Giorno per giorno – 01 Marzo 2011

Carissimi,

“Pietro disse allora a Gesù: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (Mc 10, 28). Matteo, nel racconto parallelo a questo di Marco, esplicita la domanda che qui è solo sottesa: Che cosa ne otterremo? (Mt 19, 27). È una domanda che Gesù non avrebbe mai posto a suo Padre e che forse, perciò, non si sarebbe aspettato dai suoi discepoli. Ciò che speravano di ottenere non l’avevano forse già ottenuto? Non era Lui lì con loro, non rappresentava la somma di tutti i doni che Dio può dare: se stesso? Ma, Gesù conosceva abbastanza bene i suoi e sapeva che l’amicizia e l’intimità con Dio era una cosa ancora troppo astratta e loro avevano bisogno di segni più concreti. Noi, poi, dal canto nostro, neanche a parlarne. Pietro poteva con qualche ragione dire: abbiamo lasciato tutto. Noi non si è lasciato niente e ci si aspetta nondimeno tutto. Sicché la domanda, formulata da noi, avrebbe semmai potuto essere solo nella forma ipotetica: se noi decidessimo un giorno di lasciare tutto. O, per essere più modesti nelle nostre ambizioni: se ci capitasse mai di compiere un gesto generoso, o persino, per qualche tempo, di dimenticarci di noi per preoccuparci di un altro – come è auspicabile succeda nel matrimonio, in un’amicizia, nel rapporto tra genitori e figli, o ancora, in una comunità, nella cura che un pastore assume nei confronti dei fedeli, o in quella che questi hanno nei confronti gli uni degli altri – se questo dunque succedesse, ce ne verrebbe qualcosa? Questo comunque rivelerà che anche nella rinuncia limitata e temporanea a qualcosa, continueremo ad essere servitori preoccupati del loro salario. Gesù, del resto, lo sa e non resta certo lì a farci le pulci, ma ci offre un criterio per stabilire se davvero noi, almeno qualcosa, la si sia lasciata (la casa, o fratelli, o sorelle…), non semplicemente per girare il mondo o per una nostra incapacità di amare, ma a causa delle relazioni nuove del Regno. Tale criterio è che, di ciò che siamo stati capaci di lasciare (cioè di non amare possessivamente), avremo avuto in ritorno il centuplo. Se vogliamo davvero fare i ragionieri del regno, mettiamoci allora a contare: quanti figli, fratelli, sorelle, madri, case e campi (non padri, perché di Padre ce n’è uno solo, gli altri, nella migliore delle ipotesi, sono facenti funzione), quanti di tutti costoro, o di tutto ciò, ce li troviamo moltiplicati accanto, come sorprendente, inatteso, puro dono di grazia? Non sarà che invece ci si ritrovi piuttosto inaciditi a constatare: ma come? mi sono dato tutto e non mi ritrovo niente. Dipenderà dal fatto che ci siamo portati appresso il carico più ingombrante, che non ha lasciato entrare altro: il nostro io.

 

Con le Chiese anglicana e luterana ricordiamo oggi la memoria di George Herbert, presbitero della Chiesa d’Inghilterra e poeta.

 

01 GEORGE HERBERT.jpgGeorge Herbert nacque a Montgomery-Castle, nel Galles, il 3 aprile 1593, quinto figlio di  Richard e Magdalen Newport Herbert. Dopo aver conseguito la laurea al Trinity College di Cambridge, il giovane George ebbe il posto di “pubblico oratore” all’universitá e divenne nel contempo membro del Parlamento. Tutto faceva presagire l’inizio di una carriera politica di successo, ma nel 1625,  alla morte di Giacomo I, Herbert, solo trentaduenne, decise di abbandonare simili ambizioni, per rispondere ad un’altra chiamata. Dopo il matrimonio, nel 1626, ricevette infatti l’ordinazione a presbitero e gli fu affidata la cura di una parrocchia rurale, a Bermerton, nel Wiltshire, dove nei pochi anni che gli restarono di vita si mostrò pastore attento ai bisogni spirituali e materiali del suo gregge. Quando seppe imminente la morte, chiamò l’amico Nicholas Ferrar, fondatore della comunità monastica di Little Gidding, e gli consegnò il manoscritto della sua raccolta di poesie, The Temple (Il Tempio), lasciando a lui la scelta di pubblicarlo o di distruggerlo. Morì nella sua parrocchia di Bermerton, il 1° marzo 1633. Nei cinquant’anni successivi, The Temple avrebbe raggiunto le tredici edizioni. Nel 1652, sarebbe stato pubblicato postumo anche un altro libro, questa volta in prosa, The Country Parson, his Character and Rule of Holy Life (“Il Parroco di campagna, Suo carattere e ruolo nella vita spirituale”).

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro del Siracide, cap.35, 1-15; Salmo 50; Vangelo di Marco, cap.10, 28-31.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

Noi ci si congeda qui, lasciandovi alla poesia di George HerbertThe Elixir”, tratta dal suo “The Temple”`, che è, per oggi, il nostro  

 

PENSIERO DEL GIORNO

Insegnami, mio Dio e mio Re, / a vederTi in tutte le cose, / E, qualunque cosa io compia, / a farla come fosse per Te. // Non avventatamente, come una bestia, / Che esegue un’azione; / Ma tranquillo per fare spazio a Te, / E darle la sua perfezione. // Un uomo che guarda un vetro, / può fissare su di esso il suo sguardo; / O, se vuole, può guardarvi attraverso, / E scrutare così il cielo. // Tutto può prender parte di Te: / Nulla è così meschino, / da non poter con la sua sostanza (per amor tuo), / crescere luminoso e puro. // Un servo con tale disposizione / Rende divino ogni lavoro ingrato: / Chi spazza una stanza, in obbedienza alle tue leggi, / fa di questo una cosa preziosa. // Questa è la pietra famosa / Che cambia tutto in oro: / Di ciò che Dio tocca e possiede / Non si può dire di meno. / (George Herbert, The Elixir).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Marzo 2011ultima modifica: 2011-03-01T23:04:00+01:00da fraternidade
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