dio (1Re 19, 12). Quello che segue, nel racconto di Giovanni, è una paziente catechesi di che cosa significhi il dono dello Spirito. E di chi sia lo Spirito. Spirito è Dio, rivelatosi nel Crocifisso, che si consegna a noi come respiro della nostra vita. Ci fa responsabili di Lui e della sua verità. Ci consegna la leva capace di trasformare il mondo. Ci fa agenti di liberazione, giustizia, pace, perdono, riconciliazione, dialogo. Ma, guardando a noi, quale spirito possiamo dire sia il respiro della nostra vita? Il Suo Spirito?.     

 

PENTECOSTE.jpg

Oggi, solennità della Pentecoste, la Chiesa celebra l’effusione dello Spirito e dei suoi doni, della sua grazia, creatività, forza, coraggio, allegria, pace, tenerezza e amore, sulla comunità dei fedeli e, in diverso modo, su tutta l’umanità e sull’universo intero.

 

Nella chiesa delle origini, la Pentecoste (“il cinquantesimo” giorno) faceva tutt’uno con la festa di Pasqua, di cui costituiva la chiusura. Sovrapponendosi all’antica festa ebraica di Shavuot – le Settimane -, che celebrava il dono della Legge sul Sinai, la Pentecoste cristiana ne adeguò il significato alla vita delle comunità che riconoscevano come Signore Gesù di Nazareth, il Messia crocifisso, che il Padre aveva risuscitato.  Essa venne a significare il dono dello Spirito, che perpetua la presenza di Gesù tra i suoi, e rende capaci di testimoniarne la verità. A partire dal IV secolo, la festa venne via via assumendo una sua autonomia liturgica, che la portò ad essere celebrata con una solennità tutta particolare, non inferiore a quella della Pasqua. È solo con la riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II che, rifacendosi alla più antica tradizione, Pentecoste, pur conservando una celebrazione degna della festività, recuperò il suo carattere di conclusione dei cinquanta giorni della festa di Pasqua.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.2, 1-11; Salmo 104; 1ªLettera ai Corinzi, cap.12, 3-7. 12-13; Vangelo di Giovanni, cap.20, 19-23.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e Chiese cristiane.

 

Oggi è memoria di Agostino di Canterbury, missionario e pastore,  di Giovanni Calvino, riformatore della Chiesa, di padre Enrique Pereira Neto, martire  in Brasile, e di Segundo Galilea, testimone della radicalità del Vangelo.

 

27 AGOSTINHO DE CANTUARIA.jpgDi Agostino sappiamo che era priore del monastero benedettino di Sant’Andrea al Celio di Roma e che, nel 596, fu inviato dal papa Gregorio Magno a evangelizzare l’Inghilterra, con altri quaranta monaci. Quando la comitiva, durante il viaggio, venne a conoscenza della bellicosità dei sassoni, Agostino pensò: è più prudente rinunciare. E, di fatto, tornó a Roma, dicendo al Papa che non era il caso. Ma, inutilmente. Imbarcatisi nuovamente e giunti a destinazione, i timorosi evangelizzatori scoprirono la missione più facile del previsto. La sposa del re, la cattolica Berta, aveva ammansito il cuore del re Etelberto, che si convertì e chiese il battesimo insieme a molti dei suoi sudditi.  Eletto arcivescovo di Canterbury e primate di Inghilterra, Agostino organizzò la nuova giurisdizione ecclesiastica. Contribuì alla diffusione del canto gregoriano in Inghilterra. Morì  il 26 maggio 604, ma la sua memoria, nella chiesa cattolica,  è celebrata oggi.

