Giorno per giorno – 21 Dicembre 2010

Carissimi,

“In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo” (Lc 1, 39-41). Noi stasera si è andati a pregare da dona Nilza, che da qualche anno si muove solo dentro di casa col deambulatore. E il suo desiderio, neanche a dirlo, è tornare ad andare con le sue gambe. Un desiderio piccolo piccolo, se lo paragoniamo a quello “impossibile” di Elisabetta e quando Nilza lo esprime, benedicendo noi che siamo andati a farle visita, non può evitare che le scenda qualche lacrima, di cui subito si scusa. Il compimento del suo, di desiderio, Elisabetta lo sentiva già muovere nel ventre, ma al suono del saluto di Maria, quella promessa d’uomo sussulta, addirittura “danza”. Maria Ferreira, che è sempre particolarmente ispirata, dice: noi non si finisce mai di desiderare. Soddisfatto un desiderio, già desideriamo altro. Forse, allora, il desiderio di ogni desiderio è Lui. Il non ancora nato Giovanni deve averlo capito. E Maria, il Desiderato da tutti, se lo porta dentro, allegra, correndo. Senza dire nulla. Il suo accorrere è già il messaggio, il Vangelo, che le sta crescendo dentro. Missionari di Gesù si è così, o non si è affatto.     

Oggi il calendario ci porta le memorie di Antonio de Montesinos, difensore dei diritti degli indigeni, e di John Newton, predicatore e innografo evangelico.

 

21 ANTONIO MONTESINOS.jpgNon conosciamo le date di nascita e di morte di Antonio de Montesinos. Sappiamo che, entrato nell’Ordine dei Predicatori, fece la sua professione religiosa nel convento di santo Stefano a Salamanca, dove fu presto notato per la sua pietà esemplare, il suo amore per l’osservanza della regola, la sua eloquenza e il suo coraggio morale. Nel settembre del 1510, sotto la guida di frei Pedro de Cordoba, fece parte della prima comunità religiosa  insediatasi nelle Americhe, sull’isola Española (oggi Santo Domingo). Il 21 dicembre 1511, durante l’omelia della 4ª Domenica d’Avvento, tenuta alla presenza dell’ammiraglio don Diego Colombo, figlio del più famoso Cristoforo, e vice-re delle Indie, il nostro frate non esitò a denunciare come peccaminoso e ignobile il trattamento che gli spagnoli riservavano agli indigeni. Tale presa di posizione gli valse la censura e la citazione alla corte di Spagna, dove nel 1512 fu chiamato per discolparsi. Seppe tuttavia difendere con tale dovizia di argomenti la sua denuncia che il re Ferdinando convocò a Burgos, allora sede della corte itinerante, una giunta di teologi, di giuristi e di rappresentanti dei coloni per valutare le modalità di governo nei territori di recente scoperta e legiferare in merito. La discussione si concluse con l’emanazione, il 27 dicembre 1512, delle cosiddette Leggi di Burgos, che riconobbero la libertà degli indigeni e costituirono il primo testo legislativo, almeno nella lettera, a loro favore. Nel giugno 1526, frei Antonio de Montesinos assieme a frei Antonio de Cervantes, accompagnò alcune centinaia di coloni che, sotto la guida dell’esploratore Lucas Vásquez de Ayllón, attraccarono alle coste dell’attuale Carolina del Sud. La spedizione non ebbe un gran successo: gli africani, che costituivano la mano d’opera schiava dei coloni, preferirono fuggire e andarsene a vivere pacificamente con gli indigeni del posto, i Cofitachiqui. La maggior parte dei coloni, tra cui lo stesso Ayllón, morirono a causa di una febbre epidemica. Sicchè, i sopravvissuti preferirono, piuttosto sconsolati, far ritorno all’isola Española. Nel 1528 Antonio de Montesinos si recò con altri venti frati in Venezuela.  Una breve nota a margine nel registro della sua professione, nel convento di S. Stefano a Salamanca, ci informa che “morì martire nelle Indie”. Non sappiamo in quali circostanze. Presumibilmente, intorno all’anno 1545.

 

