Giorno per giorno – 08 Novembre 2010

Carissimi,

“È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi!” (Lc 17, 1-3). Paolo, qualche tempo prima di Luca, aveva scritto ai Romani: “Ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso. Cessiamo dunque dal giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non esser causa di inciampo o di scandalo al fratello” (Rm 14, 12-13). E si riferiva a questioni di cibo e bevanda. E alla fede debole, ingenua, esitante degli ultimi arrivati. Anche Gesù, nel pronunciare quelle parole, non doveva certo pensare a chissà che, meno che meno agli scandali che riempione le cronache anche di questi nostri tempi. Di ciò che era scandalo per Lui, noi diremmo oggi piuttosto  stupiti: ma come, tanta severità per così poco? Eppure quel nostro poco è per Lui già tanto, troppo, dato che può arrivare a minare nei piccoli la fiducia nel carattere promettente della vita, che è ciò di cui Gesù si fa garante. Anche attraverso noi, se e quando siamo suoi discepoli. Custodi discreti e vigilanti del diritto alla felicità di coloro che sono considerati gli ultimi nel mondo. I quali, un giorno, si metteranno in fila al nostro estremo passaggio e ci guarderanno negli occhi, semplicemente. Come per chiedere: tu cosa hai fatto o, piuttosto, cosa non hai fatto, per non farmi incontrare, il volto benevolo di Dio nel volto bello della vita? Il nostro inferno sarà quello sguardo di rimprovero. Il nostro paradiso, se Dio vuole, sarà la loro parola di perdono. Sì, gli apostoli hanno tutte le ragioni di chiedere al Signore: Accresci la nostra fede (Lc 17, 6). Anche noi.

 

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Mohammed ibn ‘Ali Ibn al-‘Arabi, mistico islamico.

 

08 Ibn Arabi bis.jpgMohammed ibn ‘Ali Ibn al-‘Arabi, detto Muhyi ed-Din (Vivificatore della Religione) era nato a Murcia, in Spagna, il 27 luglio 1165 (17 Ramamdan del 560, secondo il calendario egiriano), quando l’Andalusia era ancora sotto dominio islamico (lo era ormai da  450 anni). A otto anni, con la famiglia si trasferì a Siviglia, dove visse per i successivi ventisette anni. A 16 anni, secondo quanto lui stesso racconterà,  la visione di Mosè, Gesù e Mohammed lo portò a decidere di intrapprendere il cammino di una vita tutta rivolta a Dio. Dopo un incontro con il filosofo Ibn Rushd  (Averroè) a Cordova, cominciò a studiare seriamente il Corano e gli Hadith (i Detti e Fatti del Profeta), frequentando nel contempo molti maestri spirituali, uomini e donne. Ebbe, durante tutta la vita, numerose esperienze mistiche, visioni e rivelazioni. Nel 1193, un soggiorno a Tunisi segnò una tappa ulteriore della sua esperienza spirituale. Tornato a Siviglia, la descrisse nel suo primo libro  Mashahid al-asrar (Contemplazione dei Santi Misteri). Nel 1204 al-‘Arabi  si trasferì a Malatya, in Turchia, dove si sposò, ed ebbe almeno due figli e una figlia. Poi, a partire dal 1223, si stabilì a Damasco, dove continuò a scrivere e a insegnare a un gran numero di discepoli, molti dei quali sarebbero divenuti a loro volta sufi famosi. Tra loro ci fu Shams-i-Tabrizi, il maestro di Jalaluddin Rumi.  Nel 1229 una visione gli mostrò il profeta Mohammed che gli porgeva il Fusus al-Hikam (il Castone della Saggezza), il libro in cui il nostro raccoglierà la quintessenza dei suoi insegnamenti. Negli anni successivi si dedicò a stendere la monumentale Futuhat al-Makkiyya (Rivelazioni Meccane): 560 capitoli dedicati ad ogni aspetto della vita spirituale. Compilò anche una vasta collezione di poesie, raccolte nel volume Diwan. Morì il 9 novembre 1240 (il 22 del mese di Rabi’ II del 638 anno dell’Egira) all’età di 75 anni, lasciando ai discepoli un’enorme quantità di scritti e di insegnamenti spirituali.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera a Tito, cap.1, 1-9; Salmo 24; Vangelo di Luca, cap.17, 1-6.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

 

“Se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli. E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: mi pento, tu gli perdonerai” (Lc 17, 3-4). Era sempre la lezione di stamattina,. Che il nostro amico Ibn Arabi sembra addirittura voler superare, in questo passo del suo “Wasiyat”, ovvero “Consiglio a un amico”, che vi proponiamo, nel congedarci, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Quando ti corichi, non serbare in cuore nulla di male nei confronti di nessuno, né risentimento, né odio. Prega per il bene di chi è stato ingiusto con te, perché costui ti ha preparato del bene per la tua vita futura: se tu potessi vedere ciò che c’è in gioco, ti renderesti conto che l’ingiusto ti ha fatto davvero del bene per la tua vita futura. Dunque, la ricompensa per un beneficio non può che essere un beneficio (cf Corano 55,60) (prega dunque per il bene di chi ti ha fatto del bene); del resto, il beneficio nella vita futura è permanente. Non perdere di vista  questo aspetto delle cose e non lasciarti ingannare a causa dei danni che ti derivano quaggiù dall’ingiustizia di cui sei oggetto: bisogna considerare questo inconveniente come la medicina sgradevole che il malato deve ingerire poiché conosce il vantaggio che ne avrà alla fine. L’ingiusto gioca un ruolo equivalente: prega dunque perché  egli riceva ogni bene. (Ibn Arabi, Wasiyat).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Novembre 2010ultima modifica: 2010-11-08T23:42:00+01:00da fraternidade
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