Giorno per giorno – 24 Ottobre 2010

Carissimi,

“Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano” (Lc 18, 9-10). In ballo c’è la gente di chiesa, non gli altri. Gesù, cioè, almeno in questa occasione, parla a noi e dice di noi. Di noi a cui capita, una volta o l’altra, o anche sempre,  di pregare, dando voce a ciò che siamo o pensiamo di essere. Non è una parabola simpatica, perché, gira e rigira, noi non si vorrebbe essere nessuno dei due personaggi, e invece ci tocca riconoscere che ce li portiamo dentro entrambi. Qualche volta, per giunta, a parti invertite: con la pratica del pubblicano (peccatori sino al midollo) e la preghiera del fariseo (ritenendoci comunque migliori degli altri e disprezzandoli). Tempo fa un amico ci aveva scritto: se mi capita di restare dieci minuti senza peccare, ecco che, dall’alto della virtù che ho improvvisamente raggiunto, già mi sento in dovere di giudicare. Beh, siamo convinti che esagerasse, però, quello del giudicare, è un rischio concreto. Dominga confessava l’altra mattina con ridanciana impunità: io giudico sempre tutti, è più forte di me. Eppure, già questa confessione era la preghiera del pubblicano. Perché era riconoscimento dell’inadeguatezza del giudizio, che è sempre infinitamente al di sotto e, comunque, qualitativamente all’opposto del Suo non-giudizio. Roberto diceva: che ne so io della storia degli altri, per poterli giudicare?  Eppure. Ci viene in mente la storia di abba Mosè l’etiope,  chiamato a giudicare il peccato di un monaco del deserto di Scete. Dopo aver inutilmente resistito, vista l’insistenza degli altri fratelli, si recò dove la comunità si era riunita, portando sulle spalle una cesta forata, piena di sabbia. Gli chiesero: Padre, che significa? Rispose: sono i miei peccati che scorrono dietro di me, senza che io li veda. Ed oggi sono qui per giudicare i peccati degli altri. A questo punto, ovviamente, non se ne fece nulla e il fratello fu perdonato. Già, cosa esprime la nostra preghiera? Quella nostra personale e quella della nostra chiesa. Quale relazione con gli altri? Di solidarietà fraterna e corresponsabilità, o di superiorità, ostilità e distanza? E con Dio? Di coinvolgimento e complicità con il suo essere Padre di tutti, o di interessato stravolgimento della sua immagine? E con noi stessi? Di vanagloria e autosufficienza, o di pentimento e di riconoscimento della propria nullità, pronta ad essere riempita dalla sua grazia?    

 

I testi che la liturgia di questa XXX Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro del Siracide, cap. 35, 12-14.16-18; Salmo 34; 2ª Lettera a Timoteo, cap. 4, 6-8.16-18; Vangelo di Luca, cap.18, 9-14.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

 

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Rabbi Levi Isacco di Berditschev, mistico ebreo.

  

24 Mausoleo di Levi isacco.jpgRabbino e capo spirituale del Chassidismo, Levi Isacco è considerato il personaggio più popolare di questo movimento mistico ebraico, dopo Israel Baal Schem Tov. Nacque nel 1740, a Hoshakov, in Galizia (Polonia). Nel 1776 divennne discepoli di Dov Ber, il famoso Magghid (predicatore itinerante) di Mezeritch.  Nominato rabbino di Zelechov, in Polonia, e più tardi di Pinsk, in Bielorussia, fu costretto a lasciare l’incarico per l’ostilità di queste comunità verso le sue concezioni chassidiche. Incontrò infine la sua comunità a Berditchev, dove restò dal 1785 fino alla sua morte, il  25 Tishri 5571 (23 ottobre 1810).  In seno alla corrente chassidica, Levi Isacco rappresenta la figura dell’avvocato instancabile del popolo ebreo davanti al trono di Dio. “Tu esigi sempre qualcosa dal tuo popolo Israele – disse un giorno a Dio –  perché dunque non l’aiuti nelle sue tribulazioni?”.  Un sarto gli raccontò un giorno del modo con cui si era rivolto a Dio a Yom Kippur: “Certo, una volta o l’altra, mi succede di restare con il vestito che qualcuno ha lasciato nel mio laboratorio, o di non lavare le mani prima di mangiare, ma queste non sono mancanze così gravi. Tu, Signore, commetti colpe molto più riprovevoli: strappi bambini dal seno delle madri e madri dai loro bambini. Se tu mi perdoni, anch’io ti perdonerò”. Levi Isacco gli rispose: “Perchè sei stato così timido nel tuo discorso? Se solo avessi insistito un po’, Dio sarebbe stato costretto a perdonare a tutto il popolo d’Israele!”. 

