Giorno per giorno – 11 Febbraio 2011

Carissimi,

“Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Gesù lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: Effatà, cioè: Apriti!” (Mc 7, 32-34). Debitamente evangelizzato dalla donna siro-fenicia, di cui il buon Dio si è servito come di una pedina per suggerire le necessarie correzioni di rotta al suo cammino (succede sempre così, Dio quasi mai si fa presente di persona, ci parla attraverso fatti, persone, cose), Gesù continua a muoversi in territorio pagano, questa volta nella Decapoli. E quando gli portano quel sordomuto e gli chiedono di guarirlo, pagàno anche lui, ovviamente, non fa una piega: ebrei o pagani che differenza fa? Così lo prende, lo conduce in disparte, a tu per tu. E già qui il sordo comincia a guarire. Sì, ma oggi che Gesù non c’è, cosa significa tutto questo? chiedeva Valdecí.  Rafael ha risposto: tutti noi siamo di volta in volta il sordomuto o i suoi amici e Gesù è la sua parola quando diventa vita della comunità. Forse per noi non è facile come è stato allora, proprio per i nostri limiti, però ogni tanto ci sembra davvero di fare l’esperienza di sentire un po’ di più, e anche di capire un po’ di più e quindi di riuscire, a nostra volta, ad annunciare e a testimoniare. E non è il catechismo che dobbiamo trasmettere, né delle formulette imparate a memoria, né le risposte già pronte per tutti i possibili dubbi. Gesù, quell’uomo,  si è limitato a prenderlo in disparte, e a mettergli le dita nelle orecchie e un po’ di saliva sulla lingua. E uno, oggi, ci può anche ridere su. Ma, a quello là, pagàno, ha aperto il flusso della comunicazione. Dio è, prima di tutto, questa comunicazione. E se il dito di Gesù sta ad indicare, come vogliono i Padri, l’azione dello Spirito, ecco che c’è un’anticipazione di ciò che sperimenterà Pietro, nell’incontro con il centurione Cornelio: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo (cultura, religione) appartenga, è a lui accetto” (At 10, 34-35). Eh, il vecchio buon Pietro, c’è arrivato anche lui alla fine. E sì, che sarebbe bastato stare un po’ più attento quel giorno, nel territorio della Decapoli.      

 

11_LOURDES.JPGLa Memoria di Nostra Signora di Lourdes, che la Chiesa cattolica celebra oggi è la maniera per ricordare il rendersi presente della madre di Gesù nella nostra vita e in quella della società e magari della Chiesa, per insegnarci come si dovrebbe essere. Presenti sempre anche noi ad ogni necessità altrui. Ridando vita nella nostra storia al Principio della cura. La memoria trae origine dalle apparizioni avute, tra l’11 febbraio e il 16 aprile 1858, da una giovane contadina analfabeta, Bernadette Soubirous. Una giovane sconosciuta, che Bernadette battezzò subito col nome di Aquerò (Quella là), in seguito le si rivelò con un nome ben più difficile a dirsi e ad intendersi: “Que soy era Immaculada Councepciou”. Aggiunse poi che era tempo che il mondo si desse una mossa. Ma il mondo sembra aver continuato imperterrito. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

 

Noi in questo giorno ricordiamo anche Abraham Johannes Muste, profeta di pace e di nonviolenza, e di Marie-Dominique Chenu, teologo del Concilio.

 

11 A. J. MUSTE.jpgAbraham Johannes Muste nacque l’8 gennaio 1885 a Zierikzee (Olanda), figlio di Adriana Jonker e Martin Muste. All’età di sei anni si trasferì con la famiglia negli Stati Uniti, di cui acquisì la cittadinanza. Sposato ad Anna Huizenga, nel 1909 fu ordinato pastore della Chiesa riformata. Ma, presto, deluso dagli insegnamenti di questa, passò ad essere pastore della Chiesa congregazionale, lasciandosi poi conquistare dal misticismo pacifista della Società degli Amici (quaccheri).  A cavallo tra gli anni venti e trenta, si coinvolse nelle lotte del movimento sindacale, scivolando su posizioni marxiste e trozkiste. Finché, un giorno del 1936, entrando in una chiesa durante un viaggio in Europa, sentì più forte che mai la convinzione che era la chiesa la sua vera casa e il suo cammino, con la proposta evangelica della pace e della nonviolenza. Negli anni della proliferazione nucleare, Muste si persuase che il mondo fosse entrato in una nuova epoca buia e che i cristiani erano chiamati a creare piccole oasi di coscienza e ragionevolezza. Ad un cronista che gli chiese un giorno se pensava di cambiare il mondo facendo veglie all’esterno delle basi nucleari, rispose: “Non lo faccio per cambiare il mondo. Lo faccio per impedire al modo di cambiarmi”. Ripetutamente arrestato per le manifestazioni e proteste organizzate, fu anche uno degli artefici dell’opposizione alla guerra in Vietnam. Nel 1966, già ottantaduenne fu arrestato a Saigon, per aver tentato di manifestare davanti all’ambasciata Usa. Morì l’11 febbraio 1967 dopo esser tornato da un viaggio in Vietnam del Nord, dove potè testimoniare di persona gli effetti dei bombardamenti nordamericani. Soleva dire: “Non esiste una via alla pace, la pace è la via”.

