Giorno per giorno – 26 Maggio 2012

Carissimi,

“Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (Gv 21, 25). Sono le battute finali del Vangelo di Giovanni. Che, in realtà, aprono su di noi. Poco prima, Gesù aveva confermato Simon Pietro nel suo ufficio di pastore, poi aveva previsto “con quale morte egli avrebbe glorificato Dio” (v.19) e infine ne aveva in qualche modo censurato la curiosità sul destino dell’altro discepolo. Come dire che ciascuno ha il suo cammino, che Dio protegge nella sua inviolabilità: “A te che importa? Tu seguimi” (v.22). Già, succede abbastanza spesso, a livello ìndividuale, o di comunità, più ancora di movimenti, di chiese, di religioni, di pretendere, o almeno desiderare, che gli altri seguano la nostra strada, identificandola tout court con la Sua. E, invece, Lui, a cui la fantasia non manca davvero, ce ne ha in serbo una diversa (e anche più d’una) per ciascuno. La festa della Pentecoste in cui stiamo entrando in queste ore, celebra appunto la fantasia di Dio. E gli infiniti modi in cui Egli scrive nella vita dei suoi cuccioli quello che noi conosciamo come il significato di Gesù, la verità del suo Nome, la Sua cura per noi e quella che genera in noi per gli altri. E negli altri per noi. Che davvero, se decidessimo di metterli per iscritto, non basterebbe il mondo intero per contenere tutti i libri che ne verrebbero fuori.

 

Il calendario ci porta oggi è memoria di  Filippo Neri,  il prete dell’allegria, di don Cesare Sommariva, “don Cece”, maestro e preteoperaio, e di Abd el Kader, mistico islamico.

 

26 FILIPPO NERI.jpgFilippo Neri era nato a Firenze il 21 luglio 1515, nella famiglia di un notaio. Per un certo tempo, aveva pensato di seguire il padre nella sua professione. Poi cambiò d’idea e andò via dalla città, trasferendosi prima a Cassino e poi, nel 1538,  a Roma. Lí cominciò a lavorare tra i ragazzi delle borgate e li lasciava fare tutto il casino che volevano, perché pensava che comportarsi male non consiste nel contravvenire il galateo, ma è altro. Poi, a quelli che se la sentivano,  gli insegnava a leggere la Bibbia, a cantare e li portava perfino a messa. Fondò una confraternita di laici che si incontravano per pregare e per dare aiuto ai pellegrini e ai malati. A 36 anni il suo confessore decise che era bene che fosse ordinato prete e Filippo obbedì, dando vita,  poco dopo, all’Oratorio, una congregazione religiosa di sacerdoti, impegnati in particolar modo nell’educazione dei giovani.  A scanso di possibili delusioni, pregava spesso così: “Signore, non aspettare da me se non male e peccati; Signore, non ti fidar di me, perché cadrò di certo, se non m’aiuti”. La gente faceva fila davanti al confessionale, perché non era malato di testa e dicevano che sapesse leggere nei cuori. Morì ottantenne, il 26 maggio 1595.

 

26 CESARE.jpgCesare Sommariva era nato a Milano l’8 gennaio 1933 in una agiata famiglia della borghesia milanese. Conseguita la maturità classica, era entrato in seminario e, dopo gli studi di teologia, fu ordinato prete, il 26 giugno 1955. Inviato come coadiutore nella parrocchia di Pero, nell’hinterland milanese, vi restò fino al 1970. Nel frattempo aveva conosciuto e stretto amicizia con don Lorenzo Milani, con cui condivise il progetto di restituire la parola ai poveri che ne erano stati espropriati, favorendo l’acquisizione di un pensiero autonomo, capace di sottrarsi ai luoghi comuni e alle sirene dell’ideologia dominante. Nacque così l’esperienza delle scuole popolari di quartiere e dei doposcuola. Nel 1970 fu incaricato con altri due confratelli di dare vita a una nuova parrocchia nella periferia della città operaia di Sesto San Giovanni. Dopo quattro anni chiese ed ottenne di iniziare la vita di prete operaio. Assunto alla Redaelli di Rogoredo, una grande acciaieria nella periferia Sud di  Milano, vi rimase fino alla crisi dell’azienda, condividendo con gli altri operai il massacrante orario di lavoro dei tre turni. Nel 1977 ottenne di fare vita comune con altri due preti operai: nacque così la Comunità San Paolo, a cui nel 1980 fu affidata la cura pastorale del quartiere Stella di Cologno Monzese. Nel 1986, ormai pre-pensionato, in seguito alla definitiva chiusura della Redaelli, avvenuta nel 1984, chiese al card. Martini di essere inviato come prete  fidei donum in Salvador, negli anni dello scontro tra il dittatore Duarte e le forze della guerriglia raccolte nel Fronte di Liberazione Nazionale Farabundo Marti. Nel 1992 Mons. Rivera y Damas, che, nel 1980, era succeduto a mons. Romero, lo nominò parroco della parrocchia di San Roque, nella periferia più povera della capitale. Colpito da una forma di epatite, che andò progressivamente aggravandosi, continuò a spendersi al limite delle forze, fino al definitivo rientro in Italia, nel 2004. Qui, nell’affrontare la malattia che faceva il suo corso, visse momenti di sofferta depressione e di abbandono radicale al suo Dio. Fino alla morte, avvenuta il 26 (ma, secondo altre fonti che scopriamo all’ultima ora, il 19) maggio 2008. La Chiesa di Milano ha scritto di lui: “A volte cerchiamo modelli di vita perché ci aiutino a camminare. Don Cesare non è un santino da immaginetta, ma un eccezionale prete scomodo che ha seguito il Signore con fedeltà ed amore”.