 

È tutto. Noi ci congediamo qui, con un aneddoto che ha per protagonista Rabbi Levi Isacco di Berditschev, e per tema la preghiera e lo Spirito del Male che può pervaderla.  È tratto  da  I racconti dei Chassidim” (Garzanti), di Martin Buber. Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Da giovane Levi Isacco, per le sue doti sorprendenti, fu scelto come genero da un uomo ricco, come era uso. Nel primo anno del suo matrimonio, per la considerazione di cui godeva suo suocero, il giorno della Gioia della Torà gli fecero l’onore d’invitarlo a recitare la preghiera “Ti è stato rivelato” davanti alla comunità. Egli andò al leggio e restò immobile per un certo tempo. Il suo talled giaceva sul leggio. Egli stese la mano e lo prese per avvolgersene; ma poi lo posò di nuovo e rimase immobile come prima. I capi della comunità mandarono un servo a sussurrargli che non stancasse l’adunanza, ma cominciasse. “Sì”, disse egli  e prese in mano il talled e l’aveva quasi indossato che lo posò di nuovo sul leggio. Il suocero si vergognava di fronte alla comunità, tanto più che s’era tante volte vantato dell’eccellente giovane che aveva acquistato alla sua casa. Adirato ordinò di dirgli che cominciasse subito la preghiera o lasciasse il leggio. Ma prima ancora che il messaggero fosse arrivato da lui, risuonò improvvisamente la sua voce: “Se sei versato nella Torà e sei un chassid, di’ tu la preghiera”. E ritornò al suo posto. Il suocero tacque. Ma quando furono a casa e Levi Isacco sedette alla tavola festiva, raggiante della gioia che si conviene a quel giorno, quegli non potè trattenersi ed esclamò: “Perché mi hai fatto questo disonore?”. Per risposta il Rabbi raccontò: “Quando stesi la prima volta la mano per tirarmi il talled sopra il capo, l’Istinto del Male venne e mi sussurrò all’orecchio: Io dirò insieme a te: Ti è stato rivelato. Io chiesi: Chi sei tu da esserne degno? E lui: E chi sei tu da esserne degno? Io sono versato nella Torà, dissi io. Anch’io sono versato nella Torà, replicò lui. Per chiudergli la bocca, dissi con disprezzo: Dove hai studiato? E lui di rimando: Dove hai studiato? Glielo dissi. Ma c’ero anch’io con te, mi sussurrò ridendo, vi ho studiato con te. Riflettei un poco. Ma io sono un chassid, gli obiettai trionfalmente. E lui imperturbabile: Anch’io sono un chassid. Io: Da chi sei andato? E di nuovo, come una eco: Da chi sei andato? Dal santo Magghid di Mesritsch, risposi io. Allora mi rise in faccia ancor più beffardo. Ma anche io ero con te e insieme a te sono diventato chassid. E perciò voglio recitare insieme a te: Ti è stato rivelato. Allora ne ebbi abbastanza. Lo lasciai lì. E che altro avrei dovuto fare?”. (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 24 Ottobre 2010ultima modifica: 2010-10-24T23:07:00+02:00da fraternidade
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