 

11 MARIE-DOMINIQUE CHENU.jpgMarcel Chenu era nato a Soisy-sur-Seine (Francia), il 7 gennaio 1895. Attratto dalla vita contemplativa, dalla liturgia, dallo studio e dalla vita di comunità, come egli stesso ebbe a confessare in seguito, entrò, diciottenne, nell’Ordine Domenicano, presso il convento di Le Saulchoir, a Kain, in Belgio. Qui fece la sua prima professione religiosa nel 1914, assumendo il nome di Marie-Dominique. Si recò, poi a Roma, a studiare teologia, all’Angelicum, sotto la guida del padre Réginald Garrigou-Lagrange. Fu ordinato presbitero nel 1919. Tornato in patria, l’anno successivo, fu nominato professore al Centro di Studi di Le Saulchoir (che nel 1939, si sarebbe trasferito a Étiolles, nei pressi di Parigi), dove rimase fino al 1942, quando fu costretto ad allontanarsene per la condanna del suo libro Une École de Théologie, uscito nel 1937 e diffuso per altro soltanto in sette/ottocento esemplari tra gli amici e gli allievi. La condanna intendeva colpire le proposte innovative di Chenu sulla necessità di diversi “stili teologici”, imposta dai mutamenti epocali in atto. Lasciato l’insegnamento di Le Saulchoir, Chenu fu assegnato al convento parigino di Saint-Jacques, dal quale fu allontanato nel febbraio del 1954, e inviato a  Rouen, per il suo coinvolgimento nella questione dei preti operai. Solo nel giugno del 1962 farà ritorno definitivamente a Parigi. Dal settembre al dicembre dello stesso anno, fu chiamato come perito al Concilio Vaticano II. La Costituzione conciliare Gaudium et Spes risente del contributo della sua teologia dell’incarnazione, della creazione, della praxis, della storia. Dopo il 1966 visse nel convento di Saint-Jacques, dove morì l’11 febbraio 1990.

 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro di Genesi, cap.2, 18-25; Salmo 32; Vangelo di Marco, cap.7, 31-37.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

 

È tutto, anche per stasera. Noi vi si lascia ad un richiamo – serio ed esigente di Marie-Dominique Chenu – sulla povertà evangelica, che ci riguarda tutti, se siamo cristiani. È tratta dal libro “La Parole de Dieu” (Éditions du Cerf). Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Noi ci troviamo, e dobbiamo di proposito rimanervi, nel terreno del “mistero”, del mistero di Cristo, la cui incarnazione è il modello supremo di ogni povertà. Poniamoci allora sotto la luce della fede, nel senso forte per cui la fede ci trasforma in un essere nuovo, nato in noi per opera di Cristo che ci divinizza. Certo, rimangono validi e urgenti i problemi della produzione e della distribuzione dei beni, del buon uso delle ricchezze, materiali e culturali, il problema della loro opportuna appropriazione e di una non meno opportuna socializzazione. Ma questa grande e assai difficile “moralizzazione” spetta ancora all’acutezza della ragione, di una ragione che ha preso coscienza delle condizioni concrete della crescente solidarietà degli uomini e dei popoli. La povertà “evangelica” è di un altro ordine, in cui non posso pormi se non nella comunione con il mistero. Chi non accetta il mistero di Cristo può certamente avvertire un consenso straordinario con alcuni tratti di un umanitarismo che esige di lottare per la giustizia e per la promozione di tutti gli uomini; e io, credente, non soltanto ne trarrò profitto, ma sarò ben lieto di trovare un elemento di dialogo, di coesistenza, per organizzare, insieme ai miei fratelli non credenti, un mondo abitabile per tutti. Ma per questo dialogo mi guarderò bene dall’addomesticare l’asprezza, la durezza dei termini evangelici, e il paradosso che essi esprimono. E il paradosso è esattamente la forma che si conviene all’enunciato del mistero. Ben lungi dall’edulcorarlo, bisogna mantenerlo nella sua interezza, perché mi ricordi costantemente dell’alto livello di cuore e di spirito in cui debbo pormi. Mi rallegrerò dell’incontro tra le diverse forze; ma, proprio per questo, veglierò sull’intelligenza della mia fede, nello scontro con il mistero. (Marie-Dominique Chenu, La Parole de Dieu).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Febbraio 2011ultima modifica: 2011-02-11T22:41:00+01:00da fraternidade
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