21 John Newton.jpgJohn Newton nacque a Londra il 24 luglio 1725.  Trascorse gli anni della sua giovinezza a lavorare come mozzo sulla nave del padre, e in seguito sulle navi negriere, impegnate nella tratta e nel commercio di schiavi tra le coste dell’Africa e quelle dell’America. Nel 1748, in seguito allo scampato naufragio della nave che, dall’Africa, lo riportava in patria, iniziò il suo processo di conversione. Il 12 febbraio 175o sposò Mary Calett che sarà la compagna di tutta la vita. Sotto l’influsso di John Wesley e di George Whitefield, sentì crescere in lui la chiamata di Dio a predicare l’evangelo e iniziò a prepararvisi diligentemente. A trentanove anni, fu ordinato ministro dalla chiesa anglicana e si vide affidata la cura d’anime nel piccolo villaggio di Olney, nei pressi di Cambridge, dove visse per quindici anni. Qui si fece conoscere, oltre che come efficace predicatore dell’Evangelo, anche come prolifico scrittore di inni sacri. Assieme a William Cowper, diede alle stampe nel 1779 il famoso innario Olney Hymns, uno dei più importanti contributi nel campo dell’innodia evangelica. Nello stesso anno, gli fu affidato l’incarico di pastore nella chiesa di Saint Mary Woolnoth a Londra. Qui Newton stabilì una forte relazione con William Wilberforce e altri leader politici impegnati nella battaglia per l’abolizione della schiavitù. E, per una qualche coincidenza, sarà proprio nell’anno della sua morte che il Parlamento britannico abolirà la schiavitù in tutti i suoi domini. Newton morì ottantatreenne, il 21 dicembre 1807. Ad un amico che l’aveva visitato poco prima, disse: “La mia memoria è sempre più debole, ma io ricordo bene almeno due cose: di essere un grande peccatore e che Cristo è il grande Salvatore!”. Lui stesso dettò la scritta da incidere sulla sua tomba: “John Newton, ecclesiastico, una volta infedele e libertino, servitore di schiavi in Africa, è stato, dalla ricca misericordia del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, preservato, restaurato, perdonato e scelto per predicare quella fede che aveva a lungo cercato di distruggere”.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Cantico dei Cantici, cap. 2, 8-14; Salmo 33; Vangelo di Luca, cap.1, 39-45.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

 

O Sole d’Oriente: sei il Sole di giustizia che spunta, splendore di una luce che non si spegne. Chi abita nelle tenebre ti attende. Prenditi cura di chi vive all’ombra del cieco peccato, di chi si nella morte si è addormentato. Vieni, Signore, rendi chiara questa oscurità. Vieni, o Figlio di Maria, vieni a splendere, Sole di giustizia. Quanta sete, quanta attesa. Quando viene, quando viene quel giorno?”. Spesso noi siamo portati a pensare che siano gli altri ad essere nelle tenebre e che noi arriviamo lì, belli belli, a portargli la luce e a fare chiarezza. E, invece,  può succedere che si sia in una situazione peggio della loro e che la nostra pretesa non sia che una conferma in più del fatto che la Luce non ha ancora fatto breccia in noi e che noi siamo ancora prigionieri della nostra cecità. Come disse Gesù ai farisei: “Se foste ciechi,  non avreste alcun peccato; ma siccome dite: noi vediamo, il vostro peccato rimane” (Gv 9,41). La riprova che la Luce sia favvero giunta fino a noi è quando riusciamo a scorgere il volto del fratello che è nel bisogno, muovendoci al suo incontro. E solo allora. Dunque,  Signore, nell’imminenza del tuo Natale, noi ti preghiamo: accendi la luce anche per noi.  

 

Noi ci si congeda qui, con un brano tratto da quella che è l’opera più conosciuta di Gustavo Gutiérrez, “Teologia della liberazione” (Queriniana). Che ci pare del tutto pertinente ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Una spiritualità della liberazione sarà imperniata sulla conversione al prossimo, all’uomo oppresso, alla classe sociale sfruttata, alla razza disprezzata, al paese dominato. La nostra conversione al Signore passa attraverso questo movimento. La conversione evangelica è, infatti, la pietra di paragone di ogni spiritualità. Conversione significa una radicale trasformazione di noi stessi, pensare, sentire e vivere come Cristo presente nell’uomo spogliato e alienato. Convertirsi è impegnarsi nel processo di liberazione dei poveri e degli sfruttati, in modo lucido, realistico e concreto. Non solo con generosità, ma anche con analisi della situazione e con strategia di azione. Convertirsi è sapere ed esperimentare che, contrariamente alle leggi della fisica, si sta in piedi, secondo l’evangelo, solo quando il nostro baricentro cade fuori di noi. La conversione è un processo permanente nel quale, molte volte, i vicoli ciechi cui giungiamo ci costringono a rifare il cammino di prima e a intraprenderne uno nuovo. Da questa nostra disponibilità a rifarlo, dalla nostra infanzia spirituale, dipende la fecondità della nostra conversione. Ogni conversione implica una rottura; volerla operare senza urti significa ingannarsi e ingannare gli altri. “Colui che ama il padre e la madre più di me non è degno di me”. Ma non si tratta di un atteggiamento intimista e contemplativo; il nostro processo di conversione è condizionato dall’ambiente socio-economico, politico, culturale, umano, in cui si svolge. Senza un cambiamento di queste strutture non si dà un’autentica conversione. Si tratta di una rottura con le nostre categorie mentali, con il modo di relazionarci con gli altri, col nostro modo di identificarci col Signore, col nostro ambiente culturale, con la nostra classe sociale, cioè con tutto quanto ostacola una solidarietà reale e profonda con quelli che soffrono, in primo luogo, una situazione di miseria e di ingiustizia. Solo così, e non con speciosi atteggiamenti puramente interiori e spirituali, nascerà l’ ‘uomo nuovo’ sulle rovine dell’ ‘uomo vecchio’. (Gustavo Gutiérrez, Teologia della liberazione).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Dicembre 2010ultima modifica: 2010-12-21T23:02:00+01:00da fraternidade
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