 

27 Jean Calvin bis.jpgGiovanni Calvino  (il suo nome in realtà è Jean Cauvin), era nato a Noyon, in Picardia il 10 luglio 1509, da Gérard e Jeanne Le Franc. Il padre, finanziere e uomo di legge, curava gli affari del vescovo locale e sembra che ne seppe quanto basta per divenire anticlericale e morire in seguito scomunicato.  Giovanni, che era stato mandato  a Parigi per studiarvi teologia,  preferì Diritto e si recò a Orleans, dedicandosi poi agli studi umanistici. Intorno al 1532 aderì alla Riforma di Lutero e, dopo essersi dedicato alla lettura e allo studio della Bibbia, nel 1536 pubblicò la prima edizione de L’Istituzione della religione cristiana, in cui espose i principi della sua teologia. Passando da Ginevra, venne invitato da Guillaume Farel a prestare assistenza ai simpatizzanti della Riforma. Ed egli dotò la chiesa ginevrina di un ordinamento giuridico e di una disciplina del culto e redasse per essa un Catechismo e una Confessione di Fede. La sua azione non fu esente da atteggiamenti intolleranti, com’era piuttosto comune a quei tempi. Temporaneamente bandito da Ginevra, sposò Idelette de Bure, vedova di un anabattista, e scrisse numerosi commenti alla Bibbia. Nel 1541 rientrò a Ginevra, organizzando negli anni successivi la vita religiosa, sociale e politica della città elvetica. È forse interessante notare che Calvino, al contrario di Lutero, riteneva doveroso rovesciare lo Stato che coprisse l’ingiustizia con il manto del legittimismo. Sulla sua scia, la Confessione Scozzese del 1560, di chiara ispirazione calvinista, classificherà tra le opere giudicate buone da Dio la resistenza alla tirannia e la difesa degli oppressi. Calvino morì il 27 maggio 1564. Prima di spirare disse: “Signore tu mi schiacci, ma a me basta che sia la tua mano a farlo!”.

 

27 Enrique P. Neto.jpgP. Enrique Pereira Neto era coordinatore della Pastorale dell’Archidiocesi di Olinda e Recife, stretto collaboratore di dom Helder Câmara. Per aver denunciato ripetutamente e apertamente il sistema repressivo del governo militare, cominciò a ricevere minacce di morte, finché il 26 maggio 1969 fu sequestrato dalla polizia. Il suo corpo fu ritrovato il giorno seguente, appeso ad un albero, a testa in giù, con segni evidenti di tortura: lividi e bruciature di sigarette, tagli profondi in tutto il corpo, castrazione e due ferite di arma da fuoco. Aveva 28 anni ed era prete da tre anni e mezzo. I funerali furono presieduti dall’arcivescovo di Recife nella chiesa matrice del bairro Espinheiro. Poi, migliaia di persone seguirono a piedi la bara portata a braccia fino al cimitero di Várzea, a dieci chilometri di distanza dalla chiesa.   

 

27 Segundo Galilea.jpgSegundo Galilea era nato a Santiago del Cile il 3 aprile 1928. Fu ordinato sacerdote il 22 settembre 1956. All’inizio degli anni ’60 collaborò alla preparazione di missionari nel Centro Intercultural de Formación (C.I.F.), fondato da Ivan Illich, a Cuernavaca (Messico). Il Consiglio Episcopale Latino-Americano lo volle poi direttore dell’Istituto Pastorale Latino-Americano, con l’incarico di far conoscere  e approfondire gi insegnamenti del Concilio Vaticano II. Viaggiò instancabilmente in tutta l’America Latina, impegnato a proporre riflessioni, ritiri e esercizi spirituali. Successivamente, per conto delle Pontificie Opere Missionarie organizzò, con altri sacerdoti, un istituto destinato alla formazione di missionari per l’estero. Compì numerosi viaggi nelle Filippine e in Corea del Sud; negli Stati Uniti lavorò con numerose comunità di immigrati. Membro della fraternità sacerdotale di Charles de Foucauld, fu esponente della Teologia e della Spiritualità della liberazione. In coerenza con la scelta dei poveri, visse sempre con grande semplicità e povertà, alla sequela appassionata di Gesù povero e obbediente. Quanto ricavava dai diritti d’autore e dalle sue attività, lo donava alla sua archidiocesi perché finanziasse ritiri spirituali nelle aree più povere del Paese. Nel 2000 partì per Cuba, dove gli fu affidato l’incarico di direttore spirituale nel seminario di San Carlos. Di questa esperienza ebbe a dire: “A Cuba si lavora con pochi mezzi, pochi sacerdoti e religiosi, ma si impara a vivere il meglio della vita, a vivere il tutto e il poco, a valorizzare l’essenziale”. Ritornato in patria per motivi di salute, visse i suoi ultimi anni a Santiago del Cile, occupando una cameretta nel locale seminario, fino alla sua morte, avvenuta il 27 maggio 2008. Aveva detto un giorno: “Se vogliamo una Chiesa più missionaria, più coerente e più testimoniale, più partecipativa nella comunione, significa che vogliamo una Chiesa più spirituale, più orante e più contemplativa, ossia, più bella”.