 

26 ABD_EL_KADER bis.jpgAbd el Kader era nato nel villaggio di Guetna, poco distante da Mascara, in Algeria, nel 1808. Era stato educato nella zaouia diretta da suo padre, Si Mahieddine e, in seguito, aveva completato la sua formazione a Arzew e a Orano, sotto la guida di maestri prestigiosi. Dopo la presa d’Algeri, nel 1830, padre e figlio parteciparono alla resistenza, che elesse Abd el Kader emiro e gli affidò il comando del fronte anti-coloniale. Arresosi ai francesi nel 1847, Abd el Kader, dopo sei anni di prigionia in Francia, scelse la via dell’esilio, stabilendosi, nel 1855, a Damasco, in Siria, dove abiterà fino alla morte nella casa di Ibn Arabi, il mistico, vissuto sei secoli prima, che egli considerava suo maestro. Non lascerà, più il paese, se non per brevi viaggi e un pellegrinaggio alla Mecca, consacrando il suo tempo alla meditazione, alla preghiera, all’insegnamento e alla beneficienza. Nel 1860, i moti di Damasco gli fornirono l’occasione di mostrare la grandezza del suo animo. Dimentico dei soprusi a suo tempo subiti, salvò migliaia di cristiani dal massacro, inducendo i rivoltosi a ritirarsi. Celebrato e onorato, Abd el Kader si spense a Damasco il 26 maggio 1883.

 

I testi che la litugia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.28, 16-20. 30-31; Salmo 11; Vangelo di Giovanni, cap.21, 20-25.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Alla fine di marzo del 1984, in un ennesimo incontro in regione il commissario straordinario conferma che ormai la decisione di chiudere la Sidas è stata presa e si attendono a giorni gli adempimenti formali da parte del governo. Quando la notizia giunge in assemblea l’effetto è indescrivibile. Sul momento decidiamo di stendere una lettera da inviare a Brugger. È un testo breve ma riassume lo stato d’animo di tutti ed è in fondo la miglior testimonianza con cui si possono leggere i cinque anni di lotta per salvare la Redaelli”. Sono le parole con cui don Cesare Sommariva chiarisce le circostanze che portarono lui e gli altri operai della Sidas a redigere e inviare la lettera di accusa a chi aveva deciso la fine della loro fabbrica. Della sua perdurante attualità, in condizioni semmai aggravate, ciascuno di noi può giudicare. La lettera, l’abbiamo trovato nel sito dei Pretioperai ed è, per oggi, il nostro


PENSIERO DEL GIORNO

Un profondo senso di rifiuto e di angoscia ci ha preso quando, nell’assemblea di venerdì 30 aprile 1984, abbiamo ascoltato quanto Lei ha detto in regione il giorno precedente. Per Lei “lettere di licenziamento” sono tre parole che sono “una conseguenza inevitabile”. Per ciascuno di noi quelle parole sono un attacco e un insulto alla nostra dignità, alla vita nostra e delle nostre famiglie. Da cinque anni noi viviamo la sofferenza dell’incertezza. Lei queste cose può certamente conoscerle, ma non può “saperle”. Per Lei noi possiamo apparire come “conseguenze” in mezzo o in fondo a un bilancio le cui cifre si possono non difficilmente manovrare. Ma questa “morale” noi la rifiutiamo. Per noi la vita umana, la dignità dell’uomo, il diritto di tutti a vivere in modo uguale, viene prima delle cifre e dei bilanci. Sappiamo che attualmente questa morale è perdente. Ma allora ci sembra che sia perdente anche la vita. A chi e a cosa serve la Sua professione? Le abbiamo scritto queste cose perché sappia che la nostra condizione di classe ci porta ad avere una morale in contraddizione con la Sua. Appunto per questo noi Le auguriamo di non dover mai provare nella Sua vita l’offesa, la sofferenza, l’incertezza che noi stiamo provando. All’unanimità in assemblea abbiamo approvato il fatto di scriverLe così. Alleghiamo il foglio con le firme di chi ancora è presente. Gli operai della Redaelli di Rogoredo. (Cesare Sommariva, Le due morali: una lettera di 167 operai più uno).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Maggio 2012ultima modifica: 2012-05-26T23:53:00+02:00da fraternidade
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