 

SHAVUOT.jpgIl tramonto di ieri sera segnava, per il Calendario ebraico, l’entrata nel sesto giorno del mese di Sivan, quando si celebra la festa di Shavuot, ovvero delle [sette] Settimane da Pesach (Pasqua). Essa è detta anche Pentecoste, ad indicare il Cinquantesimo [giorno], sempre a partire dalla Pasqua, o Chag Habikkurìm (Festa delle Primizie del raccolto), o ancora, Zmàn Mattàn Toratènu (Tempo del Dono della nostra Legge). La festa dura un giorno solo in Israele, mentre nelle comunità della diaspora si prolunga sino a domani. È una delle tre feste che, prima della distruzione del Tempio, erano caratterizzate dal pellegrinaggio a Gerusalemme, e per questo erano dette Shelosh Regalim (tre pellegrinaggi). È celebrazione del duplice miracolo del Sinai: il discendere di Dio verso il suo popolo e la proclamazione del Decalogo, ma è anche confermazione della promessa fatta allora dal popolo a Dio: “na’assè venishmà”, “faremo e ascolteremo”. Praticheremo la tua legge, prima ancora di capirla a fondo, anzi, prima ancora di ascoltarne i precetti. Come succede tra innamorati, quando ci si fida e ci si ama davvero.

 

Per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Segundo Galilea, tratto dal  suo libro “L’amicizia di Dio. Il cristianesimo come amicizia” (Edizioni Paoline). Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

L’amicizia di Gesù, pur restando universale e indiscriminata, ha nel contempo delle predilezioni testimoniate dai Vangeli e dalla tradizione cristiana: l’amore speciale di Gesù per i poveri e i sofferenti, la sua preoccupazione per i traviati e per le “pecore che non hanno pastore” (Mc 6, 34). Sappiamo anche che la fraternità cristiana, perché sia totale, deve imitare Gesù pure nelle predilezioni della sua amicizia. Perché queste “preferenze” dell’amore di Gesù e della carità fraterna? Per capire questo mistero, nei limiti del possibile, dobbiamo osservare più da vicino la natura dell’amicizia che Gesù ha per noi. Questa amicizia ci si offre non in astratto, ma concretizzata nella storia dell’uomo e nella realtà della condizione umana. È l’amicizia fra un Dio fatto uomo ed esseri umani che sono stati creati; che, pertanto, sono limitati, soggetti a tutte le contingenze e orientati verso la morte; che inoltre sono sottomessi al male morale, e che vivono, in gradi e modi molto diversi, l’esperienza del peccato. In sostanza, gli amici di Gesù non sono perfetti neppure come esseri umani, e nella sua amicizia Cristo li trova afflitti da una sequela di miserie. Ma Cristo non è soltanto amico, bensì salvatore e liberatore, e la sua amicizia si traduce in un’efficace solidarietà nei riguardi delle miserie dell’amico. È un elemento fondamentale nell’amicizia di Cristo liberare ed elevare l’amico, aiutarlo ad abbandonare le sue miserie, compreso il peccato e la morte: l’amicizia di Gesù è misericordiosa; Gesù incarna la misericordia di Dio. Pertanto, la relazione d’amicizia dell’uomo con Gesù, da una parte, è di uguaglianza; e, dall’altra, non lo è. L’uguaglianza proviene dalla stessa natura dell’amicizia, che pone gli amici sul medesimo piano, l’uno identificandosi con l’altro e dipendenti l’uno dall’altro. La disuguaglianza si deve al fatto che Gesù è anche Dio, che è pura misericordia, mentre l’uomo è miseria, necessità di misericordia e liberazione. In questa amicizia sono in relazione la misericordia e la miseria. (Segundo Galilea, L’amicizia di Dio. Il cristianesimo come amicizia).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro

Giorno per giorno – 27 Maggio 2012ultima modifica: 2012-05-27T22:23:00+02:00da fraternidade
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